Silvana Saguto, Pino Maniaci e Antonino Ingroia visti su Netflix nella docu-serie “Vendetta: guerra nell’antimafia”

Qual è lo stato di salute della Giustizia italiana? Silvana Saguto, Pino Maniaci e Antonino Ingroia: qual è la correlazione che lega questi tre grandi protagonisti dell’antimafia siciliana! “Vendetta: guerra nell’antimafia”, la nuova docu-serie TV dal 24 settembre su Netflix, ci racconta come stanno le cose!

Qual è la salute della Giustizia italiana? Cosa si sta facendo in Sicilia per contrastare la “Mafia” e “Cosa Nostra”? Come si sanno contrastando i “colletti bianchi” e i tanti complici e prestanome della mafia siciliani che posseggono beni e danari dei quali non sono in grado di dimostrarne la provenienza? Qual è il clima che si è respirato in Sicilia negli ultimi trent’anni, dall’uccisione del giudice Giovanni Falcone prima e del giudice Paolo Borsellino poi? Come si è mossa l’“Antimafia” siciliana in questi trent’anni?

Ce ne parla Netflix con la recente docu-serie TV “Vendetta: guerra nell’antimafia” (2021), realizzata da Ruggero Di Maggio, Davide Gambino, Flaminia Iacoviello, Daniela Volker, Suemay Oram.

Il documentario è estremamente interessante e ci parla dei casi giudiziari che vedono protagonisti tre personaggi molto noti dell'antimafia siciliana: Silvana Saguto, Pino Maniaci e Antonino Ingroia.

Qual è la correlazione che lega questi tre grandi nomi dell'antimafia siciliana?

Perché gli autori e gli sceneggiatori di questa brillante produzione cinematografica li mettono insieme nella loro narrazione?

Qual è il messaggio che vogliono che arrivi al telespettatore?

Per rispondere a questa domanda servono risposte articolate, difficili e molto complesse che la docu-serie TV “Vendetta: guerra nell’antimafia”, con genialità narrativa, maestria, grande acume osservativo che dimostra imparzialità ed un distacco oggettivo dai fatti narrati frutto di grande professionalità artistica, riesce ad illustrare ai telespettatori.

Da vedere assolutamente! Buona visione!

Post scriptum:

«E da tener presente: l'antimafia come strumento di potere. Che può benissimo accadere anche in un sistema democratico, retorica aiutando e spirito critico mancando.

E ne abbiamo qualche sintomo, qualche avvisaglia. Prendiamo, per esempio, un sindaco che per sentimento o per calcolo cominci ad esibirsi - in interviste televisive e scolastiche, in convegni, conferenze e cortei - come antimafioso: anche se dedicherà tutto il suo tempo a queste esibizioni e non ne troverà mai per occuparsi dei problemi del paese o della città che amministra (che sono tanti, in ogni paese, in ogni città: dall'acqua che manca all'immondizia che abbonda), si può considerare come in una botte di ferro. Magari qualcuno molto timidamente, oserà rimproverargli lo scarso impegno amministrativo; e dal di fuori. Ma dal di dentro, nel consiglio comunale e nel suo partito, chi mai oserà promuovere un voto di sfiducia, un'azione che lo metta in minoranza e ne provochi la sostituzione? Può darsi che, alla fine, qualcuno ci sia: ma correndo il rischio di essere marchiato come mafioso, e con lui tutti quelli che lo seguiranno. Ed è da dire che il senso di questo rischio, di questo pericolo, particolarmente aleggia dentro la Democrazia Cristiana: «et pour cause», come si è tentato prima di spiegare. Questo è un esempio ipotetico.

Ma eccone uno attuale ed effettuato. Lo si trova nel «notiziario straordinario n. 17» (10 settembre 1986) del Consiglio Superiore della Magistratura. Vi si tratta dell'assegnazione del posto di Procuratore della Repubblica a Marsala al dottor Paolo Emanuele Borsellino e dalla motivazione con cui si fa proposta di assegnargliela salta agli occhi questo passo: "Rilevato, per altro, che per quanto concerne i candidati che in ordine di graduatoria precedono il dott. Borsellino, si impongono oggettive valutazioni che conducono a ritenere, sempre in considerazione della specificità del posto da ricoprire e alla conseguente esigenza che il prescelto possegga una specifica e particolarissima competenza professionale nel settore della delinquenza organizzata in generale e di quella di stampo mafioso in particolare, che gli stessi non siano, seppure in misura diversa, in possesso di tali requisiti con la conseguenza che, nonostante la diversa anzianità di carriera, se ne impone il "superamento" da parte del più giovane aspirante".

Per far carriera. Passo che non si può dire un modello di prosa italiana, ma apprezzabile per certe delicatezze come «la diversa anzianità», che vuoi dire della minore anzianità del dottor Borsellino, e come quel «superamento», (pudicamente messo tra virgolette), che vuoi dire della bocciatura degli altri, più anziani e, per graduatoria, più in diritto di ottenere quel posto. Ed è impagabile la chiosa con cui il relatore interrompe la lettura della proposta, in cui spiega che il dottor Alcamo - che par di capire fosse il primo in graduatoria - è «magistrato di eccellenti doti», e lo si può senz'altro definire come «magistrato gentiluomo», anche perché con schiettezza e lealtà ha riconosciuto una sua lacuna «a lui assolutamente non imputabile»: quella di non essere stato finora incaricato di un processo di mafia. Circostanza «che comunque non può essere trascurata», anche se non si può pretendere che il dottor Alcamo «piatisse l'assegnazione di questo tipo di procedimenti, essendo questo modo di procedere tra l'altro risultato alieno dal suo carattere». E non sappiamo se il dottor Alcamo questi apprezzamenti li abbia quanto più graditi rispetto alta promozione che si aspettava. I lettori, comunque, prendano atto che nulla vale più, in Sicilia, per far carriera nella magistratura, del prender parte a processi di stampo mafioso. In quanto poi alla definizione di «magistrato gentiluomo», c'è da restare esterrefatti: si vuol forse adombrare che possa esistere un solo magistrato che non lo sia?». (Tratto da: Leonardo Sciascia, “I professionisti dell'antimafia”Corriere della sera , 10 gennaio 1987).


INFO SUL DOCUMENTARIO:

“Vendetta: guerra nell’antimafia” è un documentario scritto, diretto e prodotto da Davide Gambino e Ruggero Di Maggio, con la loro società siciliana Mon Amour Films, in collaborazione con l’inglese Nutopia di Nicola Moody, Jane Root David Herman.

“Vendetta: guerra nell’antimafia” è il frutto di un lavoro iniziato nel dicembre 2005 e concluso ad inizio 2021, con un accesso senza precedenti ai protagonisti, alle loro famiglie, ai loro team legali, alle aule di tribunali siciliane e ad un vasto archivio e materiale di repertorio. L'intento è quello di offrire un racconto in tempo reale ed un punto di vista oggettivo su una vicenda recente, complessa e ricca di colpi di scena, di verità e bugie.

Racconta le vicende giudiziarie di tre grandi protagonisti dell’antimafia siciliana: Pino Maniaci e Silvana Saguto, con l’aggiunta di Antonino Ingroia che veste i panni dell’avvocato difensore di Maniaci, ma che al contempo deve difendersi giudizialmente dalla grave accusa di peculato per un incarico pubblico ricevuto nel momento in cui ha lasciato la toga di magistrato.

«Entrambi siamo cresciuti nella Palermo post 1992 – raccontano in un’intervista online Davide Gambino e Ruggero Maggio - Una città invasa dall’esercito, da magistrati e giornalisti in prima linea impegnati a combattere Cosa Nostra. Abbiamo osservato la traiettoria antimafia, che abbiamo voluto raccontare attraverso questi due personaggi, uscendo dalla dimensione santi ed eroi. Volevamo raccontare personaggi tridimensionali, per rappresentare una realtà più complessa e sfumata. Abbiamo cercato di spostare lo sguardo. L’imparzialità è una chimera, ma non va confusa con la mancanza di un punto di vista. Non l’avessimo avuto non avremmo potuto raccontare Vendetta. La struttura produttiva ha permesso di suddividere il peso della narrazione fra tante teste, con una moltiplicazione di punti di vista che hanno garantito imparzialità. Nel panorama documentario italiano spesso si tende a una narrazione in cui sguardo è molto definito, il manicheismo è l’approccio centrale, come se si debba prendere una posizione definita per dare senso al film stesso. Grazie a Netflix abbiamo avuto la possibilità di andare in una posizione intermedia, da osservatori con un punto di vista più sotto traccia possibile. Un approccio internazionale, più inedito da noi. Non volevamo né condannare né assolvere i protagonisti, ma ragionare sul tema di cosa sia vero e cosa no. Sono temi rilevanti e universali, relativi a ciò che ci viene raccontato, un’analisi della realtà importante per essere cittadini impegnati e consapevoli.»

Protagonisti della docu-serie sono Pino Maniaci, giornalista e conduttore TV che da oltre 20 anni con la sua emittente siciliana Telejato con sede a Partinico, dove regna la famiglia mafiosa dei Vitale, dà spazio alla lotta alla criminalità organizzata; e Silvana Saguto, oggi ex magistrato del Tribunale di Palermo che, da Presidente della sezione Misure di Prevenzione, è stata per anni uno dei giudici più importanti e in prima linea nella lotta alla mafia siciliana.

Le storie dei due protagonisti si intrecciano quando nel 2013 Pino Maniaci inizia a condurre una serie di inchieste su gravi episodi di corruzione a carico di alcuni rappresentanti della magistratura siciliana, in particolare della sezione Misure di Prevenzione del Tribunale di Palermo, focalizzandosi proprio su Silvana Saguto. Maniaci accusa l’allora magistrato di aver sequestrato indebitamente dei beni, addebitando compensi eccessivi per la loro amministrazione, e aver portato diverse imprese in bancarotta, con la complicità del marito e di alcuni collaboratori. Silvana Saguto a sua volta accusa Pino Maniaci di favorire la mafia che lui stesso attaccava dalla sua emittente TV. Nel 2016, la procura di Palermo indaga Pino Maniaci per diffamazione ed estorsione accusandolo di avere usato un “metodo a tenaglia”, intento a denigrare o esaltare, attraverso i suoi servizi TV, mafiosi e politici locali in cambio di pagamenti in denaro. Nello stesso anno, 2016, anche Silvana Saguto viene indagata: a suo carico 39 capi d’accusa tra cui corruzione, abuso d'ufficio e appropriazione indebita. Entrambi si proclamano innocenti. Entrambi credono che l'altro sia colpevole. Entrambi si dichiarano vittime di una vendetta. 

Le riprese sono durate, in maniera non continuativa, più di quindici anni, dal 2015 al 2021. In questo modo Vendetta racconta i fatti mentre si svolgono, seguendo l’esperienza dall’intimità dei due protagonisti. Nell’ottobre del 2020, Silvana Saguto è stata riconosciuta colpevole di corruzione e condannata in primo grado a 8 anni e 6 mesi. Nell’aprile 2021, Pino Maniaci è stato assolto in primo grado dalla condanna di estorsione e condannato per diffamazione ad 1 anno e 5 mesi.


Trama da Netflix Italia:

«Il giornalista Pino Maniaci apre un’inchiesta giornalistica contro il giudice Silvana Saguto per gestione clientelare di beni confiscati alla mafia. Il giudice Silvana Saguto accusa il giornalista Pino Maniaci di appoggiare le famiglie mafiose i cui beni sono stati confiscati. Dov’è la verità?»

“Vendetta: guerra nell’antimafia” su Netflix

https://www.netflix.com/it/title/81399651

Scheda IMDb

https://www.imdb.com/title/tt15311044/

Trailer su YouTube “Vendetta, guerra nell'antimafia” | Trailer Ufficiale | Netflix Italia”

https://youtu.be/Rp-joaBU8-U

Andrea Giostra

https://www.facebook.com/andreagiostrafilm/ 

https://andreagiostrafilm.blogspot.it 

https://www.youtube.com/channel/UCJvCBdZmn_o9bWQA1IuD0Pg

 

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