Federico Longhi è un "Don Pasquale" più giovanile e moderno: l'opera nutre l'anima e il cuore. L'intervista di Fattitaliani

Dopo il trionfale successo dello scorso anno nei panni di Rigoletto, il baritono Federico Longhi sarà il prossimo protagonista del Don Pasquale di Gaetano Donizetti nella stagione estiva del Teatro Regio di Parma, in scena dal 30 giugno. Fattitaliani lo ha intervistato.

Don Pasquale è uno dei personaggi simbolo dell'opera buffa. Lei personalmente come lo vede?
Don Pasquale è un personaggio straordinario, che accanto alla tipica personalità del buffo affianca tratti malinconici che ispirano una straordinaria tenerezza. Quando nel terzo atto c’è la famosa scena dello schiaffo, che Norina gli dà poiché lui vorrebbe proibirle di andare a teatro, Don Pasquale sveste la maschera del buffo per mostrare tutta la sua fragilità umana. Molti parlano di questo come il punto in cui l’opera buffa italiana cessa di esistere, e possiamo davvero dire che è proprio così. Tutti i titoli buffi successivi non lo saranno mai veramente: ho cantato già Falstaff (sia nel ruolo del titolo a Linz, che in più occasioni come Ford, anche diretto dal Maestro Riccardo Muti), ebbene Sir John è in qualche modo debitore di Don Pasquale nel celare dietro quell’aspetto esteriormente buffo una straordinaria umanità. Inoltre dobbiamo aggiungere che il primo Don Pasquale nel 1843 fu Luigi Lablache, il quale alternava ruoli di basso brillante a ruoli decisamente lirici: fu il primo Giorgio ne I Puritani di Bellini e persino Massimiliano Moor ne I Masnadieri di Verdi.
Nella prossima rappresentazione come sarà il "suo" Don Pasquale? Con il regista vorrete puntualizzarne un aspetto, una sfumatura in particolare?
Il mio timore nell’avvicinarmi a questo personaggio era il solito cliché del vecchio borbottone in cui certa tradizione ha imprigionato questo personaggio. Invece con il regista Pier Francesco Maestrini stiamo tirando fuori un personaggio diverso, più giovanile e moderno, in cui c’è un lato da vero boss e uno da uomo fragile e sottomesso alla virago Sofronia (Norina) che al posto del famoso schiaffo mi darà una chitarrata in testa (ride).
Pensando al suo debutto con "Figaro" e al suo percorso fino ad oggi, ci sono delle costanti che tiene sempre presenti e altri elementi che scientemente ha modificato nell'interpretare e cantare alcuni personaggi?
Nel mio percorso la costanza è forse la caratteristica più significativa… non ho mai voluto accelerare i percorsi di crescita naturale della mia personalità vocale e artistica. Anche oggi, dopo aver affrontato ruoli che sono tappe fondamentali nella carriera di un baritono (Rigoletto su tutti), rifletto sempre molto su quali possono essere i passi successivi. Penso che la qualità sia più importante della quantità e che sia necessario essere sempre molto attenti nella scelta dei personaggi, aspettando il momento giusto. Quando nel 2016 il maestro Paolo Gavazzeni, allora direttore artistico dell’Arena di Verona, mi offrì di debuttare Rigoletto, dopo un’attenta riflessione, decisi di accettare perché sentivo che era il momento giusto per affrontare un ruolo monstre sia vocalmente che psicologicamente, e ringrazio ancora oggi per quella opportunità, visto che Rigoletto è divenuto uno dei ruoli che frequento abitualmente.

Adesso vogliamo conoscere Federico Longhi come persona utilizzando la descrizione che troviamo sul frontespizio del libretto di "Don Pasquale", per vedere quanta corrispondenza c'è fra lei e il personaggio. Cominciamo con "tagliato all'antica"...: nell'opera lei preferisce un taglio tradizionale o sperimentale?
Questo Don Pasquale non sarà affatto all’antica, grazie alla visione del regista Maestrini, avrà un’ambientazione newyorkese anni ’30 circa. Il mio Don Pasquale sarà una specie di boss mafioso, con la pistola, gli scagnozzi, il bicchiere di whisky sempre pieno e tanta gente intorno che mi fa dei doni e mi bacia l’anello. Mi piacciono regie così, che pur rimanendo nel totale rispetto della musica, danno la possibilità di creare un personaggio unico e ritagliato anche sulle capacità dell’interprete.
Quanto è "economo"? che rapporto ha con il denaro?
Ho un rapporto equilibrato con il denaro, spendo per vivere e risparmio per realizzare e investire in cose che servono per farmi stare bene o per togliermi qualche sfizio di tanto in tanto.
È più "credulo" o “ostinato”?
Se “credulo” vuol dire che credo nel futuro, lo sono. Ho sempre creduto in quello che ho fatto e sono ostinato nel perseguire i miei obiettivi. Io guardo sempre avanti e con perseveranza e forza di volontà cerco di raggiungere le mete che mi sono prefissato.
Pensa di essere un "Buon uomo in fondo…”?

Io credo di esserlo neanche tanto in fondo. Certo, anche io ho fatto delle scelte che possono aver fatto male a qualcuno, ma ho sempre voluto aiutare gli altri, sia nella professione che nella mia vita personale: aiutare qualcuno in difficoltà come magari un allievo che sta cercando la propria strada. Sono credente e la mia fede mi insegna a non mettere in mostra il bene che faccio, ma a farlo concretamente, ogni giorno.
Dopo la fase pandemica, cosa direbbe al pubblico per fargli ritrovare il rapporto con l'opera e fargliene rigustare la bellezza?
La pandemia ci ha costretti a rivedere tutte le nostre priorità e la nostra vita quotidiana, ma una costante di questo periodo è stata la voglia e la ricerca di bellezza. Ora che, incrociando le dita, ci siamo lasciati il peggio alle spalle, abbiamo tutti voglia di riassaporare le emozioni dell’arte, e della musica dal vivo… quindi invito il pubblico a venire a condividere con noi l’incanto dell’opera lirica, forma d’arte assoluta, che unendo poesia, note musicali, immagini, nutre l’anima e il cuore. Giovanni Zambito.

Foto di Mattia Paladini

Fattitaliani

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