Il percorso espositivo
Le prime stanze della mostra inquadrano il tema dell’autoritratto in differenti contesti storico culturali, segnalando al visitatore lo strettissimo legame che il ritratto d’artista ha con il dibattito teorico sulle arti, la storiografia, il collezionismo, l’istituzione accademica, in un processo che vede quest’ultimo progressivamente emanciparsi dal ruolo di artigiano e affermarsi come intellettuale, uomo di corte, gentiluomo. L’atelier, lo studio, lo spazio del lavoro, tema della terza “tappa”, si conferma teatro di una messa in scena, in cui si mettono in gioco di volta in volta il prestigio dell’arte, il rapporto con la committenza o il nuovo pubblico borghese, la stessa concezione della pittura e della scultura. Con la sezione dedicata all’Osservatore, si entra nel vivo del “dispositivo” dell’autoritratto, in cui il gioco degli sguardi diventa centrale: quello del pittore che si guarda allo specchio, del “ritrattato” che guarda lo spettatore o altrove, in un complesso e ambiguo meccanismo che pone al centro la stessa questione della “visione”. Lo splendido autoritratto di Federico Barocci (1600 ca), con il volto in primissimo piano e lo sguardo fisso sull’interlocutore, si conferma un modello di riferimento di grande forza ed efficacia.
Vero cuore della mostra è la parte dedicata all’Autoritratto come autorappresentazione con una serie di straordinari capolavori, primo fra tutti l’Autoritratto di Goya del Belvedere, in cui il pittore spagnolo si ritrae con il cilindro “borghese” e una forte caratterizzazione espressiva, rifuggendo ogni idealizzazione. Accanto alle splendide e imponenti tele di Franz Anton Maulbertsch e Carl Peter Goebel il Vecchio, in cui la rappresentazione è ancora legata al modello del “gentiluomo di corte”, l’Autoritratto (1828) di Ferdinand Georg Waldmüller, che non a caso è stato scelto come immagine guida della mostra, dialoga perfettamente con l’Autoritratto con il fratello Francesco di Giuseppe Tominz, una delle opere più significative conservate nella Pinacoteca dei Musei Provinciali di Gorizia.
La mostra diventa anche l’occasione per mettere in luce gli strettissimi legami della cultura visiva del territorio del Friuli Venezia Giulia con gli esiti della ricerca austriaca e viennese, con relazioni e scambi che si intensificano nei primi decenni del Novecento e vanno ben al di là della caduta dell’impero austro-ungarico. Ne è esempio la formazione viennese di Timmel, qui presente con un autoritratto del 1910 proveniente dal Museo Revoltella di Trieste, la cui inquieta pittura trova significative connessioni con quella di Richard Gerstl, di cui l’intenso Autoritratto (1906-7) è una magnifica testimonianza.
A manifestare la crisi profonda che investe l’individuo, e allo stesso tempo il ruolo stesso dell’artista nel Novecento, sono gli autoritratti di Kolo Moser e Max Oppenheimer che espongono il corpo, ieratico o sofferente, riprendendo a modello Dürer, fonte anche dell’opera di Arturo Nathan.