Margherita Caravello a Fattitaliani: Alda Merini ha dato voce ad una necessità d’autenticità. Da lei i giovani imparerebbero a vivere. L'intervista

Fattitaliani

Venerdì 27 agosto a Palazzo Rospigliosi a Zagarolo va in scena INDAGINE SU ALDA MERINI: NON FU MAI UNA DONNA ADDOMESTICABILE, una vera e propria conferenza spettacolo, a cura di Antonio S. Nobili e tratta dall’omonimo libro di Margherita Caravello, con la stessa Margherita Caravello affiancata da  Giorgia Trasselli a dare corpo, voce  e passione alla celebre poetessa. L'intervista di Fattitaliani.

Il passaggio dal libro allo spettacolo è stato naturale e indolore oppure difficoltoso?

Grazie innanzitutto per aver anteposto l’aspetto emotivo a quello tecnico nella prima domanda. Quel che a mio avviso ha fatto di Alda Merini la poetessa più letta e più citata è proprio la portata del suo sentire “di più e più forte” ed il coraggio di mostrarsi intera, senza paure, senza riserve. Spesso tendiamo a celare i nostri reali sentimenti per timore d’esser giudicati fragili, inadeguati, diversi. Ma quel che neghiamo perfino a noi stessi, quando ci viene riconosciuto, attribuito, smascherato, torna prepotente a rompere gli argini. Alda Merini ha messo a nudo la sua anima e le sue contraddizioni attraverso un’analisi talmente onesta, generosa e lucida, da parlare a tutti rivolgendosi a tu per tu con ciascuno. Per questo malgrado qualche accademica ritrosia, la gente l’ha celebrata, universalmente.

Per quanto mi riguarda, ci sono caduta dentro come in un innamoramento. Più che di un passaggio si è trattato di un percorso, in più fasi, che ha preso avvio con lo spettacolo Dio arriverà all’alba - omaggio ad Alda Merini di Antonio Nobili attualmente al quarto anno di tournée, che mi ha permesso di avvicinarmi alla figura di questa donna straordinariamente libera, che ha fatto della sua stessa esistenza un’opera d’arte - vagamente dadaista - stando a quanto riferisce Ambrogio Borsani che continua: “convenzioni, inibizioni, in una parola se ne fotteva di tutte le regole”. Le ricerche sulla sua biografia e sulla sua opera mi hanno assorbita al punto da indurmi a riflettere su quanto la sua vicenda umana seppur tanto distante nel contesto storico e nell’esperienza risuonasse dentro di me e perché. La mia indagine è proseguita ben oltre il tempo dell’allestimento. Ho imparato moltissimo, dalle sue parole: a darmi fiducia, a mettermi in discussione, a discernere tra quel che sento davvero mio e quel che mi è rimasto un po’ appiccicato addosso. Alda Merini, ben oltre il disordine proverbiale del suo appartamento sui navigli, dei suoi capricci, della polvere sui mobili, e delle scritte col rossetto sui muri, ha dato voce soprattutto ad una necessità d’autenticità che ho colto nel suo esempio e della quale sentivo che anche il pubblico che ci segue sui social aveva bisogno, soprattutto durante il tempo troppo lungo di isolamento imposto in cui ho scritto il libro Indagine su Alda Merini: non fu mai una donna addomesticabile. Saltate le abitudini, si è creato uno spazio altro in cui tanti, per fortuna, hanno colto l’occasione per guardarsi onestamente nello specchio, tirare le somme e, in qualche caso, rivedere le proprie priorità. L’intento è quello di cavalcare il momento e attraverso l’esempio della poetessa, infondere fiducia nelle possibilità di ciascuno d’essere più sincero con se stesso, soprattutto, e di conseguenza più comprensivo e propositivo anche nei confronti del prossimo.

Sulle nostre pagine Facebook si è creato in quel periodo una sorta di circolo virtuoso in cui quotidianamente ci siamo rimasti accanto, ci siamo fatti compagnia e coraggio di fronte all’incerto e alla solitudine. Abbiamo proposto degli appuntamenti in diretta per raccontare la poetessa oltre la superficie del noto, riscontrando un seguito crescente e benefico, al quale hanno partecipato spontaneamente e con grande soddisfazione innumerevoli persone tra cui anche chi Alda Merini l’ha conosciuta, vissuta, frequentata, scrutata occhi negli occhi. Il plauso della figlia Barbara, le lunghe telefonate con la nipote Laura, che hanno curato poi la prefazione del mio libro, mi hanno incoraggiata molto. L’aiuto concreto di Antonio Nobili, con il quale collaboro da diversi anni e che non ringrazierò mai abbastanza, ha fatto il resto: passare dal libro alla scena è stata una naturale evoluzione del percorso: incontrarsi dal vivo amplificherà il coinvolgimento del pubblico. E poi ci sarà con me sulla scena Giorgia Trasselli, attrice e donna favolosa, con la quale si è creata una sintonia immediata.

Raccontiamo l’esempio di una donna imperfetta, testarda, anche fragile ma che si è conquistata il suo spazio, giorno dopo giorno, parola dopo parola, andando incontro generosa alla stessa società che l’aveva fraintesa ed emarginata, e senza perdersi d’animo mai. Certo, siamo una produzione indipendente, non esente da tutte le difficoltà legate al contingentamento delle platee, alla disaffezione del pubblico verso la fruizione di spettacoli teatrali ma effettivamente il pubblico non ha colpe e non ci deve niente. Siamo noi ad andare loro incontro e fare tutto quanto in nostro potere per conquistarne il favore, senza tradire il principio che ci muove. Proprio come prima di noi ha fatto anche Alda Merini entrando nelle case degli italiani ospite del Costanzo Show, ad esempio. L’urgenza logora, come una fiamma accesa, ma è vibrante di vita. Val bene la pena di fare un po’ di fatica quando c’è in ballo un messaggio ancora così attuale e necessario.

Nell'adattamento ha dovuto sacrificare qualche parte che comunque Le stava a cuore?

Non si finirebbe mai di raccontarla, Alda Merini. Lei stessa si è concessa, generosa, a stuoli di giornalisti, studiosi, appassionati, autori televisivi, amici, curiosi, editori e ladri. Quel che più mi sta a cuore non è tanto essere esaustiva rispetto alle sue vicende biografiche ma attraversarle per cogliere quel che ancora oggi rappresenta. Fare della sua esperienza uno spunto di riflessione, un faro di nuove consapevolezze, uno sprone per svincolarsi dalle catene del normale quando si fanno pesanti, stringenti, e non si sa che fare. Alda Merini ha avuto la forza di trarre nuovo slancio da ogni difficoltà incontrata sul suo percorso, volgendo a suo vantaggio perfino la curiosità morbosa del pubblico sul suo internamento manicomiale. Che tempra, ci vuole! Andare ospite di salotti televisivi a parlare di poesia, coprirsi di bigiotteria sgargiante per catturare l’attenzione, truccarsi gli occhi e le labbra di colori accesi per dar risalto allo sguardo e alle parole. Si può dire che il teatro fosse già nell’aria.

In che modo ha lavorato con Antonio S. Nobili per rendere al meglio le sue idee anche sulla scena?

La scrittura per la scena prende le mosse dal libro e apre nuove prospettive di volo: in collaborazione con Antonio Nobili abbiamo optato per una narrazione a tre voci che desse spazio a tutte le contraddizioni e i ripensamenti di una figura complessa: combattiva, focosa, romantica e curiosa, ironica, provocante, profonda ed irriverente. Alda Merini ha iniziato a scrivere a 15 anni e non si è mai fermata, se non forzatamente durante gli anni del manicomio. Dopo le dimissioni, ha ripreso con più lena: la sua produzione è sterminata e, in parte, ancora inedita. Nel corso degli anni la sua scrittura è diventata sempre più semplice ma non povera, abbordabile da chiunque avesse anima, più che cultura, e questo abbiamo cercato di rispettarlo, più di ogni cosa, perché fosse fruibile anche ad un pubblico che non frequenta abitualmente letteratura o teatro, affinché grazie a questo lavoro chiunque possa avvicinarsi e attingere per sé quel che più gli è utile: a sviluppare la propria autonomia di pensiero, a far pace con i propri tormenti, a muovere il passo verso sentieri nuovi e più autentici, personali. Come diceva Troisi a Neruda “la poesia è di chi gli serve”.

La trasposizione teatrale Le ha fornito una luce diversa su Alda Merini?

Dar voce e corpo alle parole di certo ci ha permesso di ampliare la portata del loro senso al linguaggio non verbale, che si esprime nelle pause, nei silenzi, nelle occhiate e nei gesti. La commistione con degli inserti video, montati appositamente e ad arte per questa occasione, completa la narrazione: c’è lei, in persona, a cui abbiamo deciso di lasciar sempre l’ultima parola. Credo che le avrebbe fatto piacere.

Oggi il pubblico giovane cosa potrebbe imparare dalle sue poesie?

A vivere, soprattutto, imparando a dare il giusto peso alla società intorno, ridimensionando l’importanza delle aspettative altrui sulle proprie scelte. A vivere di slanci, con il coraggio di assumersi la responsabilità e le conseguenze del proprio agire, a non farsi intimorire dal pregiudizio del normale, a svincolarsi dal giogo dell’appartenere necessariamente alla maggioranza, a riscoprire la bellezza fin nelle più piccole cose del quotidiano, a ritrovare la propria radice poetica, che ce l’abbiamo tutti e vive nella capacità che tutti abbiamo di emozionarci.

C'è un passaggio che potrebbe riassumere lo spirito del libro e dello spettacolo?

Per me, questo qui: “C’è una dimensione dilatata di questa costante d’amore che ha spinto Alda Merini a farsi carico per tutta la vita di un’urgenza amorosa che va ben al di là del confine dei versi: ha avvicinato e scritto di migranti, pazzi, barboni, ha dato voce ad ogni emarginato, ben sapendo che quando si parla delle miserie umane si parla a tutti. Alda ha avuto il merito di accordare una fiducia incrollabile nell’essere umani, ha avuto il coraggio di non abbandonarsi, la passione sempre accesa, lo sguardo pronto e pieno di stupore, aperto a tutte le cose visibili e invisibili, vicine e distanti, liriche, umili e palpitanti.” Giovanni Zambito.

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