di Nicola F. Pomponio - Il
19 ottobre 1943 in un piccolo paesino dell’Appennino abruzzese arrivarono le
SS. Arrivarono in forze sui camion, saltarono da quei camion “come grilli” e si
misero a razziare uomini e cose.
Una piccola bimba di 9 anni osservava con
sgomento la scena mentre, insieme alla madre e alla sorella, fuggiva verso i
campi. La guerra era arrivata, brutalmente, a Torricella Peligna, in provincia di Chieti e mentre quella bimba
(mia madre) fuggiva, fuggivano anche gli uomini, il vero obbiettivo delle
razzie. Tra questi un distinto signore di quarantacinque anni, socialista, ex
collaboratore di Giacomo Matteotti a
Roma e di Filippo Turati a Milano:
l’avvocato Ettore Troilo.
Sfuggendo
ai tedeschi lui e altri si diressero verso un paese già sotto il controllo
alleato non lontano da Torricella: Casoli.
In questo paese successero due cose che segnarono la nascita della formazione
partigiana. Ettore Troilo dopo uno
scontro verbale molto acceso con le autorità inglesi (forte, naturalmente, era
la diffidenza anti-italiana) ottenne di poter impegnare dei volontari in
operazioni antitedesche con materiale bellico fornito dagli Alleati. Poi a
Casoli s’incontrarono Ettore e Domenico Troilo; i due non erano
parenti ma il secondo, sottotenente della Regia Aeronautica fuggito da Venaria Reale (Torino) all’armistizio e
rocambolescamente rifugiatosi nel suo paese d’origine in Abruzzo, Gessopalena (dove vide sua madre
assassinata dai tedeschi in una delle tante stragi, quella di Sant’Agata di Gessopalena), aveva le
conoscenze necessarie per organizzare una formazione militare.
Si
venne così a creare il nucleo di quindici volontari che, approssimativamente
equipaggiati, iniziarono a operare con azioni di ricognizione in un territorio
da loro perfettamente conosciuto. Da parte inglese crebbe il riconoscimento
verso questi uomini e un lungimirante ufficiale inglese, il maggiore Lionel Wigram (Sheffield, 1907 –
Pizzoferrato, 3 febbraio 1944),
s’impegnò in prima persona, fino a combattere e morire con loro, per lo
sviluppo della “banda”. La storia della formazione è stata ottimamente
ricostruita da vari testi. Mi preme sottolineare però alcune particolarità. La
“Brigata Maiella” fu del tutto
atipica nel panorama resistenziale.
Vestita
con uniformi inglesi, portavano le mostrine e la bandiera tricolore (senza lo
scudo sabaudo!), autonoma da un punto di vista operativo, era inquadrata nel II
Corpo d’armata polacco del generale
Anders; erano e si ritenevano dei militari (erano forniti di regolare
tesserino di riconoscimento bilingue, quello di mio nonno di cui porto
orgogliosamente il nome è il n. 852) però con una disciplina alquanto
particolare dove il massimo della pena era l’allontanamento dalla possibilità
di operare sul campo (cosa che non successe mai); vi si entrava e vi si usciva
(anche questo non successe mai) liberamente, non c’erano commissari politici,
la formazione era antifascista e repubblicana, ma anche i monarchici potevano
aderirvi.
L’operatività
militare, delegata a Domenico Troilo
in virtù della sua esperienza, si dispiegò in una grande epopea che vide i “lupi
della Maiella” (come li soprannominarono, con rispetto, i tedeschi) partire
dalle montagne d’Abruzzo e risalire
la penisola attraverso le Marche
(combattendo a Cingoli, Pesaro,
Montecarotto), la Toscana
(scontrandosi con i tedeschi a Laterina)
e l’Emilia-Romagna (battaglia di Brisighella), entrare (sostengono gli storici) per primi a Bologna e continuare verso Nord fino a
congiungersi il 1° maggio 1945, superando le unità americane, con altre
formazioni partigiane ad Asiago!
In
tal modo la “Brigata Maiella” ha
stabilito vari primati: unica formazione partigiana a combattere fuori dal
proprio territorio d’origine, unica formazione partigiana inquadrata in un
esercito regolare, mai nessun abbandono, prima formazione partigiana a cantare
“Bella Ciao”. Partiti da Casoli in 15 (tra cui un gigante russo
di origine siberiana) alla cerimonia di scioglimento a Brisighella (Bologna), il 15 luglio 1945 la formazione contava ben 1326
uomini con 55 morti, 19 prigionieri (di cui 3 uccisi), 151 feriti di cui 36
mutilati. La metà dei caduti erano contadini, gli altri studenti, commercianti,
operai, ex militari, artigiani. Ma l’epopea “maiellina” non finì quel giorno a
Brisighella. Ettore Troilo fu
l’ultimo prefetto nominato a Milano
dal CLN e rimosso, nonostante la strenua difesa che di lui fece Gian Carlo Pajetta,
dal ministro degli Interni Scelba il 4 dicembre 1947.
E
fu proprio Pajetta ad accostare nel 1990 la Brigata Maiella ai Mille di Garibaldi
che tornavano ripercorrendone la strada ma dal sud a nord. Però Ettore Troilo aveva un altro dono
particolarmente diffuso in Abruzzo: la testardaggine. Terminata la vicenda
resistenziale si adoperò per venti anni a far ottenere ai suoi uomini quanto Umberto di Savoia, a cui nessuno dei
suoi giurò fedeltà, sebbene non richiesto, aveva promesso: la Medaglia d’oro al valor militare. Si dovette attendere il 2
maggio 1965 quando l’allora ministro della Difesa, Giulio Andreotti, finalmente conferì l’onorificenza rendendo il “Gruppo Patrioti della Maiella”, l’unica
formazione partigiana a fregiarsi di questo riconoscimento, per tacere delle
onorificenze polacche “Virtuti militari” assegnate a singoli. Oggi due lapidi
segnano idealmente la storia della formazione: una a Torricella Peligna ricorda il rastrellamento da cui ebbe origine il
tutto, l’altra a Brisighella ricorda
il giorno dello scioglimento; in mezzo, idealmente, vi è il sacrario dei caduti
a Taranta Peligna (Chieti) visitato
nel 2001 da quello che era stato un giovane ufficiale in fuga verso le linee
britanniche e passato da Casoli, Carlo
Azeglio Ciampi.
Un’ultima
annotazione, ma fondamentale. I “maiellini” possedevano una visione dello
scontro diametralmente opposta a quella nazista; la guerra non era fatta con
odio, non si doveva odiare il nemico, lo si combatteva, strenuamente, ma non lo
si odiava. C’è un episodio significativo. Si svolge sul torrente Sintria,
vicino a Brisighella. C’è uno
scontro con i tedeschi, un loro sottufficiale resta ferito e i suoi camerati
non lo soccorrono perché nella terra di nessuno. Quattro partigiani lo vanno a
salvare e uno di loro viene ucciso dai tedeschi. Penso che questo episodio
renda ragione del modo di combattere della Brigata
Maiella. Questo combattere senza odio ritorna nelle parole di Domenico Troilo (la cui madre, ricordo,
era stata uccisa con una sventagliata di mitra in faccia). Allo storico che lo
intervistava per scrivere un libro sulla formazione disse: “Che non sia una cosa eroica, perché noi non
eravamo eroi” e in tempi in cui la parola eroe è talmente usata da
diventare insignificante, questa ritrosia, orgoglio, assenza di retorica è una
boccata d’aria pura come l’aria che si respira su quei monti dove tutto ebbe
inizio.