Intervista a Luigi Scarpa, promettente e giovane regista: Puoi studiare quanto vuoi, ma poi è sul campo che impari


di Laura Gorini Malum Aeterni è il titolo del suo nuovo corto horror. Lui, il giovane regista Luigi Scarpa, ama il lavoro di squadra e il suo lavoro dove mette sempre se stesso al 100%. Ecco che cosa ci ha raccontato di se e della sua sublime arte.

Luigi, come e quando hai capito che il tuo sogno era quello di diventare un regista?
Da piccolo ho sempre avuto una grande passione per il Cinema. Ricordo ancora quando alcuni giovedì pomeriggio, mio zio veniva a prendermi per portarmi appunto a vedere un film in una piccola sala al Cinema Micron di Vallo Scalo (SA). Aspettavo con impazienza quel momento e quando accadeva per me era come entrare in un mondo nuovo. Poi sono cresciuto e in particolare alle superiori, al quinto anno di liceo scientifico, ho scoperto quasi per caso una nuova videoteca nel paese dove andavo a scuola. Già, era il periodo delle videoteche, quando ancora non si parlava di Netflix Timvision e Prime video. L'incontro col gestore e la successiva amicizia sono stati i punti di svolta. Nel giro di un paio d'anni ho visto praticamente tutto, ogni settimana noleggiavo minimo tre film. Da lì ho capito, trascorrevo i miei pomeriggi tra i compiti e la visione di quei film. Volevo anch'io raccontare storie, stare dietro la macchina da presa, lavorare con gli attori, dire la mia al pubblico.
Il percorso era tracciato! Finita la scuola superiore, parto per Milano a studiare Beni Culturali Spettacolo: cinema, teatro e televisione, con quel sogno da voler realizzare.
Quali sono le doti necessarie che bisogna possedere per esercitare bene questa professione? E soprattutto come è nato il tuo corto?
La leggenda del mio corto l'ho ascoltata quando ero un ragazzino. Mi ha sempre affascinato, poi è subentrata la voglia di raccontare storie tramite la regia.
Ho scritto il cortometraggio nell'estate del 2007 per poi realizzarlo a novembre del 2019. Perché tanta attesa mi si potrebbe chiedere... Chi mi conosce bene sa che lavorativamente parlando sono molto preciso e scrupoloso. Non basta avere un'idea, devi renderti conto quando sei pronto a materializzarla, quando senti che puoi assumerti la responsabilità di quel processo creativo, soprattutto se l'idea è tua.
In circa 12 anni sono cresciuto molto. Il mio attuale lavoro in una casa di produzione video a Milano mi ha formato. Mi sono fatto le ossa. In questi anni ho capito come funziona il video. Puoi studiare quanto vuoi, ma poi è sul campo che impari. Impari e sbagli, sbagli e cresci. Capisci perché un'inquadratura funziona, capisci perché una battuta risulta finta o poco efficace, etc. Hai fatto tante interviste dove spesso devi tirar fuori qualcosa di assolutamente credibile e non è facile, perché la telecamera mette spesso in soggezione. Quindi, quando capisci tutto questo, quando hai un'idea in cui credi, la padronanza della tecnica, la versatilità e la capacità di risolvere problemi, l'occhio critico per individuare chi potrebbe rappresentare al meglio la tua storia, allora sei pronto. Ma e dico ma, c'è un elemento, più importante di tutti: devi avere le persone giuste nel tuo team. Un buon regista per essere tale crede nel suo team, ascolta il suo team, si mette in discussione col suo team, anche se poi la scelta finale spetta a lui. Quando arrivi a coinvolgere la tua squadra che arriva a seguirti per migliaia di chilometri perché crede in te, allora hai veramente le basi per raccontare la tua storia e far arrivare l'amore per quell'idea al finale giudice supremo: lo spettatore.
Con quali parole descriveresti il tuo lavoro?
Studio, ricerca, attenzione ai dettagli, padronanza tecnica, aggiornamento costante e versatilità.
E te stesso?
Di conseguenza, io porto nel lavoro quello che sono nella vita. Non riesco a scindere le due cose. Per me questo lavoro è vita. Quando non lavoro guardo film o faccio ricerche anche per hobby. Quindi versatile, determinato, per ora instancabile, preciso, attento e soprattutto, metto il cuore in tutto quello che faccio.
Quindi, mi sembra di intuire che nei tuoi lavori c'è molto di te...
Nei miei lavori c'è un Luigi al cento per cento. Essendo un regista ad ora principalmente legato al cinema horror, mi rendo conto che questa risposta potrebbe risultare inquietante. Ma mi spiego meglio... Il mio primo corto horror racconta di una leggenda del mio paese: Gioi, situato nel cuore del Parco Nazionale del Cilento e Vallo di Diano (SA). Questa storia me la porto dietro da ragazzino, da quando l'ho ascoltata per la prima volta. Certo, solo col tempo ho ragionato sulle potenzialità visive ad essa legate. Ma c'è un elemento fondamentale: quando nel 2004 sono partito per Milano ero ben felice di farlo, ma una parte del mio cuore è sempre rimasta al Sud. Il ragazzo arrivato a Milano a 19 anni, era frutto di quell'ambiente, di quei valori, di quell'educazione ricevuta per anni. Ho conosciuto tantissime persone, anche molto diverse da me, ma posso dire, che quel mio modo di essere è stato sempre ben visto e accettato. Quindi, nel momento in cui diventi regista, dove uno degli aspetti più importanti è relazionarti con gli altri, a me è risultato piuttosto facile e naturale questo aspetto. Detto questo, dichiarato il mio amore per la mia terra di origine, ho sempre pensato che se un giorno fossi riuscito ad avere la possibilità di dirigere film, quella famosa leggenda avrebbe avuto un posto di rilievo. Un mio omaggio, un mio grazie a quel posto che mi ha dato tanto. Ma attenzione, il Cilento non è solo un luogo da venerare, è un luogo che ha tanto da dire e da cui attingere. Ci sono delle tradizioni, dei posti, delle leggende, delle suggestioni che vanno ascoltate e che sono un'ottima fonte di ispirazione per chi sa vedere nel profondo.
Non è escluso che uno dei miei prossimi film potrebbe proprio riguardare una nota figura di quelle terre: la Janara.
Proprio in questi giorni invece, dove Malum Aeterni è in attesa di selezione ai più importanti festival italiani e internazionali, sto scrivendo un secondo horror. Non posso ancora svelare nulla, posso solo dire che il filo conduttore sarà l'esplorazione della paura delle persone. E anche qui, come non identificarsi, sfido chiunque ad ammettere di essere privo di una qualsiasi forma di paura...
Quindi come massima finale mi verrebbe da dire che mettere se stessi in qualche modo nei propri lavori porta a conferire a quelle opere un aspetto di autenticità, da ritrovare anche a un livello sottostante, se si tratta ad esempio di un horror di finzione, ma a ben vedere c'è, ed è quello che ricerco sempre.

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