Intervista ad Edda Ansaloni, una scrittrice, una giornalista, una donna sincera

Fattitaliani

di Laura GoriniLo scrittore non cambia nel tempo: quello che hai dentro esce ed è così oggi come quattromila anni fa.

È una giornalista con una lunga carriera alle spalle, una brava scrittrice e una mamma, oltre che una  nonna, amorevole Edda Ansaloni. Simpaticissima e sincera come poche, possiede anche un cuore molto grande dove c'è posto anche per i suoi amici di pelo. Ed è a uno di essi, allo splendido Nettuno, che oggi non c'è più,  che ha dedicato un libro molto emozionante, un vero e proprio diario, dove il narratore è proprio lui. E poi, sempre per la stessa casa editrice, la Tomolo Edigiò, ha pubblicato  “ La guerra di Sara”, un romanzo molto toccante dove la sua mamma racconta, ancora bambina, di come ha vissuto la guerra.

Edda, presentati ai nostri lettori con pregi, vizi e virtù...

Ovviamente,  amo moltissimo scrivere, così come amo il mare e la natura, in generale.  Una grande passione è anche il  giardinaggio, il disegno, la fotografia e tutto ciò che è creativo. Amo molto cucinare e  sperimentare sempre piatti diversi e condividerli con le persone  che amo. Ai  miei due  nipotini Matteo e Cristian ho sempre cercato di infondere l’amore e il rispetto per il nostro pianeta, invitandoli alla curiosità verso il regno animale, vegetale e minerale. Non sopporto gli invidiosi e i prepotenti. Di solito ho molta pazienza, ma quando la perdo…

Oggi sei una giornalista molto affermata e una brava scrittrice, ma quando hai capito che erano la Comunicazione e la Scrittura la tua strada?

Da sempre. Mi ricordo che quando ero molto piccola ( 6-7 anni) scrivevo storie di fantasia e poi le nascondevo nei posti più impensati (di solito  dietro alla credenza, che si trovava in sala), perché  ho sempre avuto molto  pudore dei miei sentimenti più profondi: può sembrare un’incongruenza, visto il mestiere che faccio, ma è così.

Sin da piccola sono sempre stata anche una grande lettrice: leggevo tutto quello che era stampato, compreso il foglio di giornale con il quale erano avvolte le verdure o i fogli di giornali, che venivano messi sul fondo dei cassetti di armadi e comò dalla  mamma.

Come è cambiato il modo di comunicare e di fare giornalismo ora rispetto agli anni passati?

Moltissimo. Quando ho iniziato a scrivere per La Gazzetta di Modena, giornale per il quale scrivo ancora, si usava la macchina da scrivere e usavamo dei fogli prestampati forniti dal giornale, che poi inviavamo alla redazione con il fax.  Le foto, invece, dovevamo scattarle, portarle a stampare dal fotografo e poi portarle al treno e inviarle per “Fuorisacco”. Altra possibilità era quella di contattare il fotografo del giornale, il quale ci accompagnava, ma non sempre era possibile. Oggi tutto è più facile e semplice, con i  computer e le macchina fotografiche digitali.

Che ricordo hai dei tuoi esordi? 

Bellissimi, pieni d’entusiasmo, sempre alla ricerca del “pezzo” giusto.

Sii sincera: hai mai pensato di mollare tutto e di cambiare mestiere?

Solo una volta: forse perché lavoravo tantissimo,  spesso scrivevo un’intera pagina al giorno e a volte anche di più, solo per La Gazzetta di Modena, senza contare  tutte le altre collaborazioni a giornali e libri vari.  Quel giorno, però, successe un fatto molto strano, che mi ha fatto sempre molto pensare: ricevetti una telefonata da un uomo, che mi  ha parlato di mala sanità subita da sua madre invalida. Mi recai a casa sua ed ebbi modo di conoscere una famiglia umile, ma molto dignitosa, che viveva in una casa molto vecchia: al piano terra erano collocate la cucina e la sala e le camere erano ubicate al piano superiore. Per raggiungere quel piano vi era una scala ripidissima, per cui era impossibile far scendere la signora invalida, che viveva sempre nella sua camera e che consumava i suoi pasti da sola su di un pianerottolo. La famiglia (figlio, nuora e nipote) era molto amorevole con lei, ma non vi era lo spazio, per poter mettere anche una sola sedia, per cui la signora non poteva  mai scendere o mangiare in compagnia.  Il problema era che chi di dovere non riconosceva la sua invalidità, proprio perché provocata da un intervento sbagliato e, di conseguenza, non aveva aiuti. Intervistai la signora, la fotografai  e lo stesso giorno dell’uscita del mio articolo, la signora “conquistò” la sua invalidità. Quell’episodio  mi fece capire  l’importanza del mio mestiere e riaccese un fuoco, che non si è ancora spento.

Certamente per lavoro avrai incontrato molti personaggi importanti e realizzato splendide interviste a cuore aperto. Quali sono che ricordi con maggior letizia?

Tantissimi. Impossibile raccontarli tutti. Penso che uno in particolare possa far capire tante cose. Un pomeriggio incontrai, per un’intervista, il Maestro Luciano Pavarotti. Lui arrivò, a bordo della sua Mercedes rossa e si fermò nel cortile del “Ristorante Europa 92”, che era di sua proprietà. Pavarotti aveva male ad una gamba e mi chiese se potevo salire in macchina con lui, così non avrebbe fatto lo sforzo di scendere. Conoscevo il Maestro da molti anni e alla fine dell’intervista lui mi confidò un peso che  gli appesantiva il cuore: alcuni suoi grandi estimatori americani volevano fargli un regalo, una modernissima struttura polifunzionale, dall’incredibile valore di cento miliardi delle vecchie lire. Loro stessi sarebbero venuti a costruire quella struttura, che non aveva eguali in tutta Europa. L’unico punto fermo era il nome: si sarebbe dovuta chiamare “PalaPapavotti”. Quella struttura, Luciano, la voleva regalare alla nostra città, ma chi governava a  quel tempo disse di no e lui era affranto di dover telefonare ai suoi estimatori e riferire quel rifiuto, un rifiuto che lui ha vissuto con profondo dolore. Non andai al suo funerale, ma quel giorno uscì il mio pezzo: è stato quello il mio modo per dirgli addio.

Ed è stato in seguito a queste chiacchierate a cuore aperto che hai deciso di diventare scrittrice?

No. Ho sempre scritto articoli, romanzi, racconti, favole e poesie. A proposito di poesie, prima della fine di quest’anno la   Tomolo Edigiò Edizioni pubblicherà una mia raccolta di poesie. Un volume che conterrà cinquantadue poesie inedite.

Complimenti! Ma che cosa significa esserlo oggi?

Secondo il mio punto di vista, lo scrittore non cambia nel tempo: quello che hai dentro esce ed è così oggi come quattromila anni fa.

Che augurio e/ o consiglio ti senti di dare a una ragazza che vuole seguire le tue orme professionali?

Se hai la passione e la schiena dritta vai avanti, perché vi sono tante persone che hanno bisogno della nostra voce!

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