A tu per tu con Fabio Varrone, aka Anarchybrain, per i 30 anni di carriera musicale e artistica

Fattitaliani


di Francesca Ghezzani.

Fabio, quando e come ti sei accorto del tuo talento artistico?

Ciao a tutti! Mi sono accorto fin da bambino che avevo qualcosa che mi ha portato a capire poi di avere una dote artistica. Sin da piccolissimo, infatti, verso i tre anni più o meno, ballavo davanti al televisore quando ascoltavo la musica, in particolare "No Tengo Dinero" dei Righeira, mi chiudevo nella mia stanza, mettevo su i dischi e davo il via alle danze. Allora sognavo di fare il ballerino, anche se poi la mia vita mi ha portato in tutt’altra direzione.

Verso i 6 anni ho cominciato ad avere l’ambizione di cantare, ma non sapendo suonare alcun strumento cercavo di imitare i personaggi che vedevo in TV, come Jovanotti ai tempi di "Gimme Five", poi verso i 12 mio padre si accorse che stavo giocando con un bastone come se fosse una chitarra. In quel momento ebbe l’idea di comprarmene una, la mia prima chitarra per Natale: da lì tutto è cominciato, era il 1992.

Raccontaci come è nato il tuo nome d’arte…

È nato in maniera abbastanza curiosa. Io ho una band che si chiama The Brainwash e per questo molti mi soprannominavano Brain, ma nello stesso periodo quando lavoravo con Enrico Capuano, noto cantautore del Festival del Primo Maggio, portavo sempre una maglietta con la A del simbolo anarchico. Per questo motivo lui mi aveva soprannominato Anarchia, così ho unito i due soprannomi ed è nato Anarchybrain; il cognome Rocknation è nato da una trasmissione che facevo su Radio Nux chiamata proprio così.

Hai messo al servizio dell’ambiente e del sociale il tuo talento artistico. Sono pochi a farlo con trasparenza e reale impegno?

In realtà sì. Ho sempre fatto molta beneficenza per gli animali, per l’uomo, per l’ambiente e per tutto ciò che aveva uno scopo umanitario, ma ci sono tanti cantanti o artisti che sfruttano le questioni sociali solo per ottenere visibilità, un semplice tornaconto di visualizzazioni e notorietà: questo non va bene. Chi fa beneficenza la fa in silenzio e non la ostenta in pompa magna, per alcuni cantautori diventa come una sorta di "vetrina" dove mettersi in mostra per quello che non sono. Ho visto alcuni cantanti scrivere brani per l’Africa e, nello stesso tempo, chiamare i suoi abitanti con appellativi razzisti, mostrando incoerenza.

Festeggi i tuoi 30 anni di carriera musicale e artistica con un nuovo progetto per il sociale. A chi è dedicato e come sta procedendo?

Il mio nuovo lavoro discografico si intitola Leo's World ed è dedicato al figlio di mio cugino, un bambino autistico di otto anni che purtroppo non ha l'uso della parola e fatica a comunicare. Suo padre è disoccupato e si trova a gestire la situazione con grossa fatica non ricevendo molti aiuti dagli enti preposti. Osservando Leo, mi sono accorto che ha un suo modo di comunicare seppur con versi e gesti ed esprime emozioni e sensazioni attraverso di essi. Così ho cercato di mettere in musica tutto questo, coinvolgendo anche musicisti come Tony Liotta (Batterista che ha suonato per Michael Landau; Eric Gale e Steve Lukather dei Toto); Simone Cozzetto (chitarrista che ha suonato con Kee Marcelo degli Europe); Marco Iannello (compositore di molte colonne sonore); Emanuele Tartaglia leader degli Hell'n'Heaven ed Emiliano Natali, bassista e voce dei Voltumna.


Hai esplorato diversi campi, dalla musica (tuo amore assoluto), alla scrittura per poi arrivare al disegno, alla pittura, alla recitazione e al doppiaggio. Hai inciso 118 album dal 1992 a oggi. Come con i figli non si dovrebbero fare preferenze, ma c’è un’opera o un momento che ti rappresenta più di altri nella tua evoluzione artistica?

L'opera che al momento mi rappresenta di più è Bomarzo: The Magician's Garden, un album rock progressive interamente dedicato al parco di Bomarzo del quale sono follemente innamorato e del quale sto scrivendo una seconda parte dopo quasi dieci anni. Per quanto riguarda le mie opere letterarie, sono molto legato al libro Dialoghi con l'aldilà perché è il frutto di anni di indagini, domande, foto ed esplorazioni nonché sperimentazioni fatte in pima persona nel campo del paranormale.

Infine, nella parabola della tua lunga carriera credi di aver raggiunto l’apice o senti di dover continuare a sperimentare ancora per molto tempo?

Credo che nella vita non si arrivi mai a un apice, bensì solo a una continua evoluzione che deriva dalla nostra curiosità. Di recente è scomparso Piero Angela, a cui voglio dedicare un pensiero. Lui diceva sempre che la curiosità è la chiave per le nuove scoperte e aveva ragione. Questo concetto vale per qualsiasi campo a cui lo si voglia applicare. La curiosità nella musica mi permette di fare cose che in pochi hanno fatto, di rompere quelle barriere e dogmi imposti dalla musica convenzionale di consumo. Non voglio sembrare assolutamente presuntuoso facendo questo ragionamento, ma è una sintesi seppur minima della mia esperienza personale che potrebbe rispecchiarsi in quella di qualcun altro.

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