di Laura Gorini - Avere
l’adrenalina a mille quei brevi minuti prima dell’entrata in
scena e poi farla scoppiare una volta salita sul palco, questa è la
cosa che amo di più.
È
giovane ma aveva già le idee piuttosto chiare su che cosa avrebbe
voluto fare da grande da quando aveva 5 anni: l'attrice! Un mestiere
che oggi esercita con passione, la brava Federica Corti. Simpatica,
solare e ottimista, è stata un fiume in piena durante questa
piacevole chiacchierata a cuore aperto.
Federica, presentati ai
nostri lettori con pregi, vizi e virtù...
Ciao a
tutti! Allora pregi, direi determinazione, solarità e ottimismo.
Vizi? Devo ammettere che sono un po’ viziata di attenzioni: sono
una figlia unica, quindi mi piace ricevere molte attenzioni dalle
persone che mi stanno accanto. Virtù? Non le ho già un po’
incluse nei pregi? Non ne ho così tante! (ride)
Se volete vi
dico qualche difetto: sono molto permalosa e un po’ una
rompiscatole, specialmente se voglio ottenere qualcosa da qualcuno o
sul mio lavoro.
Di professione attrice.
Ma quando hai capito che la recitazione non era solo una grande
passione ma molto di più per te?
La cosa
strana è che non ho avuto un momento rivelatore. Sin da quando avevo
5 anni andavo in giro dicendo che avrei fatto l’attrice! A 10 anni
quando non ottenni la parte da protagonista in un cortometraggio da
girare a scuola fu una catastrofe. Diciamo che, però, la cosa è
diventata un po’ più seria dai 15 anni, quando ho iniziato ad
accedere a Internet e mi sono messa a cercare corsi di recitazione e
agenzie.
I primi
lavori poi sono arrivati a 16 anni: una particina nel film di Woody
Allen “To Rome With Love” e la serie Disney “Sketch up 2”, e
da quel momento in poi non ho mai preso in considerazione
un’alternativa.
La tua famiglia come ha
reagito quando ha capito che facevi sul serio?
Non credo
che sia stato facile per loro inizialmente. Vengo da una famiglia
molto tradizionale di un piccolo paesino della Lombardia e
sicuramente tutto si sarebbero aspettati tranne una figlia che
volesse fare l’artista. Devo però ammettere che sono stati sin da
subito dei miei grandissimi sostenitori. A 15 anni mi accompagnavano
ai miei corsi di recitazione a Milano, dopo una giornata di lavoro.
Anche quando, dopo aver finito il liceo, sono voluta partire per
l’Inghilterra per studiare recitazione lì, mi hanno sempre
aiutato. Devo tantissimo ai miei genitori.
E tu soprattutto che
cosa hai provato la prima volta che sei salita su un palcoscenico a
teatro?
Una botta di
adrenalina. Quella è la cosa che più amo del Teatro. Avere
l’adrenalina a mille quei brevi minuti prima dell’entrata in
scena e poi farla scoppiare una volta salita sul palco.
Che cosa ami di questo
universo?
Che non mi
pone limiti. Non mi annoia mai. È un eterno stimolo per la mia
persona e per la mia fantasia.
Quali sono gli autori
teatrali e le opere che maggiormente apprezzi e perché?
Mi piace
quel teatro che ambisce a fare la differenza nel mondo, anche da un
punto di vista sociale. Per questo ti direi “The Vagina Monologues”
di Eve Ensler: è un’opera totalmente rivoluzionaria, femminista
prima ancora che in questo campo scoppiasse il Metoo. Mi piacciono
molto le opere impegnate, che riescono a smuovere le coscienze.
Ma perché - secondo te
- oggi pare che molti giovani non siano affascinati dal Teatro?
Siamo
abituati a ritmi molto veloci ora, specialmente i più giovani. Non
parlo solo della mia generazione, ma di quella che viene dopo di me.
Sono abituati a vedere video su YouTube della durata massima di 10
minuti, quindi è ovvio che un’opera teatrale possa spaventarli.
È forse qualcosa di
troppo antico e desueto?
Io credo che
sia compito del Teatro aggiornarsi. È inutile prendersela perché
il pubblico cerca altro, è necessario aggiornare il mezzo per
renderlo appetibile anche a un pubblico più moderno. Non mi scorderò
mai “1984”, che ho visto in un teatro a Cambridge, quando vivevo
lì: era un’opera totalmente rivoluzionaria, che coinvolgeva il
pubblico in un modo totalmente innovativo.
Eppure ora anche in TV
è possibile vedere opere teatrali e persino opere liriche, forse si
sta muovendo qualcosa in tale direzione?
Personalmente
non sono favorevole. Amo il Teatro e amo la serialità televisiva,
sono però, dal mio punto di vista, due tipi di rappresentazioni
molto diverse. La TV ha un suo linguaggio. Le serie TV, in
quest’ultimo periodo, sono assolutamente diventate una forma d’arte
e sono costruite ad hoc per essere viste su uno schermo. Il teatro
no. Il teatro, per me almeno, va visto dal vivo.
A proposito di
movimento, il mondo dello spettacolo è stato tra i più colpiti dal
lockdown. Tu da artista come lo vivi? Come stai affrontando le
difficoltà?
Io lo sto
vivendo abbastanza bene, certo c’è preoccupazione per quello che
succederà, però ho approfittato di questo periodo per godermi un
po’ la mia famiglia. (ho passato la quarantena a casa dei miei) e,
in tutta onestà, il progetto di Quarantena
Love Stories non mi ha lasciato un minuto
libero. Credo che sia importante non lasciarsi affliggere dalle
difficoltà e provare a reinventarsi coi mezzi a disposizione.
Ci vuoi parlare meglio
e nel dettaglio di questo progetto nato durante la quarantena?
Certamente!
Durante questa quarantena ho ideato il podcast “Quarantena Love
Stories” che è stato poi prodotto da Raflesia Group, che potete
ascoltare su Storytel e a brevissimo anche su Audible. E’ nato
così, un po’ per caso, semplicemente sentendo le storie d’amore
di alcune mie amiche e gli stratagemmi che si erano inventate per
stare vicine ai loro ragazzi, ho pensato che sarebbe stato bello
raccontare queste storie. Così ho lanciato un appello sui Social
chiedendo alle persone di raccontarmi le loro love stories in forma
anonima e da lì ne è uscito un podcast di 40 episodi, basato
appunto su reali storie d’amore in quarantena.
Quali sono stati i
momenti più divertenti ed emozionanti durante le registrazioni?
I momenti
più divertenti sicuramente riguardavano la mia lotta costante con i
rumori del vicinato. Chiaramente, dato il lockdown, non potevo andare
a registrare in studio. Quindi c’ero io che vagavo da una stanza
all’altra e mi muovevo a seconda dei rumori: in questa stanza no,
si sente il cane che abbaia, in questa stanza no, c’è il vicino
che taglia la siepe, è stata un’impresa! Allo stesso tempo mi sono
emozionata molto a leggere le storie delle persone: ci sono state
coppie che sono rimaste divise in due stati diversi, lei in Italia e
il compagno in un Paese straniero. Ogni tanto mi ritrovavo sul divano
a piangere da sola davanti al mio PC per la commozione.
Credi che il Web e lo
streaming siano il futuro anche per quando concerne la Radio e la
Televisione?
Io credo che
siano ormai già il presente. Per la TV sicuramente, io personalmente
guardo quasi esclusivamente contenuti sulle piattaforme on demand e
come me tantissimi altri giovani. Lo stesso credo valga anche per la
Radio. Personalmente se voglio ascoltare musica mi rivolgo a Spotify.
Non pensi che in
qualche maniera possano “uccidere” il Teatro e il Cinema?
Ci sono film
che sicuramente vanno visti in sala perché è chiaro che guardare un
film sullo schermo di un PC è un’esperienza diversa dall’andare
al cinema. Però, allo stesso tempo, così è. Il mondo si sta
muovendo in questa direzione, e come con tutto, si può provare a
sfruttare al massimo le nuove opportunità oppure provare a
combatterle, ma, personalmente, non lo trovo particolarmente utile.
E la TV tradizionale
che si basa su un palinsesto, credi che possa attrarre i giovani a
livello lavorativo?
Io credo ci
siano molte opportunità lavorative nelle nuove piattaforme che
stanno investendo molto sul mercato europeo, basti pensare a Netflix,
e che stanno dando una nuova vitalità a quest’industria.
E come spettatori?
Forse già
l’ho detto prima, ma credo che ora la grande fonte di attrazione
siano le piattaforme on demand, quali Netflix, Prime Video, Disney
Plus, anche perché offrono contenuti molto più innovativi e adatti
a un pubblico giovane e vario. Per quanto devo ammettere che anche la
TV tradizionale ultimamente ha lanciato alcuni prodotti innovativi,
mi riferisco ad esempio a “L’Amica Geniale” della Rai.
E tu che tipo di
spettatrice sei?
Io sono una
spettatrice accanita! Mi divoro intere serie TV sul divano di casa
mia in brevissimo tempo, però amo molto anche la magia della sala:
mi permette di tenere l’attenzione più alta, specialmente con dei
film più impegnativi.
Ti capita mai di
rivederti in TV? Che effetto ti fa? Sei molto critica verso te
stessa?
Io odio
rivedermi in TV! Mi trovo sempre mille difetti, penso sempre che
avrei potuto far meglio. Sono una perfezionista: è una benedizione e
una maledizione insieme.
A proposito di critica,
quale è stata quella che maggiormente hai apprezzato e quella che
proprio non ti è andata giù?
Tempo fa
ricevetti una critica sul mio volto: mi era stato detto che avevo il
viso troppo rotondo per la camera e mi fece molto male, più che
altro perché quando si tratta di aspetto fisico non è che ci si
possa lavorare sopra. Per quanto riguarda critiche positive, invece,
una volta mi fu detto che dovevo ascoltare di più gli altri attori e
concentrarmi meno su me stessa. E’ stato un’illuminazione! Provo
a seguire questo consiglio tutt’ora e mi sono addirittura tatuata
la scritta “listen” su un polso come reminder, sia da un punto di
vista attoriale, che nella vita.
E quando una critica
può essere costruttiva e quando non lo è affatto?
Una critica
è costruttiva quando ti spinge a fare di più, quindi ti indica una
via su cui lavorare. Se la critica non riguarda cose che si possono
concretamente migliorare, è sterile.
E per concludere, che
cosa ami ricordare della Federica di ieri e che cosa ti auguri per la
Federica di oggi e soprattutto per quella di domani?
Amo
ricordare la forza della Federica di ieri, la forza di andare
controcorrente e di inseguire un sogno. Alla Federica di domani
auguro di poter vivere facendo ciò che ama.