John Dryden, poeta e drammaturgo inglese, asseriva: "Non è mai esistito, né potrà mai esistere, un governo dove opportunisti e stupidi non siano in maggioranza". Ebbene, se così stanno le cose e se gli stupidi e gli opportunisti sono eletti dal popolo, esso non dovrebbe avere alcun motivo di lamentarsi del proprio governo. Ma non è sempre così.
Infatti,
pur essendo consapevole di non saper votare e di sbagliare sistematicamente,
facendosi abbindolare dai pifferai di turno, il popolo non recita - per come
dovrebbe - il mea culpa, ma sa solo dolersi del cattivo operato dei
propri eletti. Chiaramente ci troviamo in presenza di un caso di masochismo
popolare, che in verità ha radici molto profonde nel tempo. Tant’è che il pagano
Seneca (nella sua Phaedra),
all’epoca in cui il popolo aveva messo in croce Gesù, affermava: “Il popolo gode
nell’affidare il potere al turpe” (Populus gaudet tradere fasces
turpi).
Mutano i tempi, ma i vizi e le virtù si assomigliano!
Ad
alcuni strati popolari, secondo una certa corrente di pensiero
multidisciplinare (neurologica, psicologica e pedagogica) che studia i processi
mentali, piace farsi circonvenire e plagiare dal turpe politicante. Lo stimolo
che innesca questa reazione comportamentale è la falsa convinzione di
conseguire immaginari vantaggi, che la logica “opportunistica” offre in cambio
della piaggeria e della fedeltà del soggetto passivo all’abietto manipolatore
politico - finanziario. E molti sono i meccanismi di manipolazione e condizionamento
su cui oggi fanno leva la Grande Finanza e le correnti politiche ad essa
asservite. Ma questa è già un’altra storia che va trattata a parte e
sicuramente stiamo divagando ...!
In
questa sede ci limiteremo a discettare solo su uno degli elementi utilizzati
dall’esecrabile programma globalista, mirante a distruggere la nostra civiltà,
a spersonalizzare le masse e indurle a farsi marchiare come mandrie di bovini:
l’odio.
Dìvide et ìmpera (dividi e comanda), è l’antica tattica usata
dai tiranni o da qualsiasi autorità per governare un popolo. Detta strategia in
ambito socio-politico consiste nel provocare rivalità e nel fomentare l’odio
tra i cittadini in modo tale che non possano riunirsi e fare fronte comune
contro il governante.
“Un uomo condizionato ad odiare un dato simbolo può
arrivare a dirottare un aeroplano o lanciarsi contro edifici pieno di
esplosivo” -
argomenta Ivan Patrovic Pavlov,
scienziato fisiologo russo, vincitore dei premi Nobel per la medicina e
per la fisiologia.
Ebbene,
oggi l’odio è di casa nella nostra vita quotidiana. Quante notizie di odio
politico (il c.d. veleno senza cura) associate a diluvi di improperi e di
offese dominano da tempo la disputa partitica nonché il teatrino politico del
nostro Paese? Tutto fa brodo per fomentare odio e discordia: perfino le
elezioni americane hanno creato da noi un’atmosfera di veleni tra chi osannava Trump e chi Biden.
L’odio,
arma del manipolatore, ha determinato la disgregazione della nostra civiltà!
Esso è stato maleficamente programmato dagli “architetti” globalisti, sicuri
che non vi sarebbe stata resilienza psicologica da parte del popolo agli eventi
traumatici propri della globalizzazione.
In
sostanza, giriamola come si vuole, di questo si tratta: se languiamo nella
disperazione, la colpa è solo del popolo, oramai sempre più drogato
dalla tecnologia insidiosa, dai programmi televisivi e dai media digitali che
controllano le menti. E, peggio ancora, esso non si rende conto che chi
controlla le menti controlla il potere.
Il popolo è recidivo: è in colpa, una prima volta, quando si lascia
circonvenire e condizionare dal “turpe” e, una seconda volta, quando non
reagisce e si rende connivente col di lui operato. Qualcuno con tutta ingenuità
potrebbe chiedersi: sarà forse la voglia di apprendere (sbagliando
s’impara) che spinge il popolo a sbagliare? Magari… se così fosse,
a furia di sbagliare, avrebbe già appreso da tempo la lezione! Ecco allora che,
a causa delle continue scelte sbagliate e delle tremende batoste subite, oggi
agonizziamo nel caos e cerchiamo disperatamente una via d’uscita.
Ma c’è speranza di venirne fuori?
Per
dare una risposta a questa domanda ci può venire in aiuto solo la Fede.
L’apostolo Paolo disse: “Speriamo in ciò che non vediamo”. Allo
stato, siamo messi tanto male, che peggio non si può. Infatti, si campa tra
lacrime e preghiere e, ahinoi, c’è poco da sperare da un governo che in tempi
normali non è nemmeno capace di mantenere il Paese a galla nella melma
tissotropica in cui è impantanato.
Figuriamoci
cosa potremmo aspettarci adesso, in piena crisi economica, aggravata dalla
pandemia, tra litigi inter-partitici e intra-partitici in un Parlamento la cui
rappresentanza non rispecchia più gli equilibri del Paese, con una Magistratura
immersa nella sua peggior crisi istituzionale di sempre e in quest’Europa
“matrigna”, della cui bandiera però ci dichiariamo fedeli servitori come lo
furono gli Àscari eritrei della nostra, in altri tempi… quelli coloniali.
Per
completare il quadro, il Washington Post,
edizione vigilia di Natale, pone Roma
e l’Italia in prima pagina, ma
questa volta non per decantarne le bellezze artistiche e le virtù, bensì per
fotografare lo stato di penosa miseria in cui il Paese è sprofondato a causa
della rovinosa gestione della calamità virale.
E
ciliegina sulla torta: una nota riservata giunta testé da Bruxelles mette sotto accusa i conti della coppia Conte-Gualtieri.
A questo punto è sempre più probabile che, se i numeri non quadrano,
l'Europa ci affibbi una bella Troika, che ci farà vedere i classici “sorci
verdi”.
Allora,
per venire fuori dalle scelte sbagliate, escludendo nuove elezioni ostacolate
dai politici poltronari (tre quarti dei deputati, in una prossima legislatura,
non tornerebbero in Parlamento) e un governo di unità nazionale (non
immaginabile da parte dell´opposizione), resterebbe come opzione indolore solo
un nuovo governo di transizione per poter arrivare senza ulteriori e maggiori
danni alla prossima legislatura. Ma qui ci troviamo al cospetto di un altro
serio problema: manca il “buon governante” e non ci stanchiamo di ripeterlo.
Siamo
dunque sfigati?
Douglas Coupland diceva: “Solo gli sfigati prendono grandi
decisioni quando le cose vanno male”. E guarda un po’, forse è il
nostro caso! Eppoi, l’arte di arrangiarsi è tipicamente italiana. La nostra
capacità di adeguamento ci permette di ottimizzare le poche risorse di cui
disponiamo e spesso con risultati incredibili.
Non
abbiamo grandi leader politici, è vero, ma abbiamo delle buone menti da
imprestare per tempo determinato alla malfunzionante politica. Succede che
nello sconcertante panorama politico attuale, si parli e si riparli molto di Mario Draghi, quasi fosse un novello
Furio Camillo, il salvatore della patria.
Ma
egli è disponibile, è compatibile con la bisogna? Non lo sappiamo! Quello che
invece sappiamo è che dal recente sondaggio Swg offerto ad Huffpost la
maggioranza relativa degli italiani sceglie Mario Draghi al comando del governo e che stiamo parlando di uno
dei maggiori economisti in campo internazionale con profonda cultura politica,
dimostrata esaurientemente nel governo della Bce e in tante altre cose importanti.
Il
popolo, sperso e querimonioso, solo tre anni orsono ha votato in massa ed
esultante i 5Stelle a tendenza antieuropeista, oggi, deluso ed esasperato, vede
in Draghi, europeista per
eccellenza, il demiurgo ovvero il divino
artigiano della salvazione. Certo che, a parte l’inquietante volubilità delle
preferenze popolari, quel che più preoccupa sotto il profilo psicosociologico è
la grave incapacità della nostra gente di fare le scelte giuste al momento
giusto, perché - lo ripetiamo - da un bel po` di anni, per un motivo o per
altro, ha sempre sbagliato e non ne ha azzeccata una.
Che
stavolta sia l’eccezione che conferma la regola? Ce lo auguriamo!
Cionondimeno
andiamo oltre: se il buon Mario Draghi
sarà disponibile ad aiutare il Paese (noi avanziamo le nostre riserve), bando
agli indugi, dia mano all’opera e ci incanti con le sue qualità! Quanto a noi
(popolo), non sprecheremmo molte parole per metterci almeno una volta d’accordo
in favore dei superiori interessi della collettività, tralasciando il retaggio
degli ingannevoli colori partitici e l’acredine degli odi gratuiti. È missione
impossibile con le teste che abbiamo, ma - per una volta e data la
commiserabile situazione in cui versiamo - chissà che l´impensabile non diventi
realtà. Decisioni coraggiose in tempi difficili ci farebbero onore!
E forse, in queste condizioni, egli, il “Demiurgo”, con un piccolo gruppo di “illuminati” veraci e patrioti (qualcuno in giro ancora si trova), da grande economista e non solo, con le migliori credenziali di accesso agli Alti Poteri della Finanza di cui dispone, potrebbe farcela a traghettare il Paese, almeno fino alle prossime elezioni, verso un porto sicuro. Intanto sarebbe un gran bel risultato. E per il resto? Non anticipiamo! È “Storia futura”.
Giuseppe Arnò - direttore La
Gazzetta italo brasiliana
Editoriale gennaio 2021