Quella mattina di metà giugno era l’ideale per una bella escursione sul Roccia Grande. Lucina, Nica, Zolfina, Zelinda e Albertona si erano già messe d’accordo la sera precedente inviandosi a vicenda un pipi-razzo e avevano preparato i loro zaini con tutto l’occorrente per la scalata della parete nord, la più facile di tutte, ovviamente, data la presenza di Albertona strega fifona. Con gli scarponi sotto il gonnellone nero felpato per le escursioni d’alta quota, la piccozza, le corde, i caschetti, l’imbrago, i ramponi e lo zaino fornito di tutto punto, le nostre amiche si incamminarono lungo il sentiero di San Pancrazio, seguite dalla capra Cornelia, scalatrice emerita dagli zoccoletti rosa. Albertona aveva nello zaino un kilo di cioccolata come precauzione contro eventuali carenze di zuccheri per sé e le altre, invece Nica aveva messo in tasca il cattura-ragno, uno strumento formidabile per cavare fuori i ragni dai buchi, operazione che avrebbe dovuto eseguire in via precauzionale in ogni foro di presa essendo a capo della cordata e ben sapendo che Lucina e Albertona erano terribilmente aracnofobe (strano a dirsi per due streghe, ma ognuno ha i suoi limiti!).
Mentre camminavano lungo il sentiero di San Pancrazio, le nostre amiche si godevano l’aria fresca della mattina e respiravano a pieni polmoni per liberarsi dal fumo che avevano dovuto respirare a lungo accanto ai camini della loro cucine lungo tutto l’inverno. L’estate imminente invitava a liberare i pensieri, a sognare e a progettare: Nica diceva che presto si sarebbe trasferita nella sua sconquassata villetta di Pithecusa e, contemporaneamente, essendo dotata di vite parallele, sarebbe andata a fare uno scavo archeologico a Samarcanda, una crociera sui fiordi norvegesi, e una visita al castello scozzese di Ghostyburg. Inoltre avrebbe collaborato all’invenzione dello Spettrografo per fotografare i fantasmi e alla ristrutturazione della ferrovia transiberiana.
Invece Albertona progettava di recarsi in Oriente e di prendere lezioni Zen per tenere a bada la sua ansia: Lucina, dispettosa come sempre, le consigliò di prendersi piuttosto un litro di ansiolitico al giorno, anziché cinque gocce, per cui Zelinda le mise sotto il naso una grossa fetta di cacio superpuzzolente e le fece venire una lunga serie di starnuti che le impedirono di aggiungere altre cattiverie per l’intera ora successiva. Solo quando ebbe finito di starnutire poté chiedere scusa e comunicare alle sue amiche che stava programmando di frequentare un corso estivo di lingua babilonica per poter comunicare con tutti gli esseri viventi del pianeta e per dimostrare di essere utile a qualcosa e a qualcuno.
In quanto a Zelinda che camminava goffamente sotto la sua mole e si grattava continuamente perché aveva mangiato tre kili di fragole che le avevano procurato allergia, beh, si sarebbe accontentata di fare un bagno nella fontana di Trevi con Alan Orbiter come nel film La dolce vita, solo che la sua figura sembrava tutt’altro che quella di Eva Gardner; inoltre sarebbe sicuramente scivolata sulle monetine e si sarebbe rotta qualcosa. Meglio sarebbe stato per lei che conosceva bene le erbe medicamentose e le moderne medicine, tornare a fare volontariato in terra d’Africa dove avrebbe potuto portare anche i giocattoli costruiti a mano dalle sue amiche di Rocciagreve. Fantasticando sui loro programmi estivi più o meno realizzabili, le streghe attraversarono il Vallone del Montonetigrato, il bosco di Caccianuova e passarono davanti alla chiesolina di San Remigio eremita ramingo. Quando giunsero ai piedi della parete nord del Montefoscoso, poggiarono a terra l’attrezzatura e si prepararono per la salita.
-
Hai visto il mio moschettone verde? - chiese
Zelinda ad Albertona.
-
Certo, lo porti appeso all’orecchino destro,
rispose l’amica.
-
Chi mi aiuta a caricarmi sulle spalle lo zaino? -
chiese Lucina.
-
Io ovviamente - intervenne fulminea Zolfina che
con una strampalata formula magica fece volare lo zaino di Lucina in direzione
di un nido di grifone. Lo zaino atterrò sull’uccellone selvaggio che,
indispettito, lo strappò tutto con il becco riducendolo a fettuccine e fece
cadere giù tutto il contenuto (un chiodo da roccia finì nell’occhio destro di
Albertona che cominciò a lamentarsi come una fusoliera).
-
Sei sempre la solita pasticciona – urlò Lucina
mentre dava un sonoro pugno sulla testa di Zolfina. A quel punto si staccò
dalla parete un grosso sasso che colpì dritto il naso di Lucina (chissà chi era
intervenuta per punire la strega intollerante) procurandole un ematoma blu che
sembrava una grossa panzè stranamente sistemata su di un naso.
-
Ciaccione, ce l’avete tutte con me! – si risentì
subito Lucina, ed estratte alcune unghie di drago dalla tasca, le usò come
arpioni e cominciò la scalata. – Vediamo chi arriva prima – aggiunse mentre
sotto al suo sciarpone si arrampicava attaccata alla parete come un enorme
pipistrello ciccione.
- Dove pensi di andare senza cordata? – gridò Albertona mentre l’afferrava per la possente caviglia in un atto di inusuale coraggio.
Così Nica si aggrappò alla
caviglia di Albertona, Zolfina a quella di Nica, Zelinda a quella di Zolfina e
la capra Cornelia addentò lo scarpone di Zolfina. Piena di stizza Lucina filava
su per la parete come un treno con tutte le altre appese. Quando passarono
davanti al nido del grifone, l’uccello le guardò esterrefatto e si accucciò
preoccupato. La parete nord fu così scalata in soli cinque minuti e quando
arrivarono in cima guardarono tutte in cagnesco Lucina ma poi scoppiarono in
una fragorosa risata perché avevano appena battuto il record della scalata. A
quel punto cominciarono a guardarsi attorno: davanti ai loro occhi si apriva
l’ampia distesa del Caminone, l’antico ghiacciaio del Roccia Grande. Zelinda
non stava più nella pelle: estrasse dallo zaino una grossa padella, ci sistemò
dentro i piedi e cominciò a scivolare sul ghiacciaio tra urletti di entusiasmo
e risate sguaiate, scompigliandosi ancora di più i capelli. Albertona, invece,
camminava sul ghiacciaio con circospezione, per paura di cadere. A quel punto
Lucina, che aveva appena indossato i suoi pattini da ghiaccio, l’afferrò per la
vita, la prese in braccio e cominciò a scivolare sul ghiacciaio ma, all’accenno
della prima piroetta, cadde sul sedere sotto l’enorme mole di Albertona, che
nel frattempo urlava disperatamente.
-
Sei proprio incorreggibile! – urlò Nica contro
Lucina.
-
Volevo solo farla divertire – si difese la strega
dispettosa.
-
La prossima volta ti lasciamo in città per
punizione.
-
Non è giusto, siete voi che non accettate gli
scherzi.
- Allora beccati questo scherzo! – inveì Zelinda rovesciando un termos di tè alle mele verdi sulla testa di Lucina.
Nel frattempo Albertona, che era atterrata
di faccia sul ghiacciaio, ebbe la sensazione di vedere qualcosa di strano sotto
un profondo strato di ghiaccio.
-
Ehi, smettetela di litigare e venite a vedere –
gridò alle sue compagne.
Quando tutte ebbero concentrata
l’attenzione su un ammasso di vestiti e forse due gambe con i piedi rivolti
verso l’alto, si convinsero che doveva trattarsi di un corpo intrappolato nel
ghiaccio.
-
Scaviamo subito e vediamo di chi si tratta – disse
l’impavida Lucina.
-
Per carità, ho paura – rispose subito l’Albertona
tremante.
-
Accendiamo un fuoco e facciamo sciogliere il
ghiaccio – propose Zelinda.
-
E se si trattasse dell’uomo delle nevi? – si
chiese Nica – Che bell’incontro sarebbe! Mi piacerebbe tanto fare la sua
conoscenza.
- Non perdiamoci in chiacchiere – abbiamo tutte una piccozza per cui cominciamo subito a scavare – invitò perentoriamente all’azione Zolfina.
Così, in men che non si dica, tutta la
compagnia fu al lavoro e, facendo schizzare schegge di ghiaccio qua e là, raggiunse due piedi custoditi in grandi
scarponi da montagna, due gambe fasciate da calze di lana pesante a strisce
multicolor, un gonnellone nero di pannetto invernale, una giubba da montagna
viola, una sciarpa di lana verde con roselline e, infine, comparve una testa
dai capelli arruffati (l’avrete già capito, si trattava di una strega) e un
viso su cui troneggiava un enorme naso bitorzoluto. Non appena si ritrovò fuori
dal ghiaccio, la strega starnutì e si mise a sedere muovendosi come un pupazzo
rotto. Quindi aprì gli occhi e guardò meravigliata e ancora intorpidita tutte
le sue salvatrici ad una ad una.
-
Cos’è successo? – chiese alle streghe che la
guardavano col fiato sospeso.
-
Sei rimasta intrappolata nel ghiaccio non sappiamo
per quanto tempo. Come ti chiami e come sei arrivata qui?
- Pel di peluffo, non ricordo niente…non mi fate troppe domande, ho sonno e sento tanto tanto freddo…
La strega ibernata sembrava in preda ad uno
stato soporifero: incrociò gli occhi, chiuse le palpebre e cadde pesantemente
di lato battendo la testa sul piede sinistro di Nica.
-
Accidenti, e adesso che facciano? – chiese Albertona
preoccupata.
-
Non ci resta che portarla a valle e poi a
Rocciagreve – suggerì Nica.
- In queste condizioni dobbiamo studiare un buon piano per il trasporto. Potremmo utilizzare la formula della levitazione. Ma prima di tutto cerchiamo di coprirla e di riscaldarla per quanto possibile.
A quel punto ognuna di loro si tolse la
mantellina di lana e la sistemò attorno alla strega ibernata. Zelinda tirò
fuori dallo zaino un fazzolettone con grossi fiori rossi e glielo sistemò
attorno alla testa. Due berretti di lana servirono invece per scaldare i piedi.
Meravigliando tutte, al termine dell’operazione, Lucina estrasse dallo zaino un
tappetino persiano magico e propose di sistemarci sopra la nuova amica.
- Perché hai messo un tappetino
magico nello zaino? – chiese Zelinda.
- Beh, così, in caso di
necessità …
- Quale scherzo stavi tramando
alle nostre spalle?
- Come siete cattive! Ho
portato un tappetino volante solo per soccorrere qualcuna di noi che
ne avesse avuto bisogno. Siete ingiuste e prevenute.
-
La colpa è solo tua che ti ostini a fare dispetti
e …
- Basta con questi litigi – intervenne subito Nica – sistemiamo l’ibernata sul tappetino e affrettiamoci a raggiungere Rocciagreve.
Al comando della strega più assennata, tutte raccolsero le loro cose e si accinsero ad effettuare la discesa passando per il sentiero del Corvonero tra ghiaccio, rocce e boschi, prima di abeti e poi di macchia mediterranea, man mano che si procedeva verso il basso. Intanto la strega ibernata volava pian piano sul tappetino con i piedi e la testa penzoloni perché il suo mezzo di trasporto era troppo piccolo per contenerla in tutta la sua altezza e si muoveva contemporaneamente alla piccola compagnia. Ogni tanto emetteva qualche starnuto o sospirava dicendo cose strane: probabilmente vaneggiava perché ancora rattrappita dal freddo. Intanto tutta la compagnia faceva ipotesi sull’identità della neorinvenuta, cercando anche di dare una spiegazione plausibile a come fosse finita dentro il Caminone.
Quando finalmente raggiunsero Rocciagreve, le nostre amiche riunirono in seduta straordinaria l’Alto Comitato Stregonesco e sottoposero il caso della strega ibernata alla sua attenzione. Fu innanzitutto stabilito di accendere un enorme falò sulla piazza principale per scongelarla. La nuova venuta cominciò così a svegliarsi ma quando fu in grado di parlare, si dimostrò di nuovo incapace di fornire la propria identità e di dare spiegazioni su come fosse giunta sul ghiacciaio: gli enormi geloni che presentava sulle mani e sui piedi, inoltre, non accennavano a diminuire. Era evidente che l’ibernata aveva perso la memoria e apparve subito necessario darle sia un ricovero che un nome, anche se momentaneo, in attesa che recuperasse la propria identità.
Fu così che Frosty (era questo il nome temporaneo dato alla strega) fu ospitata prima a casa di Nica e poi fu sistemata in una splendida casa gotica con elementi liberty alla periferia della città. Solo con l’aiuto del mago Orbiter fu possibile permetterle di recuperare la memoria: bastarono poche sedute perché ricordasse di chiamarsi Frigoria, di avere una casa in Tibet e di essere rimasta imprigionata nel ghiacciaio mentre inseguiva un grosso gatto delle nevi dal pelo bianchissimo: una caduta accidentale e la tempesta di neve successiva l’avevano imprigionata nel Calderone. Ricordò anche di aver sognato per mesi di vivere in un posto caldo pieno di palme e di pappagalli colorati.
Da quel momento Frosty-Frigoria decise di
restare ad abitare a Rocciagreve: ora va in giro anche d’estate con un
cappottone pesante, stivaloni imbottiti, un cappello di lana e un
gatto-scaldino come manicotto. Non ama il freddo ma cerca di vincere la sua
avversione per il gelo lavorando nella fabbrica di surgelati della città. Qualche
volta la si vede volare in mongolfiera su Rocciagreve e sulle montagne dei
dintorni. Quando fa un’escursione con le sue amiche, tiene tra le mani o legati
sulla schiena cibi da conservare freschi: essere stati ibernati ha pure i suoi
vantaggi!