Simonetta Agnello Hornby: "Mi sento siciliana, non italiana". L'intervista

Fattitaliani


Archivio. Intervista del 25 agosto 2010 in occasione della prima edizione del concorso letterario "Torre dell'Orologio" di Siculiana, provincia di Agrigento con madrina e presidente di giuria un'ospite d'eccezione, la scrittrice Simonetta Agnello Hornby. "Ho accettato di presiedere il concorso per dovere, confessa: è un dovere aiutare la letteratura e chi lavora in questo campo, e questo è un concorso pulito".

In occasione del concorso lei riceverà la cittadinanza onoraria di Siculiana: che cosa prova?

"Io sono originaria di Siculiana e per me è un onore: ho sempre vissuto sapendo di essere una Agnello di Siculiana. Sono nata a Palermo e vivo a Londra, ma ho sempre avuto fortissima questa identità siculianese: sono grata al destino e ovviamente alla giunta di Siculiana che me lo ha ricordato".

Può condividere con noi qualche ricordo della sua famiglia su Siculiana?
"A Siculiana passavo due-tre settimane d'estate, dai miei nonni che abitavano al terzo piano del palazzo di famiglia: un appartamento molto piccolo dato a mio nonno quando si sposò. A mia nonna piacque talmente tanto che non volle trasferirsi altrove: ci stavamo stretti, ma lì si formò questa piccola famiglia, mio padre aveva solo due sorelle e questo senso d'identità mi piaceva come anche la dinamica delle famiglie che stavano lì. D'estate ci andavano tutti i miei prozii: ognuno aveva un appartamentino nel palazzo e si visitavano fra loro. La mia nonna mi permetteva di scendere ai piani sottostanti senza di lei, perché lei era molto grossa e non ce la faceva, per cui mi sentivo libera, andavo e sentivo tutti i pettegolezzi delle zie. Mi affascinava questo mondo dei grandi, di gente che ricama, lavora, parla e spesso sparla".

Una dimensione che ritroviamo nei suoi romanzi siciliani?

"Certo. Ma a Siculiana c'è di più: per esempio il portiere faceva anche lo 'scarparo', un uomo gobbo e intelligente e io correvo a guardarlo. Ricordo l'odore intenso e forte della colla: poi ho scoperto che è anche una droga, non credo che il povero portiere-scarparo lo sapesse. Credo che la mia unica esperienza della droga risalga proprio a quando avevo quattro anni".


Ha parlato di aiuto alla letteratura: in che modo la letteratura ha aiutato lei?

Mi hanno aiutato le arti, importanti per l'umanità: ci differenziano dagli animali. È importante incoraggiare chi fa arte, che venga diffusa, dare un risultato anche materiale all'artista. A Londra si vedono opere d'arte vendute a prezzi enormi, indegni e montati solo dagli agenti: opere d'arte che non potranno sopravvivere, mentre si dimentica l'artista, il musicista, lo scrittore più modesto che viene distrutto da questo mondo in cui il capitale mangia tutto e crea i grandi autori e i grandi pittori in modo fasullo. È importante riconoscere chi ha talento, chi non è fortunato, chi non sarà mai un artista mondiale, ma che può dare gioia e far pensare la gente che vede o legge il suo lavoro.

Con il suo nuovo romanzo per la Feltrinelli "La monaca" prossimo alla pubblicazione torna all'ambientazione siciliana: in che cosa cambia rispetto alla prima trilogia?"La mia monaca è figlia di un napoletano, ma è una siciliana: il periodo è 1836-1848, prima della nascita de "La zia marchesa". La differenza sta nel fatto che il '48 è l'inizio del Risorgimento italiano, di cui non avevo parlato. Ne "La zia marchesa" avevo parlato del disastro della conquista della Sicilia da parte dei garibaldini, mentre il Risorgimento è un periodo bello da apprezzare, e non da vilificare anche se non ha fatto tanto bene a noi: e la mia monaca vive nel Risorgimento a modo suo. È la storia anche di un convento, quindi anche di religione: con "La monaca" sono entrata nei conventi, un'esperienza bellissima".

In Italia si stanno preparando i festeggiamenti del 150° dell'Unità d'Italia: secondo lei, noi italiani abbiamo coscienza d'identità e di patria?

"Io sono sempre stata siciliana: mio padre lo era e ci teneva. Noi a casa nostra parliamo siciliano, mentre tante delle mie cugine non lo parlano bene. Papà era stato educato in Toscana, ma si sentiva siciliano, per cui io onestamente mi sento siciliana, non italiana: io ho lasciato la Sicilia nel '64 quando avevamo la televisione da sei anni e da allora i siciliani sono diventati più italiani e gli italiani sono diventati più siciliani grazie al grande Camilleri, per cui ci siamo mischiati di più. Io non ho nientre contro l'essere italiano: non lo sono, punto e basta". Giovanni Zambito.

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