Segnalibro, Luca Angelucci a Fattitaliani: nel mio saggio la speranza che i giovani imparino ad ascoltare. L'intervista

Il giornalista marchigiano Luca Angelucci ha pubblicato “Storie di bombe e di sogni” (Mursia, pagg. 154, Euro 15,00), un saggio straordinariamente toccante, dal valore universale, che attraverso il racconto in prima persona delle vite di otto illustri personaggi marchigiani che hanno vissuto da bambini la fame, la paura, e il dolore dettati dalla Seconda Guerra Mondiale apre una porta ad un futuro migliore. Oggi è protagonista della rubrica "Segnalibro": l'intervista di Fattitaliani.

Quali libri ci sono attualmente sul suo comodino?
Impilati, ho “I baffi” di Emmanuel Carrère, “Il tunnel” di Abraham Yehoshua, “Manuale d’esilio” di Velibor Colic e “Gli ultimi giorni di John Lennon” di James Patterson. E “Furore” di Steinbeck che ho appena finito.
L'ultimo "grande" libro che ha letto?
“Eccomi” di Jonathan Safran Foer. 
Chi o cosa influenza la sua decisione di leggere un libro? 
L’autore, i consigli di poche persone fidate e la quarta di copertina. Ma leggo anche quasi tutti i libri suggeriti da Alessandro Milan e Leonardo Manera a “Uno, nessuno 100 Milan”, su Radio 24: i nostri gusti coincidono.
Quale classico della letteratura ha letto di recente per la prima volta?
“Il conformista” di Alberto Moravia.
Secondo lei, che tipo di scrittura oggi dimostra una particolare vitalità?
La narrativa - che è anche quella che preferisco, soprattutto anglo-americana e israeliana - gode di buona salute, ma anche la saggistica, i fumetti e la scrittura destinata al cinema e alla televisione.
Personalmente, quale genere di lettura Le procura piacere ultimamente?
Quella che racconta il mondo in cui viviamo, i rapporti e i legami tra le persone, che riesce a intrufolarsi nei sentimenti dei personaggi, che in fin dei conti somigliano a tutti noi, uomini, donne, padri, madri, figli, lettori, scrittori… Due esempi: “4,3,2,1” di Paul Auster e “Tre piani” di Eshkol Nevo.
L'ultimo libro che l'ha fatta sorridere/ridere?
“Lenticchie alla julienne” di Antonio Albanese mi ha fatto ridere molto: è la migliore parodia possibile del mondo degli chef, un mondo costellato di improbabili esasperazioni.
L'ultimo libro che l'ha fatta commuovere/piangere? 
Ne metto due. “Le otto montagne”, di Paolo Cognetti, per il rapporto padre-figlio ancor più che per la storia d’amicizia del protagonista, e per come è tratteggiata la ricerca della solitudine, a volte dolorosa, a volte catartica. Cito nuovamente “Eccomi” (Safran Foer), un affresco dei rapporti familiari, tra marito e moglie in crisi e tra genitori e figli, e delle difficoltà del distacco dalle persone amate, difficoltà analizzate attraverso la lente d’ingrandimento del tempo che passa. Tra cinquant’anni uomini e donne dovranno leggere libri come “Eccomi” per capire com’era la società di mezzo secolo prima.
L'ultimo libro che l'ha fatta arrabbiare?
“La società signorile di massa” del sociologo Luca Ricolfi, che fotografa in modo impietoso un’Italia sprecona e sempre meno votata al lavoro.

Quale versione cinematografica di un libro l'ha soddisfatta e quale no?
Mi è piaciuto come Nanni Moretti ha portato sullo schermo “Tre piani”, è riuscito ad andare anche oltre il romanzo rispettandolo e anzi concludendolo magistralmente laddove lo scrittore si era invece fermato. Non mi ha soddisfatto “Unbroken”, diretto da Angelina Jolie: è la storia di Louis Zamperini, mezzofondista ed eroe di guerra protagonista di una vicenda pazzesca e bellissima da leggere, molto meno da vedere sul grande schermo, dove risente di tutti gli stereotipi hollywoodiani. 

Quale libro sorprenderebbe i suoi amici se lo trovassero nella sua biblioteca?
Un libro sul cinema horror: mi è indigesto.
Qual è il suo protagonista preferito in assoluto? e l'antagonista?
Il protagonista è Henry Perowne, il neurochirurgo capace di perdonare in “Sabato” di Ian McEwan. L’antagonista è Randall Flagg, perfetta personificazione del male ne “L’ombra dello scorpione” e in altri romanzi di Stephen King. 
Lei organizza una cena: quali scrittori, vivi o defunti, inviterebbe?
Inviterei Achille Campanile, genio assoluto dell’umorismo, e Domenico Starnone, altro fuoriclasse, così il divertimento è assicurato. Poi Woody Allen e Chaplin, autori delle rispettive autobiografie e di film che mi hanno dato una mano a capire un po’ meglio la vita. James T. McIntosh perché ha scritto il romanzo “Il mondo finirà venerdì”, la fantascienza che, insieme a quella di Arthur C. Clarke, più mi entusiasmava da ragazzo; e certo, inviterei anche Clarke. Dalla Francia farei arrivare Michel Houellebecq, che con “La possibilità di un’isola” mi ha fatto scrutare il futuro. Vorrei infine due grandi visionari: George Orwell e ai fornelli lo chef Alain Tonnè-Antonio Albanese.
Ricorda l'ultimo libro che non è riuscito a finire?
Capita di rado per fortuna. Ma “Tocca l’acqua, tocca il vento” di Amos Oz l’ho dovuto mollare dopo cinquanta pagine. Troppo complesso, poco lineare. O forse non era il momento giusto per toglierlo dalla libreria e posarlo sul comodino.
Quale scrittore vorrebbe come autore della sua biografia?
Stefano Benni, perché saprebbe cogliere anche gli aspetti profondi alleggerendoli con la sua ironia.
Che cosa c'è di Luca Angelucci nelle “Storie di bombe e di sogni”?
C’è l’ammirazione per quelle otto persone di cui racconto la vita difficile, quando erano bambini e avevano poco cibo, niente scarpe e dovevano cavarsela tra la guerra, i fascisti, i bombardamenti… E c’è il rimpianto per non aver approfittato dei ricordi dei miei nonni finché erano in vita. Loro provavano a raccontare e io, da ragazzino, scappavo. Infine c’è la speranza che i giovani imparino ad ascoltare.
In “Storie di bombe e di sogni” c'è un passaggio, una parte che lo potrebbe riassumere nella sua essenza?
Potrebbe essere questo passaggio in cui uno dei protagonisti ricorda la morte di un suo amico nel 1944: “Chissà se Fabio è riuscito a sentirle quelle parole prima che l’esplosione lo sbalzasse all’indietro con la violenza di mille calci in faccia. Fabio doveva compiere dieci anni, invece è insanguinato sulla polvere e i sassi e la terra, il respiro mozzato per sempre. Io ho camminato abbastanza per salvarmi, troppo poco per non morire di paura. Torno indietro. Fabio è steso lì, fragile angelo senza ali. Piange disperato Oreste e si chiude gli occhi con un braccio per non vedere più. Piero grida alla follia, alla sua mano destra mancano tre dita e nessuno gliele restituirà. Spuntano decine di persone. Vedo tutto sfocato, le macchie di sangue, le lacrime della gente, l’arrivo dei soccorsi. Maledetta guerra. Vorrei farti una carezza, amico mio”. Giovanni Zambito.

IL LIBRO

Come scrive Sandrone Dazieri nella prefazione del libro “Amadou Hampâté Bâ" scriveva <<Quando muore un anziano, è come se bruciasse una biblioteca>> ma, grazie al lavoro di persone come Luca Angelucci, il danno viene ridotto, la storia rimane.”
“Ciò che accomunava quasi tutti i bambini della guerra erano la fame e la mancanza di scarpe in primavera e d’estate soprattutto. A quei tempi erano tanti i nemici da fronteggiare, però i miei otto protagonisti potevano confidare nell’amore profondo dei genitori che, parole di Aldo Mancini, babbo di Roberto, <<meritavano un monumento per i sacrifici sopportati per proteggerci e farci crescere sani>>. Giorgio Rocchegiani, Giannetto Magrini, Giovanni Fileni, Aldo Mancini, Leonella Memè, Gennaro Pieralisi, Mario Sasso e Corrado Olmi, quei bambini, oggi sono diventati artisti, imprenditori, artigiani, attori, si sono sposati, hanno avuto dei figli. Due purtroppo ci hanno lasciato pochi mesi fa.”, dichiara Luca Angelucci, “Ritengo le loro storie straordinarie, perché straordinario è sopravvivere quando tutto ciò che ti circonda minaccia di stritolarti, di cancellarti. Allora resistere è più di un verbo all’infinito, è una predisposizione dell’anima che influenza il corpo e ogni azione per trasformarsi nella volontà di non arrendersi. Migliaia di italiani, in altre regioni, hanno vissuto durante la guerra vicende analoghe, a cambiare sono solo i nomi delle persone e i paesaggi sullo sfondo. Le storie di questo libro possiedono un valore universale, perciò mi è sembrato doveroso narrarle.” 
<<…Mentre mi avvicino agli alberi sento lo stomaco ribellarsi, sto svenendo dalla fame. Iniziamo a raccogliere le pesche in fretta, le mettiamo in un cestino di vimini…La tentazione però è travolgente, finisco per addentarne una e… i timpani mi si spaccano. Il rumore assordante è il saluto di due caccia sbucati all’improvviso…Ci sparano addosso con i mitragliatori, senza un perché…“Buttati Giorgio!” Ordina babbo e si precipita verso di me. Mi tuffo su uno dei grossi mucchi di erba medica abbandonati lì dai contadini, lui si stende sopra di me per farmi scudo…Non ci hanno colpito. Mai. Ma in pochi minuti, a cinque anni e mezzo, ho capito che la vita e la morte sono legate da un filo sottile e basta niente, magari un morso a una pesca, per spezzarlo. >>  Questo un estratto del racconto d’infanzia dell’artista jesino Giorgio Rocchegiani che nei giorni della guerra ha imparato che le difficoltà si affrontano e si superano e alla domanda di Luca Angelucci se la guerra abbia influenzato la sua vita o la sua arte, scuote con decisione la testa e risponde: <<Mi ha lasciato solo la soddisfazione di aver vissuto settantasei anni di pace>>.
Aldo Mancini, padre di Roberto, commissario tecnico della Nazionale campione d’Europa, pensa che il babbo sia stato ucciso dai fascisti  invece è nascosto in una buca scavata in un campo: non mangia, non parla, non può uscire. A Giovanni Fileni, fondatore dell’omonima azienda di carni avicole, si ferma il cuore quando due nazisti puntano i mitra addosso a suo zio. Mario Sasso, pittore e autore per oltre quarant’anni di sigle per la Rai, si sporge dalla finestra di casa perché il padre è lì sotto, faccia a faccia con un oscuro tenente delle SS che ordina la fucilazione di sette innocenti. Corrado Olmi, grande attore di cinema e teatro, «battezza» tre amici ebrei per proteggerli dalle leggi razziali. 
I protagonisti di questo libro, tutti marchigiani, hanno cresciuto i loro figli con questi e altri racconti degli anni della Seconda guerra mondiale, perché convinti che conoscere il passato sia la chiave che apre la porta del futuro.
Luca Angelucci è nato nel 1971 a Jesi, nelle Marche. Giornalista, è caporedattore del settimanale «Gente». In passato si è occupato di cronaca, attualità e sport per «Il Giornale», «Il Messaggero di Ancona» e il settimanale «Il Diario». Appassionato di cinema, musica e basket, ama raccontare storie.
Fattitaliani

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