MA CHE BELLE PAROLE! Il libro-omaggio di Mariano Sabatini a Luciano Rispoli. «Uno che conosceva l’italiano e sapeva divulgarlo come nessuno»

Fattitaliani



Alcuni libri sono nell’aria ben prima della loro uscita. Già in occasione di una precedente pubblicazione, Mariano Sabatini (giornalista, autore televisivo, saggista e scrittore prolifico la cui ultima uscita è Scrivere è l’infinito, pubblicato da Vallecchi) aveva espresso ammirazione, stima e affetto per Luciano Rispoli, con il quale mosse i primi passi della sua attività di autore televisivo in RAI, lì dove colui cui il libro è dedicato spese tutta la sua attività professionale a partire dal 1954, tra incarichi dirigenziali e l’ideazione-conduzione di programmi di successo (Parola mia e Tappeto volante su tutti), tra comunicazione, intrattenimento colto e giornalismo popolare ai più alti livelli. Quasi sessant’anni di carriera che ne fecero uno dei volti più popolari e amati della TV, un esponente e divulgatore della proprietà di linguaggio, un innovatore dell’intrattenimento televisivo e uno dei padri della radio moderna (si pensi a Chiamate Roma 3131).

Chi viaggia dai 50 anni in su ricorderà senz’altro Luciano Rispoli per quella sua classica esclamazione - Ma che belle parole! - pronunciata con slancio dinanzi alle argomentazioni espresse dal professor Beccaria sulla lingua italiana. Una frase divenuta idiomatica, che ai fortunati a lui coevi ricorda l’amabilità di ore trascorse dinanzi alla TV.

Approdato in RAI nel 1954 ad appena ventidue anni, Luciano Rispoli fu in video fino al 2012, e morì nel 2016. Da allora, poco si è parlato di lui o fatto in sua memora. Il libro di Mariano Sabatini Ma che belle parole! Luciano Rispoli (Vallecchi Firenze, luglio 2022) a lui espressamente dedicato, è uscito in occasione del 90ennale della sua nascita (12 luglio 1932) e sembra colmare questo prolungato silenzio grazie alla narrazione inedita e approfondita di fatti di cui l’autore è stato attento e partecipe testimone.

Quando nasce l’idea di questo libro?

Credo sia nata con la conoscenza di Luciano come persona, poi ha preso forza dopo che è mancato… per l’incapacità, da parte mia, di accettare che in questo Paese c’è una memoria selettiva. Alcuni, anche meno inventivi e innovativi, pare che meritino più di altri.

Luciano Rispoli, oltre che un volto amato per decenni dal pubblico, è stato un maestro per tanti, ma per te un vero e proprio mentore. Che difficoltà comporta la narrazione di qualcuno cui si ha la devozione di un allievo privilegiato?

Non è la devozione, è che è difficile selezionare i fatti di 60 anni di carriera e 84 di vita. Tenere in equilibrio ciò che è significativo e importante e ciò che è giusto dire, nonostante la gratitudine e l’affetto che legano. Credo tuttavia di esserci riuscito, alla fine.

In apertura al libro troviamo la dedica «Al mio vecchio amico Umberto Piancatelli». Puoi dirci di più di lui, e perché ne è destinatario?

Un collega, mancato di recente, che mi aveva aiutato a ritrovare tutti gli articoli necessari alla stesura del libro. Proprio per il discorso di cui sopra, faccio fatica ad accettare che un professionista della comunicazione se ne vada nel più assoluto silenzio. Ora l’amico Piancatelli avrà per sempre un libro a lui dedicato, il libro su Rispoli, con cui pure aveva collaborato in qualità di addetto stampa.


Come tu riporti, agli occhi di Pippo Baudo Luciano Rispoli «era un borghese educato e perbene. Al pubblico piaceva il suo stile e lui fece del garbo la sua cifra stilistica».
Come possiamo introdurlo brevemente ai giovani che appartengono a tutt’altra epoca, quella ad esempio degli influencer, di certa presunta lingua in corsivo milanese?

Uno che conosceva l’italiano e sapeva divulgarlo come nessuno. Un professionista completo, con una visione coraggiosa del lavoro, una capacità di rivoluzionare il dato reale, la forza di andare contro le mode, creandone di nuove.

Oggi l’intrattenimento televisivo è spesso sguaiato, volutamente conflittuale, per nulla restio alla volgarità. Luciano Rispoli, fosse stato ancora in vita, avrebbe potuto essere ancora accolto dal pubblico televisivo o radiofonico?

Credo di no. E di fatto è mancato avendo una nostalgia feroce del suo lavoro. Trovo ingiusto che ad alcuni, dei quali magari si fa fatica a comprendere ciò che dicono ai microfoni, sia consentito proseguire imperterriti e a un signore che avrebbe voluto 5 minuti all’interno di Uno mattina siano stati negati in modo brutale.

Questo libro sembra muovere da più spinte. Oltre a ripercorrere la parabola biografica e professionale di Luciano Rispoli, a mostrarne l’uomo rendendogli tutti i meriti, è anche un po’ la storia della RAI. Omaggio e memoria storica (cosa non da poco!), risarcimento di un immeritato posto nel dimenticatoio o operazione nostalgia per gli over?

Il libro è un modo per rendere tangibile, far rimanere una traccia concreta, segnare i traguardi. Rispoli ha lavorato tanto nell’immateriale, di molta delle radio che ha fatto non rimane traccia, nel senso che non ci sono registrazioni, la tantissima televisione è soggetta alla volubilità dei signori dei palinsesti… il libro è a disposizione di tutti. Nostalgici e desiderosi di apprendere.  

E non c’è nella nostalgia di un professionista così competente e signorile, un risentimento verso mamma RAI?

C’è, eccome. Non verso la Rai come ente impersonale, ma nei confronti dei dirigenti idioti che non gli riconoscono l’intitolazione di un teatro, di uno studio, di uno sgabuzzino, come avvenuto per Frizzi, Ballandi, Agnes, Carrà…

Come scrivi nel libro, il profondo e sincero affetto che ti lega a Rispoli lo hai manifestato nel 2017 quando  nel ricevere il prestigioso premio Flaiano hai voluto dedicarglielo dinanzi alla platea televisiva. Parli anche di gratitudine per quanto ti ha insegnato, accennando però anche a una sofferenza. A cosa ti riferisci?

Al fatto che non tutto quel che è di Rispoli si riconosce a Rispoli. Mi riprometto di non starci male ma poi…

Nel libro, ripercorri la vita di Luciano Rispoli con alcuni momenti drammatici e commoventi della sua vita, quali gli anni della Grande Guerra, che ferì tanto la sua famiglia. Gli aspetti meno noti al grande pubblico della sua vita unica, singolare, irripetibile.

Denunci anche che, nel momento in cui “zio Luciano” lasciò la TV, l’uomo tanto amato dalla gente, venne subito “dimenticato” dalla RAI, quasi “trasformato rapidamente in una sorta di reietto”.

È così… questo è un paese dalla memoria opportunistica, orientata al ricavo, esiste il commiato profittevole e quello superfluo. Per il Palazzo. La gente comune, a cui ha dato molto, continua ad amare Luciano. 

Finiamo con la tua passione per la lingua italiana, che tu stesso confessi iniziata proprio con Rispoli, ispiratore della tua vocazione di autore e scrittore. Definisci la lingua italiana «lo strumento del mio mestiere». Come ti difendi dalla tendenza e dalla spinta all’appiattimento della terminologia, dall’inseguimento dei feed di Google?

Anche quello mi fa star male. Ogni tanto faccio un post su Facebook, d’impronta ironica. Ma la migliore difesa resta l’uso consapevole, quando parlo in pubblico o scrivo i miei romanzi o libri saggistici, di una lingua complessa che non smette di affascinarmi e stupirmi.

C’è all’orizzonte un nuovo zio Luciano?

Bontà sua, lui affermava nelle interviste che solo un tale Sabatini aveva assorbito i suoi metodi. Gli piaceva molto Gerry Scotti, stimava Fabio Fazio. Credo che Fazio sia molto somigliante a Rispoli nei modi e nello stile d’intervista. Anche se Rispoli era più coraggioso nella scelta degli ospiti. Non solo i fenomeni e i famosissimi. Rischiava, cercava di individuare nuovi talenti, anziché fornire una, forse scontata, rassegna di campioni.

Quanto senti la sua mancanza?

Gli volevo molto bene, mi mancano le sue telefonate, ma mi ha lasciato molto. Tutto quello che so lo devo ai suoi insegnamenti. Lucia Russo.

 

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