È proprio così, è una pagina singolare della storia che questa regione ai piedi di Roma venga da sempre emarginata e oscurata: tale stato di fatto fu già rilevato da una delle commissioni istituite dopo il 1870: "non si comprende come mai una nobilissima parte d’Italia, quella che volgarmente chiamasi Ciociaria… sia stata fino ad oggi così completamente ignorata e trascurata”, da tutti, a cominciare da Roma medesima, oggi ancora: infatti superfluo aggiungere che quelle due o tre riviste e periodici stampati ed editi a Roma da anni, mai nulla e niente di distintivo hanno riportato sull’argomento e, in aggiunta, ogni tentativo di richiamare l’attenzione al tema, rimasto zero evasione. E, in aggiunta, nel sito turistico della Regione Lazio, la Ciociaria viene presentata al turista o viaggiatore con la icona al primo posto del “formaggio pecorino dop”! e, particolarmente qualificante e aberrante, ad identificarla con la sola provincia di Frosinone! Le istituzioni locali pubbliche e private? Zero, da sempre: si direbbe terra di nessuno!
In realtà, come già nel titolo, non
si conosce, perfino in casa e, aggiungo, se ne
ha paura, perché essa è una
miniera incredibile di storia, la più
antica del paese, e da sempre una fucina di cervelli. Nella prima parte dei
nostri interventi ci siamo arrestati al 1854 che è la data che consideriamo
canonica della ciociarizzazione di
Roma, e cioè del riconoscimento da parte della Chiesa medesima che i veri
abitanti di Roma dell’epoca erano diventati i ciociari, sia per numero, sia per
presenza attiva nella città e nel territorio, sia per la visibilità goduta grazie
alle opere -pitture e sculture- degli artisti stranieri. Oltre alla
proclamazione del Dogma della Immacolata del 1854 di cui nella nostra nota
precedente, una seconda realtà ufficiale del massimo significato ad attestare
tale compenetrazione Roma-Ciociaria è rappresentata dalla Segreteria personale
di Pio IX che era in molta parte
occupata da cardinali ciociari: si distinsero, adeguandosi alle concezioni
papaline, particolarmente per iniziative antiliberali e conservatrici e reazionarie,
nemici del dissenso e perciò ferocemente criticati perfino dai gesuiti stessi e
non soli, più tardi da Benedetto Croce nella sua Storia d’Europa definiti in modo spregiativo: Gizzi da Ceccano, Berardi pure da Ceccano, Antonelli da Sonnino, Bizzarri da Paliano, Santucci da Gorga, Cagiano
de Azevedo da Santopadre, Carlo Vizzardelli da M.S.Giovanni Campano: tra di essi
anche il futuro Papa Leone XIII ciociaro
di Carpineto e Mons. Giuseppe Ferrari, da Ceprano, che ricopriva la
carica significativa di Ministro delle Finanze della Chiesa. Oltre a questi, numerosi altri erano i cardinali e monsignori
ciociari.
E una ventina d’anni più tardi il
Carducci al cospetto delle prime distruzioni di Roma antica da parte dei
cosiddetti ‘liberatori piemontesi’ e al cospetto delle vestigia eterne e
miracolose delle Terme di Caracalla, si chiede offeso e costernato come possa
essere accettabile che la gente, cioè la popolazione di Roma, possa assistere
alla grandezza delle vestigia e alla distruzione incipiente della Roma antica per
mano dei ‘liberatori’, irresoluta, ignava e inerte, e impersona il popolo con
il ciociaro che passa fumando e non guarda, indifferente. E nel contesto a
cavallo del 1870 la fisionomia sociale di Roma inizia a mutare a seguito anche delle
nuove sopravvenienze sia politiche ed amministrative e sia operaie in vista
della vera e propria cementificazione della città. In tale periodo si assiste a
Roma ad una fioritura di artisti come mai nella sua storia: in prevalenza pittori
acquarellisti, a decine e decine, che ritraevano gli angoli e luoghi tipici
della città: una produzione sconfinata,
in massima parte destinata ai turisti e ai forestieri e quanto colpisce in tale
massa di opere è che la presenza umana era rappresentata quasi
esclusivamente dai ciociari. Si ricordi altresì
che gran parte della iconografia celebrativa del 20 settembre 1870, nazionale e
internazionale, illustrava la popolazione liberata: tutti ciociari!
Non si può abbandonare il secolo XIX
senza ricordare brevemente tre fatti storici
di significato: la emigrazione, quella per fame, oppressione, incremento
demografico che si realizza già nelle ultime decadi del 1700 dai luoghi
originari della Valcomino verso le Paludi Pontine, a Roma città e i più audaci
al di là delle Alpi. L'aspetto notevole della emigrazione a Roma fu il contatto
con gli artisti stranieri che diede come esito, per la prima volta nella storia
dell’arte, che il povero e pezzente contadino bracciante come pure la donna, il
brigante, il pifferaro, lo zampognaro, divenissero i protagonisti del dipinto,
i soggetti principali del quadro: una rivoluzione, mai visto prima di allora! Nacque
la cosiddetta ‘pittura di genere all’italiana’, pagina fondamentale della
storia dell’arte. In tale contesto artista-ciociaro, sempre a Roma primi anni del
1800, prese corpo un altro fatto di enorme significato: la nascita della
professione e mestiere del modello e della modella di artista che negli anni successivi dovranno principalmente
a Parigi e poi a Londra improntare di sé la pittura occidentale, col risultato
che oggi vediamo esposte nei musei mondiali opere pittoriche e sculture che illustrano e magnificano per
mano di grandi artisti, le fisionomie e i corpi splendidi di ciociari e di
ciociare. Ai curiosi interessati raccomandiamo sempre: “MODELLE E MODELLI
CIOCIARI a Roma, Parigi e Londra, 1800-1900”. In un prossimo intervento ci
occuperemo anche del Novecento.
Michele
Santulli