«Il mio obiettivo primario di scrittore e amante della filosofia, è stato quello di risarcirlo di un torto. Rohault avrebbe potuto veramente traghettare un’idea della nuova scienza nell’epoca illuminista, non solo nei concetti ma anche nel modo.» (Paolo Massimo Rossi)
Ciao Paolo
Massimo, benvenuto e grazie per aver accettato il nostro invito. Come stai?
Potrei lamentarmi, preferisco dire che sto bene.
È
appena uscito negli USA il tuo ultimo romanzo dal titolo “Jacob Rohault. I
giorni di Venezia”. Ci racconti di cosa parla, qual è l’idea che lo ha
generato, quale il messaggio che vuoi che arrivi al lettore, senza ovviamente
fare spoiler?
“Jacob
Rohault I giorni di Venezia” è stato scritto in italiano. Per una serie di
circostanze di cui parlerò più avanti, è stato tradotto in inglese per essere
pubblicato negli Stati Uniti e non solo.
Sinteticamente
la storia: Jacob Rohault
(filosofo e scienziato francese realmente esistito ed educato al sapere
cartesiano), nell'anno 1658 trascorre sei mesi a Venezia per seguire, presso
l’antico editore Eredi Hieronymus, la stampa dell'edizione italiana del suo
Tractatus Physicus.
Nei giorni che trascorrono nell’attesa della sospirata stampa, si
ritrova a frequentare la società patrizia e, suo malgrado, viene coinvolto in
tipici intrighi della città lagunare.
Accetta l'incarico di precettore di una fanciulla di nobile
casato, stabilisce rapporti di amicizia e, inevitabilmente, si crea dei nemici.
Discute e difende la conoscenza della nuova scienza scontrandosi con detrattori
che ironizzano e con estimatori sinceramente interessati. Sino al giorno in
cui, richiamato dal Re, riparte per Parigi, lasciandosi alle spalle qualche
rimpianto, commenti salaci, accuse di eresia, gratificazioni, delusioni e
inevitabilmente dei cuori spezzati.
L’idea: il desiderio di rivalutare un autore che fu rapidamente dimenticato con l’avvento delle nuove teorie di Newton. Dunque una sorta di risarcimento filosofico-morale per chi poteva trasbordare il cartesianesimo nel secolo dei lumi in arrivo.
Questo
romanzo è stato recentemente tradotto e pubblicato negli USA con tua
grandissima soddisfazione. Come è nato questo progetto editoriale oltre oceano,
chi lo ha curato, quale la casa editrice che lo ha pubblicato negli Stati Unici
e quali le tue aspettative editoriali?
L’idea di pubblicarlo negli Stati Uniti nasce dalla proposta dello scrittore Antonello Di Carlo che ha coinvolto le Edizioni CTL di Livorno per un’edizione oltre oceano. Sostanzialmente, in un mercato più ricettivo e più aperto alla lettura di quanto sia quello italiano, considerato un po’ asfittico, se non nei confronti di grandi nomi vendibili con certezza. CTL ha già reso disponibile il libro in e-book e sta editando un cartaceo da distribuire negli Stati Uniti e in altri paesi di lingua anglosassone.
C’è
qualcuno che vuoi ringraziare per avere raggiunto questo ambiziosissimo
traguardo editoriale? Se sì, chi sono queste persone e perché le ringrazi
pubblicamente?
Devo ringraziare lo scrittore Antonello Di Carlo, siciliano residente a Reggio Emilia che, dopo aver letto il romanzo, si è fatto promotore presso l’editore CTL di Livorno per una edizione americana. Oltretutto provvedendo anche alla prefazione in inglese e alla traduzione del testo con competenza e sensibilità.
Consigli
per l’acquisto di questo ultimo libro? Cosa vuoi dire ai nostri lettori per
invogliarli a comprare questa tua ultima opera, oltre che nella versione
italiana anche in quella inglese?
La versione in inglese è ovviamente, almeno per il lettore italiano, un terreno di esplorazione lessicale. La versione in lingua italiana potrebbe essere apprezzata per l’uso di un linguaggio rispettoso, io credo, dei “modi” dialoganti dell’epoca in cui si svolge la storia. (E qui apro una parentesi: rendere in inglese un testo scritto rispettando un italiano seicentesco e con sfumature veneziane era un’opera di grande difficoltà. Merito di Antonello Di Carlo il risultato). Senza contare il connubio pervicacemente perseguito tra filosofia, sentimento e sesso. In altri termini il racconto di un breve periodo della vita di un personaggio che fu trasgressivo negli atteggiamenti e nel credo filosofico e che precorse i tempi in quella che alla fine del secolo sarebbe passata alla storia come la "querelle des Anciens et des Modernes”. Un argomento che potrebbe essere interessante anche per la cultura anglosassone.
Hai programmato delle presentazioni pubbliche negli Stati Uniti? Se sì, raccontaci
di questo progetto promozionale del tuo romanzo.
Un’eventuale presentazione negli Stati Uniti dipende, ovviamente, dall’Editore. Posso solo dire che spero ci si possa arrivare: sarebbe un grande onore per me e per chiunque scriva.
Come vuoi concludere questa chiacchierata e cosa vuoi dire a chi leggerà questa breve intervista?
La storia di Jacob Rohault, pur rispettando un momento importante nella
vita dello scienziato/filosofo francese, è evidentemente romanzata nella
descrizione del suo soggiorno veneziano. Il mio obiettivo primario di scrittore
e amante della filosofia, è stato quello di risarcirlo di un torto. Rohault
avrebbe potuto veramente traghettare un’idea della nuova scienza nell’epoca
illuminista, non solo nei concetti ma anche nel modo. Ma le sue teorie subirono
il prevalere del Newtonismo che la società dell’epoca abbracciò con una sorta
di fede positivista, là dove Rohault aveva dimostrato un’altra apertura mentale
e non fideistica.
In una risposta che dà alla sua protettrice - la nobildonna Laura Stellarin
- afferma: “Vi prego, signora, mi fate torto attribuendomi la
nomea di nemico degli antichi. Non lo sono, e come potrei? Ritengo non sia giusto
pensare che essi furono in errore; piuttosto credo che il loro atteggiamento
verso la verità sia stato, semplicemente, la base per un nuovo inizio, per un
nuovo modo di filosofare. Io sono nemico di chi crede che le teorie degli
antichi siano immodificabili; lo sono - nemico, intendo - di coloro che le
considerano come vere o false in assoluto. Molti cattivi moderni lo pensano,
per paura della scienza, per gelosia o per difendere i loro privilegi”. In
altri termini Rohault ha un’istintiva preveggenza in relazione alle mutazioni
dell’atteggiamento che si deve avere verso la filosofia: potrebbe essere
considerato un popperiano ante litteram. In questo polemizzando anzitempo con
Newton che avrebbe proposto, qualche anno dopo, un sistema definitivo e
immutabile, in fondo metafisico.
Dunque il messaggio, più letterario che filosofico:
l’uomo Rohault a un certo punto prevale sul tecnico della scienza. Finisce per
diventare nemico di ogni metafisica: antipositivista e razionale allo stesso
tempo. Per meglio dire, nella mia interpretazione Jacob Rohault si pone il
problema del sapere scientifico prefigurando quella che, secoli più tardi,
sarebbe stata la fondazione dell’epistemologia come metodo per la conoscenza. Forse
con qualche concessione alla fantasia, più che legittima in un romanzo.
Ma il messaggio vuole
essere anche una riscoperta dell’importanza e del valore dei sentimenti: il mio
è un romanzo e non un trattato, dunque, in esso non poteva non trovar posto
l’amore. E Jacob crede nel grande amore, quello per la moglie morta e quello
per la giovane allieva Fulvia. Ma come uomo di retta sensibilità, nel suo animo
riesce e far trovar posto anche al tormento. Sembra pensare che le passioni d’amore, se è vero
amore, sono ingovernabili, ma per definizione passione significa "patire,
soffrire" se vogliamo prestare attenzione alle etimologie.
Partendo ammette, dunque, che sarebbe un controsenso
una passione controllata.
In fondo, ci dice che non c’è mai ritorno nell’amore e nella vita da cui ci si allontana o dalle quali simo strappati. Le più grandi avventure sono quelle dalle quali non si ritorna.
Paolo Massimo Rossi
https://www.facebook.com/paolomassimo.rossi
Il
libro:
Paolo
Massimo Rossi, “Jacob Rohault. I giorni di Venezia”, Libeccio
Edizioni, Livorno, 2021
https://www.ctleditorelivorno.it/product-page/jacob-rohault-i-giorni-di-venezia
Andrea Giostra
https://www.facebook.com/andreagiostrafilm/