di Raffaele Romano
Premetto al lettore che
questo articolo potrebbe “apparire”
scorretto ma, mi creda, non lo è. E’ semplicemente empirico perché si basa sui
dati e sui fatti. Pochi giorni fa siamo stati assaliti da innumerevoli e altisonanti
peana in Tv, nelle radio e sulla carta stampata per la ricorrenza della festa
della Repubblica del 2 giugno. Giustissimo onorarla e festeggiarla perché è
stata una grande conquista dei nostri Padri. Però qualcosa di enorme le è stato
caricato sulle spalle e che offusca e lede la sua forza intrinseca. Se questi
fardelli non le saranno prima alleggeriti e, poi, tolti sarà difficile che essa
potrà svilupparsi ma potrà, al massimo forse, sopravvivere. I fardelli sono di
4 tipi e tutti rilevanti. I primi due sono la “giustizia e la stampa” che marciano
a braccetto da un trentennio fatte salve isolate eccezioni. Il fenomeno del
processo mediatico vede all’opera alcune procure ed alcune testate che sbattono
il mostro di turno in prima pagina e, senza che questi ne sia informato, si
trova già esposto al pubblico ludibrio. L’opera
viene completata nel pomeriggio e di sera dove, sedicenti talk show,
distruggono completamente il povero malcapitato di turno. Purtroppo questa
situazione, a dir poco illiberale, va avanti da 30 anni circa e la politica non
è riuscita mai a tentare un riequilibrio basti guardare quello che va sotto
l’abusato nome di “riforma Cartabia”
che non riforma nulla sottoposta, come è stata, a un tirar di giacca da tutte
le parti. Neanche le grandi denunce fatte da Palamara hanno smosso, sostanzialmente, le acque chete della nostra
giustizia.
Il terzo punto riguarda il
“fisco”. La questione fiscale in
Italia è sempre stata, a dir poco, paradossale infatti da un lato si promulgano
leggi, decreti, ordinanze e grida di manzoniana memoria e più la soluzione di
far pagare a tutti il giusto si allontana sempre più. Si consente, ad esempio,
alle grandi società che fatturano miliardi di euro di poter portare la
residenza fiscale negli appositi “paradisi
fiscali europei” come Lussemburgo, Olanda, Irlanda ecc. mentre i poderosi
uffici dell’agenzia delle Entrate si scatenano su un’eventuale multa non
pagata. A proposito, e senza vis polemica, mi chiedo perche si chiami solo
delle Entrate e non anche delle Uscite, visto e considerato che è anche a tal
ruolo preposta attraverso i rimborsi? L’attuale direttore dell’Agenzia delle
Entrate, Ernesto Maria Ruffini, forse
non si è reso conto di aver presentato la propria lettera di dimissioni quando,
alla nell’autorevole Commissione parlamentare per il federalismo fiscale, ha affermato che
negli ultimi 20 anni il suo ufficio ha accertato 1.100 miliardi di euro di crediti non riscossi. Di fronte a questo
totale fallimento si dovrebbero pretendere dal Parlamento le dimissioni del
Ruffini e di qualche migliaio fra dirigenti e funzionari. Invece niente, si
divertono a perseguitare il pensionato che va a ritirare più di 1.000 euro in
contanti. Proposta del direttore la solita: ci manca il personale! Ed è quello
che tutti gli uffici, o quasi, della macchina pubblica affermano innanzi ai
loro complessivi fallimenti. E’ inaccettabile! Avrei capito che, a fronte di
1.100 miliardi se ne fossero recuperati la metà, allora poteva anche essere
comprensibile la richiesta di altro personale ma così è assurdo e fa perdere di
fiducia nella Repubblica italiana e nei suoi valori.
Il quarto punto che ci
pone fuori dalla competizione internazionale è quel mostro sacro che va sotto
il nome di “Burocrazia”. Partiamo
dal livello nazionale con i famigerati “decreti
attuativi”. Fin dal suo insediamento, il governo Draghi ha riposto una
grande attenzione nel cercare di risolvere l’annoso problema. Quelle norme che
contengono le indicazioni operative e precise di dettaglio indispensabili affinchè
vi possa essere l’applicazione pratica delle disposizioni stabilite da leggi,
decreti legge e decreti legislativi. Lo stato dell’arte grazie ai dati messi a disposizione
dall’ufficio per il programma di governo (Upg) possiamo osservare che, al 23
maggio scorso, le attuazioni richieste per le norme pubblicate nella XVIII
legislatura sono 1.656, di cui 510 ancora da pubblicare. Mancano all’appello
più del 30% di decreti e leggi già approvate che, però, non possono essere
ancora applicate. Se si passa al tour de force a cui deve sottostare l’apertura
di una nuova impresa, al di là del record europeo per gli alti costi, emerge il
martirio asfissiante a cui sono sottoposti i nuovi imprenditori schiacciati
dagli uffici dei Comuni, Asl, Provincia, eventuali Parchi, città metropolitane,
vincoli paesaggistici, vincoli
urbanistici, ENAV, Vigili del Fuoco, ENAC, ASI, ARPA, ISPRA, VIA, SUAP e
associazioni di ogni ordine e grado che si oppongono a tutto e a tutti per cui
alla forte spesa si aggiungono mortificazioni e perdite di tempo infinite alla
fine delle quali decidono di lasciar perdere oppure se ne vanno all’estero. Nella
nostra inestricabile ragnatela burocratica i signori burocrati dispongono, a
loro vantaggio e favore, una
discrezionalità impenetrabile che li pone al di sopra di tutto e tutti, un
arcipelago di norme che ora consentono una cosa e nella legge successiva la
mettono in dubbio, dei regolamenti inumani che sono, spesso, fuori da ogni
logica, per non parlare di alcune misure stravaganti, molte sanzioni assurde,
senza dimenticare la retrodatazione nell’applicazione di nuove norme,
l’inversione dell’onere della prova per cui loro sbagliano ed il cittadino deve
dimostrare di non aver sbagliato, le distorsioni sistemiche nel loro totale
complesso, le persecuzioni senza senso e senza logica in cui il cittadino è di
fatto retrocesso a suddito, continui
ricorsi al tar su tutto quanto viene approvato senza dimenticare certi
strani e molto particolari arbitrati. I sevizi apparentemente costruiti per i cittadini
sono costruiti, spesso e volentieri, per coloro che vi operano e non per gli utenti (clienti). Il tutto è
dominato da un esasperato ed inconcludente formalismo, da una demagogia
persecutoria accompagnata e sorretta molto spesso da demenziali tortuosità e,
purtroppo va segnalato ed evidenziato, anche da
una particolare visione di fare
un certo tipo di sindacato. Poi ci sono le corporazioni che, ovviamente, portano
nomi diverse da quello che sono in realtà. Senza dimenticare che Italia
esistono ben 19 ordini e 8 collegi professionali. In totale ci sono 27 diverse
professioni che richiedono l’iscrizione a un albo, per un totale di oltre 2
milioni di iscritti ed aderenti. Oggi in Italia abbiamo poco più che gli stessi
notai di un secolo fa. Nel 1914 erano 4.310, adesso sono circa 5.000 ed in
molti Paesi non esistono neanche e non mi pare che da loro le cose vadano
peggio che da noi. Pubblici dipendenti, notai, farmacisti, giornalisti,
avvocati, magistrati, mondo accademico,
medici, veterinari, ma anche psicologi, agronomi, consulenti del lavoro,
ingegneri, commercialisti, architetti, giornalisti, farmacisti ecc. ecc. ognuno
di questi gruppi mantiene il proprio fortilizio di interessi dentro il quale è
costretto ad entrare il semplice cittadino che ne esce, spesso, triturato. Tutte
queste corporazioni hanno adottato il N.I.M.B.Y.:
Not in my back yard ovvero fate tutto quello che volete ma non nel mio
cortile!
“Non importa che il gatto sia bianco o nero; ciò
che importa è che acchiappi i topi”. Questo motto cinese che rivela
tutta l’empirica sapienza di quel popolo lo dovremmo fare totalmente nostro ed
invece, quasi sempre, ci accapigliamo per il colore da scegliere.