Intervista a Enrico Casartelli, io contro l'arroganza di chi si sente già arrivato



di Laura Gorini - 
Scrivere un libro significa anche comunicare

Si intitola “Elly, l’avatar delle emozioni” il settimo libro di Enrico Casartelli. Uno scrittore molto particolare e un uomo schietto e sincero. Ed è con questa predisposizione d'animo che ci ha raccontato di se e delle sue opere.

Si presenti ai nostri lettori con pregi, vizi e virtù...

In tutta sincerità ed estrema modestia ho pochi difetti e tantissimi pregi ( ride di gusto) Cominciamo dai difetti: sono estremamente testardo e alquanto riservato; quest’ultimo lato del mio carattere spesso viene interpretato come timidezza, ma quando me lo fanno notare reagisco con forza, forse eccessiva. D’altronde sono del segno del Leone, anche se non credo molto ai caratteri legati ai segni zodiacali.

Come pregi sinceramente non mi piace giudicarmi. Dico semplicemente che sono un tipo trasparente, parlo chiaro e sintetico, (straight talk, come si dice in America). Inoltre non tollero l’arroganza perché figlia dell’ignoranza, (mi scuso per la rima), e lo dico chiaramente all’interlocutore che la manifesta. 

Enrico, dall'Informatica alla Letteratura e alla Scrittura. Com'è avvenuto il salto?

È stata una cosa normale perché ho sempre scritto articoli su riviste stampate e da anni sono redattore in AgoraVox e Radionoff, (rubrica costumi, società e tecnologie).

Negli Anni ’90, cioè agli albori di Internet, sono stato tra i primi a scrivere articoli e racconti in Rete. Successivamente mi è venuto naturale scrivere libri.

Che cosa hanno pensato i familiari della sua decisione di diventare scrittore?

Nulla! Non si sono mai espressi!  Non so sinceramente cos’altro risponderle. Consideri che nella gerarchia della mia famiglia sono quello con la posizione più bassa e con una certa distanza dagli altri componenti.

A proposito, che cosa significa esserlo oggi?

Significa essere modesti, studiare, leggere e imparare. Non tollero coloro che si definiscono scrittori/scrittrici solo perché hanno scritto un libro, anzi spesso una novella di una novantina di pagine. Questo si collega al mio discorso precedente dell’arroganza e del parlare chiaro.


Quali sono gli scrittori che ha amato da bambino e da ragazzo? E oggi chi apprezza maggiormente?

Il libro che ho sempre maggiormente apprezzato è “Il treno per Istanbul” di Graham Green; è stato scritto nel lontano 1932, ma è di una modernità estrema. Mi piace leggere libri di autori stranieri, anche perché l’editing è particolarmente curato. Faccio alcuni esempi: Jonathan Carroll, Michael Connelly, Todd Strasser, Patricia Cornwell e ovviamente Ken Follet.

Degli italiani mi sono piaciuti molto “Divorare il cielo” e “La solitudine dei numeri primi” di Paolo Giordano. Due scrittori italiani- invece- mi hanno deluso, ma non li citerò mai, neppure sotto tortura.  D’altronde ognuno, e per fortuna, ha una sua opinione e percezione.

Lei ha all'attivo ad oggi diverse pubblicazioni, vuole presentarcele?

Questo è il mio settimo libro. Le risparmio l’elenco dei precedenti perché sarebbe una sterile lista. Non c’è nessun legame tra di loro, però, siccome ho avuto la fortuna di lavorare spesso all’estero, mi piace raccontare i luoghi, e soprattutto le culture e le etnie che ho incontrato. Mi diletto nell’intrecciarle, confrontarle e farle “cozzare” tra di loro, Però preferisco parlare del futuro: a fine anno sarà pubblicato un mio nuovo libro. Inoltre da poche settimane ho terminato un romanzo storico che mi è “costato” parecchi mesi di studio durante il periodo della maledetta pandemia. È ambientato a Berlino Est nell’1989, cioè a cavallo del crollo del muro e l’ho scritto perché supportato da una docente universitaria di storia germanica moderna.  

Ed è grazie a queste che ha ottenuto non solo ottimi riconoscimenti da parte dei lettori ma anche della critica che l'ha premiata con svariati premi. Il prossimo sarà a Penne in Abruzzo. Che effetto le fa tutta questa considerazione e come si sta preparando a questo nuovo evento?

Per me scrivere un libro significa anche comunicare. La tematica della comunicazione, in tutte le sue forme, mi ha affascinato fin da ragazzo e, tra l’altro, è motivo di lavoro in docenze e consulenze. Di fatti mi piace molto presentare i miei libri, o presentare quelli di altri.   Andare, come premiato, nei vari premi letterari per me significa incontrare nuove persone, conoscere nuove realtà e anche ritrovare persone già viste in eventi precedenti. È ovvio che essere premiato su un palco di un teatro mi fa piacere, ma senza fare della stupida retorica, occorre sempre rimanere con i piedi per terra e mi raccomando una cosa: la modestia.

Un augurio che si sente di farsi per questi mesi estivi e per i prossimi autunnali?

Non lo faccio a me stesso, ma a tutti noi e mi allaccio al mio ultimo libro.

Elly” è un programma di intelligenza artificiale sviluppato da tre giovani per analizzare, studiare e replicare le emozioni umane. Il suo fine è suggerire le azioni più appropriate nelle decisioni sia lavorative che di vita quotidiana. Il padre di una di questo simpatico terzetto di amici è un brigadiere dei carabinieri ed è un tipo piuttosto curioso. Ogni tanto “interroga” Elly, avatar femminile, chiedendole cosa pensa dell’Homo Sapiens. Elly, essendo un programma, risponde in modo schietto e non è molto tenera nei nostri confronti; d’altronde come darle torto?

Vedendo i recenti eventi auguro, sempre senza retorica, che l’homo sapiens recuperi un po’ di intelligenza e buon senso.  

Fattitaliani

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