ELISABETTA ALDROVANDI: IL MIO IMPEGNO CONCRETO CONTRO LA VIOLENZA

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«Il 17 maggio 2022 ho partecipato all’audizione in Commissione Giustizia al Senato su diversi disegni di legge di contrasto alla violenza domestica». Nei giorni scorsi Elisabetta Aldrovandi, avvocato e Presidente dell'Osservatorio Nazionale Sostegno Vittime ha scritto un post sul suo profilo pubblico di Facebook, raccontando il suo impegno fattivo contro la violenza. Spiega l'avvocato: «Uno in particolare, di fonte governativa, comprende tutta una serie di norme dirette ad anticipare la tutela delle vittime, inasprire le sanzioni e incentivare la funzione rieducativa della pena per chi commette atti persecutòri, maltrattamenti in famiglia, violenza sessuale e lesioni gravi dolose». A quasi due mesi di distanza dall'audizione in Parlamento, l'iter legislativo è fermo: «Sono in attesa che questa proposta di legge sia portata in Senato per il voto. E spero di non essere la sola. Anche se a volte mi chiedo a chi interessa davvero la tutela delle vittime. Post così, indipendentemente da chi li scrive, dovrebbero diventare virali…e invece...». La delusione è forte, ma l'impegno dell'avvocato non si ferma. «Non mi abbatto e non mi abbatterò. Mai».

Avvocato Aldrovandi, su cosa si fonda il disegno di legge Lamorgese-Cartabia-Bonetti?


«È una proposta di legge molto importante, caratterizzata da due aspetti principali: quello di rafforzare la tutela preventiva per chi denuncia reati come maltrattamenti in famiglia o atti persecutòri o violenza sessuale, in modo da aumentare la protezione già fornita con il “codice rosso”. Questo strumento, introdotto con la legge 69/2019, dà la possibilità a chi denuncia questi reati, di essere riascoltato nelle 72 ore successive a quando la denuncia viene presa in carico dal Pubblico Ministero, per verificare la necessità di adottare misure limitative della libertà nei confronti della persona denunciata, come il divieto di avvicinamento, per esempio. Con il disegno di legge Cartabia-Lamorgese-Bonetti (ministri rispettivamente della Giustizia, dell'Interno e della Famiglia e delle Pari Opportunità, n.d.r.) si vogliono ampliare queste forme di limitazione nei confronti di chi viene denunciato, a tutela delle persone offese. Non va dimenticato, infatti, che molti reati rientranti nella cosiddetta “violenza domestica” sono spesso l’anticamera di delitti irreparabili come l’omicidio. Intendiamoci, però: la grande maggioranza di questi reati non sfocia in assassinio, ma l’omicidio in ambito familiare (cosiddetto “femminicidio”) ha quasi sempre precedenti di violenza domestica o “stalking”. Il secondo aspetto riguarda una maggiore attenzione posta alla riabilitazione del condannato. La rieducazione della pena è un principio sancito dalla nostra Costituzione, e acquista un’importanza fondamentale quando si tratta di reati contro la persona, dove il rischio di recidiva è collegato anche alla personalità dell’autore, spesso prevaricatrice, abusante e manipolatrice. Stabilire percorsi di riabilitazione indispensabili perché la pena possa dirsi effettivamente ed esaustivamente scontata è una iniziativa lodevole ed espressione di un vero Stato di diritto».


Perché questo progetto di legge è ancora fermo in Commissione Giustizia al Senato?


«Ho assunto informazioni in merito, e a quanto pare si sta procedendo con il voto dei vari articoli ed emendamenti. Auspico una accelerazione in modo che possa arrivare in aula prima della chiusura ad agosto, poiché esiste un’emergenza violenza domestica in Italia, che va affrontata in modo veloce ed efficiente».


In un momento in cui si parla di cannabis legale e ius scholae temi universali come la violenza contro le donne non rischiano di passare in secondo piano?


«Il tema della violenza in generale, e contro le donne in particolare, è purtroppo così frequente che io temo l’effetto “assuefazione”, ossia temo che l’ennesima donna uccisa o vittima di maltrattamenti arrivi a non fare più notizia, ma diventi una delle tante informazioni da dare, assieme a quella di una vincita milionaria alla lotteria o all’intervista all’influencer del momento. E questo effetto è molto pericoloso, perché può far perdere di urgenza e importanza un tema che invece è fondamentale. Ricordo che quello della violenza domestica è un mondo in cui il numero delle vittime sommerse, che non denunciano per paura o perché neppure si rendono conto di esserlo, è altissimo. Anche gli uomini subiscono maltrattamenti e stalking, così come violenze sessuali, e per loro denunciare è ancora più difficile, per un retaggio culturale arcaico che non identifica l’uomo in quanto tale come vittima di questo genere di comportamenti delittuosi».


Non è la prima volta che dietro alcune leggi in favore delle vittime c'è la sua mano. Come e perché viene coinvolta dalle istituzioni?


«Da anni partecipo, come Presidente dell’Osservatorio Nazionale Sostegno Vittime, alle audizioni in Commissione Giustizia alla Camera e al Senato sulle proposte di legge che riguardano le vittime di reati violenti, e per me è un onore che mi dà tanta responsabilità, non soltanto perché sono assai poche le associazioni e autorità coinvolte in queste audizioni, ma anche perché suggerimenti forniti in quella sede a volte sono considerati positivamente ed entrano a far parte del testo di legge. È accaduto per esempio con la legge introduttiva del “codice rosso”, in cui la proposta di subordinare la sospensione della pena a un percorso riabilitativo del condannato per atti persecutòri è stata accolta.  Una delle riforme che con l’Osservatorio abbiamo appoggiato più strenuamente in audizione e anche al di fuori è stata quella del rito abbreviato. Questo è un rito alternativo che se chiesto dall’imputato va concesso e comporta sconti automatici di pena fino a un terzo. Ebbene, quella riforma, portata avanti in Parlamento tra mille difficoltà dall’attuale sottosegretario al Ministero dell’Interno Nicola Molteni, all’epoca deputato, impedisce l’accesso a questo rito per coloro che sono imputati per reati punibili con l’ergastolo. Una vittoria importante per i familiari di persone barbaramente uccise, perché chi ammazza con crudeltà o per motivi futili un’altra persona non può ottenere importanti sconti automatici di pena per il solo fatto di far risparmiare allo Stato i tempi e o costi di un processo».


Il suo lavoro a tutela delle vittime di reato è quotidiano. Ma quali sono gli strumenti che le vittime possono utilizzare per difendersi e arginare la violenza che le riguarda?


«Una delle riforme più importanti dell’ultimi anni è quella del “codice rosso”, che prevede la possibilità per la persona che denuncia maltrattamenti in famiglia, “stalking” o violenza sessuale di essere ascoltato nelle 72 ore successiva quando Pubblico Ministero prende in carico la denuncia per verificare la necessità di adottare misure cautelari come il divieto di avvicinamento o gli arresti domiciliari. Inoltre, le persone che denunciano questo genere di reato hanno diritto di essere informate qualora vi sia richiesta di archiviazione da parte del Pubblico Ministero, in modo da poter presentare opposizione. Un’altra novità importantissima introdotta sempre con la legge 69/2019 riguarda l’estensione del termine per presentare querela per la violenza sessuale, da sei a dodici mesi. Inoltre sono stati introdotti reati importanti, come il “revenge porn”, ossia la diffusione illecita di immagini o video sessualmente espliciti, l’induzione la costrizione al matrimonio, e il cosiddetto “omicidio di identità” cioè il reato di sfregio permanente del viso con acido o altre sostanze, che prevede una pena da otto a quattordici anni nonché la pena dell’ergastolo se da quella condotta deriva la morte della vittima».


Lei ha collaborato alla stesura del "codice rosso”: perché non basta più?


«Il “codice rosso” è uno strumento di grande pregio sulla carta, ma il fatto che la legge introduttiva sia stata approvata senza variazioni di bilancio, fa sì che le risorse stanziate per attuarlo interamente e potenziarlo non siano sufficienti. Serve più formazione, più personale, più specializzazione sul tema del contrasto alla violenza domestica, e serve più prevenzione. Fin da piccoli i bambini vanno educati al rispetto dell’altro, attraverso percorsi appositamente previsti nelle scuole e in ogni àmbito in cui si esplica la loro personalità. Per non parlare delle famiglie in cui l’insegnamento del rispetto dato e preteso dovrebbe essere fatto non solo a parole, ma soprattutto con l’esempio. Serve, insomma, tanto impegno collettivo e individuale. Per questo, oltre a migliorare le leggi e a investire perché siano pienamente efficaci, sono indispensabili attività di sensibilizzazione capillari e sistematiche. Sogno un mondo in cui i reati collegati alla violenza domestica diventino così rari da meritare una sorta di nemesi giuridica».

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