1. In che cosa "Candy - Memorie di una lavatrice" si contraddistingue rispetto ad altri suoi testi?
Sicuramente
la particolarità di questo testo è il punto di vista da cui ho scelto di
raccontare la storia. La protagonista è una lavatrice che parla, si muove, vive
ed esprime le sue idee proprio come fosse un essere umano. Di solito nei miei
testi cerco di essere quanto più aderente alla realtà possibile ma far parlare
Candy è stata una gran bella scoperta.
Quale linea di continuità, invece, porta avanti (se c'è)?
2. In
alcuni momenti dello spettacolo si possono cogliere dei riferimenti al rapporto
madre-figlio, un tema a me molto caro e che ho indagato anche in un altro mio
testo (Il cuore, la milza, il lago). Continuare su questa linea non era
una cosa che avevo previsto ma lo accolgo sicuramente come un segno.
Evidentemente in questo momento della mia vita sento la forte esigenza di
parlare di questo e probabilmente continuerò a scrivere ancora.
3. Com'è avvenuto il suo primo approccio al teatro?
Il
mio incontro col teatro è avvenuto durante il terzo anno di liceo quando
partecipammo all’importante festival internazionale del teatro classico dei
giovani a Palazzolo Acreide (SR). Dopo il diploma ho frequentato il Dams e
contemporaneamente ho frequentato la scuola Internazionale di Teatro Circo a
vapore, qui a Roma. Ho sempre continuato a studiare e a formarmi e quindi nel
2018 ho studiato drammaturgia alla Silvio d’Amico.
4. Questo testo prende origine da un'inchiesta. È successo anche che un incontro casuale abbia messo in moto l'ispirazione e la scrittura?
Nel
caso di Candy, memorie di una lavatrice ho passato moltissimo tempo a
documentarmi sulla vicenda del caporalato nel ragusano. Ho letto inoltre il
libro Oro Rosso di Stefania Prandi dove sono raccolte diverse testimonianze di
rumene schiavizzate nei campi. Sarebbe stato bello raccogliere testimonianze in
prima persona ma non è stato possibile e così ho cercato di attenermi alle
storie di cui ho letto.
5. Per un autore teatrale qual è il più grande timore quando la regia è firmata da un'altra persona?
Probabilmente
il timore più grande è quello di veder stravolgere il senso del proprio testo.
È una paura plausibile ma se autore e regista lavorano bene insieme si riesce
tranquillamente a superarla. Personalmente mi è capitato di affidare la regia
di miei testi a dei registi ed il testo ne ha solo che ricevuto benefici.
Interpretare un proprio testo comporta solo vantaggi o c'è anche qualche controindicazione?
Quando
si interpreta un proprio testo forse l’errore più grande in cui si potrebbe
incappare è il non riuscire a vedere i propri personaggi dall’esterno.
Si riconosce in questa affermazione: "Io sono convinta che la scrittura non serva per farsi vedere ma per vedere" di Susanna Tamaro?
Scrivere
è un modo per far vedere le cose, assolutamente sì. È un processo delicato,
lasciar scrivere le cose e anche poterle guardare con un certo distacco.
Come spiegherebbe il Teatro a una persona che vi si deve recare per la prima volta?
Non
ho una risposta esatta a questa domanda né credo ci sia. L’unica cosa che direi
è “siediti, respira e fatti entrare lo spettacolo negli occhi!”
L'ultimo spettacolo visto a teatro?
L’ultimo
spettacolo che ho visto a teatro è stato Enigma. Requiem per Pinocchio della
compagnia Teatro Valdoca al teatro India, una bellissima performance sulla
figura del famoso burattino. Il testo è scritto da Mariangela Gualtieri e ho
trovato il lavoro molto interessante. È bello poter ritornare finalmente a
teatro dopo tanta chiusura e vedere spettacoli che meritano, mi dà sempre un
incentivo per scrivere cose nuove.
Degli attori del passato chi vorrebbe come protagonisti ideali di un suo spettacolo?
Parlando
di passato abbastanza recente mi sarebbe piaciuto fare uno spettacolo con la
grandissima ed indimenticabile Anna Marchesini.
Il miglior testo teatrale in assoluto qual è per lei?
Anche
qui non ho una risposta precisa. Cerco di leggere tantissima drammaturgia sia
passata che contemporanea. Due testi però ai quali sono profondamente
affezionata sono Anna Cappelli di Annibale Ruccello e Sallinger
di Bernard-Marie Koltès.
La migliore critica che vorrebbe ricevere?
Sicuramente
la cosa più bella e quella che mi darebbe soddisfazione è sentirmi dire “ho
trovato in questo spettacolo qualcosa che parla di me”. Essere vicini a chi
guarda è la cosa più bella.
La peggiore critica che non vorrebbe mai ricevere?
La
cosa più brutta che qualcuno possa dirmi è che magari lo spettacolo non ha
raccontato nulla. Non ho assolutamente la pretesa di diffondere messaggi con i
miei testi ma nel caso di Candy raccontare e denunciare dei fatti che accadono
ancora oggi a migliaia di donne schiavizzate, questo sì.
Dopo la visione dello spettacolo, che cosa Le piacerebbe che il pubblico portasse con sé a casa?
Sarebbe
bello se dopo aver visto lo spettacolo il pubblico cercasse informazioni sulla
vicenda di donne come Elena Biru (ho utilizzato un nome di fantasia), la
protagonista dello spettacolo che lavora in condizioni di sfruttamento
lavorativo e sessuale nelle campagne del ragusano. È una vicenda terribile che
merita attenzione e della quale in Italia si parla ancora molto poco.
C'è un passaggio, una scena che potrebbe sintetizzare in sé l'essenza e il significato di "Candy - Memorie di una lavatrice”?
Sintetizzerei
lo spettacolo con una freddura che viene ripetuta più volte: nuova lavatrice
lanciata sul mercato, 17 morti e 11 feriti. Giovanni Zambito.
L
LO SPETTACOLO
Così Iris Basilicata racconta la genesi dello spettacolo: «Nel 2014 il settimanale L'Espresso pubblicò una inchiesta in cui si scoprì che nelle campagne di Ragusa, in Sicilia, circa cinquemila braccianti rumene vivevano, e vivono tutt'ora, in condizioni di totale sfruttamento sia lavorativo sia sessuale. Ammassate in baracche, nelle case dei padroni, in scantinati, capanni degli attrezzi e isolate dalla vita civile, le braccianti dell'est guadagnano meno di diciotto euro al giorno per più di dieci ore di lavoro ininterrotto. Quando il lavoro finisce, la sera sono costrette a partecipare a festini agricoli organizzati dai propri padroni».
Nel monologo prende vita la storia di Elena Biru, nome di fantasia che racchiude le storie di queste lavoratrici silenziose, raccontate anche nel libro “Oro rosso” di Stefania Prandi (Settenove ed., 2018), una delle fonti da cui il lavoro di Iris Basilicata trae ispirazione.
Candy, tenero e maldestro elettrodomestico rinchiuso nel capanno degli attrezzi della casa del Padrone, e incapace di provare odio, non ne prova neppure per lo sfruttatore di Elena. Così diventa la testimone e confidente di tutti i componenti della sgangherata famiglia siciliana: consola Elena dalle faticose ore di lavoro, adora l'autorità che sfoggia il loro padrone, lascia giocare nel suo cestello il piccolo di casa e ascolta pazientemente le lamentele della Kapò, perfetta moglie di casa asservita e obbediente. Le atrocità, la solitudine, insieme all’immortale speranza di Elena, che desidera fronteggiare le cure di sua madre all’estero, sono tutti “filtrati” dalla compagna lavatrice Candy. Nel piccolo stanzino che è tutto il loro mondo, le due sono l'una la famiglia dell'altra.
Una vicenda al femminile che denuncia diversi tipi di violenza che le donne subiscono. Da un lato il loro sfruttamento, dall’altro quel tipo di violenza sottaciuta dalle stesse mogli dei padroni, completamente obbedienti e asservite.
dal 3 al 5 maggio, ore 21
Biglietti: 15 euro – ridotto: 12 euro
(bar aperto per aperitivo dalle 19.00)
Teatro Lo Spazio
Via Locri 43, Roma
informazioni e prenotazioni
Acquisto Online: VivaTicket