Donne che innovano, il libro di Giada Palma che dà voce a chi, ogni giorno, si impegna per un futuro migliore. L'intervista


di Francesca Ghezzani
Giada Palma è l’autrice del libro Donne che innovano, oggi tradotto anche in inglese con il titolo 20 Women for innovation.

Per dar vita a quest’opera, Giada ha intervistato 20 donne imprenditrici e scienziate che vivono e lavorano in Israele, Turchia, Svezia, Norvegia, Spagna, Austria, Germania, Lituania, nei Paesi Bassi e in Italia.

Nel libro si raccontano, descrivendo il loro business e la vita quotidiana di chi, ogni giorno, innova.

La prefazione ci accoglie con queste parole: “Leggendo questo libro, si viene immediatamente assorbiti dalle storie. Come hanno trasformato un’idea per migliorare le nostre vite, con una chiara visione e ambizione, in un’impresa reale e possibile. Per giungervi si attraversa una strada accidentata; è necessario essere una Jane of all trades per superare tutti gli ostacoli e le sfide”. Giada, spiegaci meglio il significato di “Jane of all trades”.

In realtà l’ho scoperto proprio in occasione della prefazione, perché non conoscevo l’espressione. Negli Stati Uniti viene utilizzata per indicare chi se la cava in situazioni diverse tra loro. In questo senso la traduzione per noi sarebbe quella di “tuttofare”, anche se trovo molto più affascinante la versione inglese. Credo che Josette Dijkhuizen non avrebbe potuto scegliere titolo migliore per introdurre il libro, perché quella Jane di cui lei parla rispecchia in realtà il mio modo di sentire.

Durante le interviste, ti hanno mai confidato di aver pensato di volersi tirare indietro, di abbandonare il progetto di fronte alle difficoltà incontrate?

Sì, è successo. La storia più significativa in tal senso è quella di Neus Sabaté. Neus è un ingegnere elettronico e ha trascorso diversi anni costruendo circuiti in silicio per sostituire le tradizionali batterie ma senza alcun successo. Non voglio fare uno spoiler della sua storia, ma la sua scoperta è nata proprio nel momento di maggiore sconforto.

Oltre all’etimologia e al significato della parola “innovazione” che tutti conosciamo, hai appreso una sfumatura più ampia del concetto ascoltando le loro storie?

Ogni storia presenta una diversa declinazione del concetto, e confrontarmi con queste donne straordinarie mi ha permesso di trasporre l’innovazione sul piano etico, lì dove sorgono le motivazioni che poi spingono a portare avanti il progetto di impresa. Penso che ascoltare i racconti delle imprenditrici e la loro storia abbia reso la loro innovazione molto più tangibile.

Pensi che la pandemia abbia rallentato o accelerato in qualche modo questo processo?

Come in tutte le situazioni di profonda crisi, anche durante la pandemia si sono generate nuove opportunità specifiche, essendo state stimolate determinate industrie (penso qui a quella medicale, alla farmaceutica e alla chimica). Inoltre anche il cambiamento sociale che ne è derivato sta costringendo il mondo dell’impresa a ripensarsi, ad esempio immaginando postazioni di lavoro mobili e maggiore flessibilità. Di esempi ce ne sono molti. Io sono convinta che ogni cambiamento repentino ci costringa ad innovare per sopravvivere attraverso un meccanismo adattivo.


Innovare, ma anche fare impresa. Senza questo secondo passaggio il primo non potrebbe concretizzarsi?

Nel contesto scientifico e della ricerca le due cose sono strettamente correlate. Più di una tra le intervistate mi ha riferito di aver deciso di diventare imprenditrice in seconda battuta, dopo aver venduto una loro scoperta a grandi multinazionali che le avevano acquistate al solo scopo di non farle arrivare sul mercato. Ogni ricercatore nell’ambito delle scienze applicate ambisce a vedere il frutto del suo lavoro nel mondo, tra le mani di qualche ignaro utilizzatore. Da più parti ho ascoltato l’esigenza di rafforzare il technology transfer e il collegamento tra mondo dell’industria e università.

In chiusura: so che non vuoi fare differenze tra le 20 intervistate e che hai apprezzato in egual misura ognuna di loro, ma c’è una frase, un virgolettato, che ti ha particolarmente colpito e fatto riflettere?

Tanti, tanti davvero. Oggi rimango in ambito green citando Gabriella Colucci, nella quale mi rivedo molto sotto il profilo caratteriale. È un messaggio pieno di speranza e amore, che Gabriella rivolge ai ragazzi e io ho posto a conclusione del suo capitolo. Anche se è lungo mi piace riprenderlo per intero. “Vorrei trasmettere un messaggio ben preciso, e cioè che quando hai un sogno, ce l’hai sempre, è in te la capacità di generarlo. Da bambina vuoi essere la principessa. Se sei sportiva vuoi andare alle Olimpiadi. Poi arriva il sogno ‘maturo’ e lo identifichi, ma non è detto che succeda a vent’anni, anzi è più probabile che sia a quaranta, quando hai accumulato esperienze e hai più chiaro cosa vuoi fare. Io di certo non sono in linea con le aspettative di crescita di una persona normale, avendo cominciato a fare l’adulta a quarantacinque anni. Quindi ai ragazzi vorrei dire: se a vent’anni non sapete cosa volete o non avete trovato una via, non vi sentite inadeguati. Lungo la strada accumulate un bagaglio che potrete esprimere un domani, quando troverete il vostro sogno. Ognuno ha i suoi tempi di maturazione: in quest’ambito non si possono applicare regole.”

Fattitaliani

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