«Sono follemente innamorata di questa storia e di questi personaggi» - di Andrea Giostra.
Ciao Alessia, benvenuta presso
la nostra Redazione e grazie per aver accettato il nostro invito.
Ciao Andrea e grazie a te per dedicarmi il tuo prezioso tempo.
Ti va di fare una tua breve presentazione per i
lettori del nostro giornale? Chi è Alessia scrittrice e sceneggiatrice?
Bene! Grazie per iniziare a rompere il ghiaccio con una domanda
semplice semplice banale banale... posso rispondere tra una quarantina d'anni,
quando finalmente l'avrò scoperto?!? Alessia che scrive è una persona con un
forte bisogno di comunicare e un altrettanto forte desiderio di trasmettere
emozioni. La scrittura forse è una delle più grandi forme di introspezione e
per ogni personaggio a cui do vita ci sono aspetti di me che approfondisco un
po' di più. Quindi direi che sono una persona alla ricerca del nucleo di sé
stessa. E mi piace pensare che anche i lettori o gli spettatori vengano
pungolati, stimolati a conoscere un po' meglio se stessi, anche solo sentendo
un legame con un personaggio: credo che nessuna storia sia meramente di
evasione. Possiamo pensarlo, se la seguiamo senza prestare reale attenzione, ma
se ci immergiamo nella narrazione, sono certa che un qualche messaggio lo
possiamo trovare ovunque. Basta la volontà di scoprirlo.
Chi è Alessia Donna nella sua quotidianità e quando
non lavora?
Se non sbaglio è stato Confucio ad affermare “Scegli il lavoro
che ami e non lavorerai mai, neanche per un
giorno in tutta la tua vita”. Ecco... questa è la ragione per la quale
faccio veramente fatica a scindere la sfera personale da quella lavorativa. La
scrittura è la mia vita, la mia grande passione. Quindi se sto leggendo un
libro o seguendo una serie... sto vivendo la mia quotidianità o sto lavorando?
Ebbene sì, nella routine di una sceneggiatrice vanno previste anche ore da
dedicare a queste attività: essere aggiornati sui nuovi prodotti, scoprire
nuovi stili, trovare nuovi stimoli... fa tutto parte del lavoro. Però sono
anche le mie grandi passioni... Insomma... credo che la donna sia fusa con la
sceneggiatrice. E appunto, come cerco di donare emozioni e riflessioni a chi mi
legge o guarda un mio film, cerco di fare lo stesso con chi mi sta attorno. Di
mio sono molto introspettiva, amo la solitudine, adoro godermi la spontaneità
dei miei cani e mi arricchisce sempre confrontarmi con qualche amico, su
qualsiasi tema. Sintetizzando al massimo, sono una neo quarantenne che cresce
solo per l'anagrafe, che passa dall'ironia al cinismo agli occhi a cuoricino
alla rabbia furiosa nel giro di un secondo, impaziente per tutto e messa alla
prova dalla pazienza richiesta dai tempi cinematografici e con la testa persa
nei suoi mondi. In parole povere: una donna come tutte!
Pochi mesi fa è uscito il tuo romanzo d’esordio, Elephant, edito da Les Flâneurs
Edizioni, giovane casa editrice di Bari. Ci racconti come nasce questo progetto
editoriale? Cosa troverà il lettore leggendo questa storia?
Elephant… Cosa posso dire di Elephant? Sono
follemente innamorata di questa storia e di questi personaggi. Com'è nato?
Devi sapere che io non scrivo nulla se devo “pensarci”. Intendo dire, non mi
piacciono quelle operazioni commerciali per le quali ti metti a tavolino e
studi la situazione attuale e decidi cosa funziona e cosa no. Io per prima cosa
devo “vedere” i personaggi. In questo caso avevo LeRoy, un anziano
sassofonista di New Orleans, che continuava a strimpellare musica jazz.
Io adoro il jazz e adoro il sax quindi ho avuto un colpo di fulmine per lui,
tanto da voler conoscere la sua storia. Percepivo della tristezza, delle ferite
mai rimarginate, dei sensi di colpa che si riflettevano nella sua musica, una
melodia che potevo udire solo io. Ma che meritava di essere portata fuori dalla
mia testa. Purtroppo non scrivo musica... ma ho provato a tradurla in parole.
Un po' alla volta, poi, sono arrivati gli altri personaggi, ognuno con la sua
storia, con la sua voce unica. E non potevo esimermi dal narrare questo
piccolo, prezioso pezzo delle loro vite. Spesso nelle prime pagine di un libro
si legge una citazione. Io ne ho scelta una di Charlie Parker: “Non
suonare il sassofono, lascia che sia lui a suonare te.” L'ho scelta non
solo perché è il modo in cui LeRoy e suo nipote Josh si approcciano al
loro strumento, ma anche perché è come io mi avvicino alle storie che scrivo:
in realtà sono loro a scrivere me, io sono solo un mezzo per portarle fuori,
per metterle nero su bianco. Per quel che riguarda quello che troverà il
lettore... musica, ovviamente, tanta musica. E uno sguardo diverso su New
Orleans, una delle città che più mi affascinano. Ovviamente non si può
parlare di Crescent City senza incrociare il Voodoo, che infatti
non mancherà. Ma Elephant è innanzitutto un romanzo di formazione, di
amicizia, di sogni e del coraggio che serve per realizzarli.
C’è qualcuno che vuoi ringraziare a proposito di
questa tua opera letteraria? Se sì, chi sono queste persone e perché li
ringrazi?
Beh, la lista sarebbe indubbiamente lunga (e infatti
la pagina di ringraziamenti al termine del libro è alquanto folta)... ma credo
che questa storia sia riuscita ad approdare alla pagina scritta in primis
grazie al sostegno della mia famiglia. Sono consapevolmente fortunata ad avere
dei genitori e una sorella che credono fortemente in me e non mi fanno mai
mancare il loro appoggio. E poi c'è zio Lucio, scomparso qualche mese
prima che io iniziassi a imprimere le idee sulla carta. Era il grande
appassionato di musica della famiglia e se i miei gusti sono così eclettici
sicuramente in parte è merito suo. Per non parlare del fatto che, da bambina, è
stato il primo a parlarmi di New Orleans: chissà, forse il seme è stato
piantato allora ma non era ancora tempo per lui di sbocciare.
Hai previsto per le prossime settimane degli
eventi di presentazione, magari online, sui social, visto il periodo del
Covid-19, dove i nostri lettori potranno vederti presentare il libro? Se sì,
come e quando pensi di farli?
In
realtà no. Ho pubblicato il video di una presentazione fatta qualche mese fa ed
è già tanto. Da sceneggiatrice, a me piace stare dall'altro lato dello schermo
e mi sento sempre un po' impacciata quando i riflettori sono puntati su di me.
Le presentazioni ricominceranno quando tutto tornerà alla vita. Nel frattempo
mi dedico a nuovi progetti e pianto semi di nuove idee.
Una domanda difficile Alessia: Perché i nostri lettori
dovrebbero comprare il tuo libro? Prova a incuriosirli perché vadano in
libreria a comprarlo.
Effettivamente non è facile
dare una ragione
universalmente valida. Ma come dicevo
prima, quello che ho sempre cercato di fare con la scrittura è di riuscire a
trasmettere emozioni. Ecco. Io ho riletto infinite volte Elephant, durante le varie stesure e poi
rapportandomi con l'editor e ancora quando finalmente ho avuto il libro
stampato tra le mani. E devo ammettere che, per quanto io conosca a memoria
ogni singola frase, ogni volta mi sono commossa, emozionata. Ecco, forse il motivo principale è proprio
questo: per provare, per sentire qualcosa dentro.
Ma Elephant è interessante anche per come è strutturato, ossia come una
Jam Session di Jazz. Ogni personaggio, non solo i protagonisti, ha avuto la
possibilità di avere il suo assolo, di farsi conoscere meglio e di conoscere
meglio sé stesso. E credo che, visto il periodo storico che stiamo vivendo,
possa essere interessante anche lo sguardo al razzismo e al suo superamento. Chase, che nonostante il nome è italiano, si ritrova infatti
a immergersi in un mondo,
distante da casa, di soli neri e ovviamente viene accolto con molta diffidenza.
Ma, in questo caso, è l'amore per la musica che permette di superare la
barriera del colore della pelle e creare legami forti. Ci sono però anche altri temi importanti ed attuali,
come il bullismo e la depressione. E non mancano le donne forti, quelle che
nonostante le difficoltà della vita riescono ad andare avanti senza smettere di
lottare per quello in cui credono, che sia la felicità di un figlio o la
realizzazione nel mondo lavorativo. Insomma, credo Elephant sia una
storia ad ampio spettro in cui tutti possono trovare un personaggio in cui
rispecchiarsi e per il quale “fare tifo”.
Pochi anni fa hai scritto, prodotto e realizzato un
film che ha avuto un grandissimo successo in decine di Festival internazionali
di cinema. Ci racconti come è nato, la sua storia, chi ha collaborato, quali e quanti
premi ha vinto in giro per il mondo?
“Cerchio”, come ormai ho iniziato a chiamarlo, è stata la mia prima vera avventura in questo campo. In precedenza avevo scritto molto, mi ero occupata di montaggio e riprese video
ma, abitando in provincia di Padova, non avevo mai avuto la possibilità di mettermi davvero alla prova. Poi un giorno ho iniziato a vedere nella
mia testa questo personaggio, Theo, schivo e un po' borderline se
vogliamo, uno che non sai se “ci è
o ci fa”, come si dice. M'incuriosiva e così, per cercare di capirlo un
po' di più, ho iniziato a scrivere la sua storia. Che è particolare, con
molteplici interpretazioni, e avevo ben
chiaro che la musica doveva essere un ingrediente essenziale. Proprio per
questo suo non essere il classico film italiano ho pensato che, se ci credevo davvero, avrei dovuto mettermi in gioco a
360° per realizzarlo. E così, oltre a sceneggiatrice, mi sono ritrovata a rivestire per la prima volta i
panni di produttrice. Praticamente nessuno ci scommetteva che sarei arrivata
alla fine dell'impresa (diciamocelo, per qualcuno che il mondo del cinema lo
conosce solo da distante in effetti è un qualcosa di titanico...) e forse proprio questo mi ha dato la carica
per realizzarlo. Alla fine però ne è valsa la pena.
Come dicevi tu “E'
un Cerchio Imperfetto” ha collezionato numerosi premi internazionali, dal Canada e gli
USA all'India passando per l'Inghilterra e l'Italia e
arrivando perfino in Africa. 18 riconoscimenti, per l'esattezza. E
quello che mi ha dato maggior soddisfazione è stato
che il 18esimo è arrivato allo scorso Festival del Cinema di
Salerno. Pensavo che l'Italia
non avrebbe mai apprezzato un prodotto del genere, fortunatamente mi sono
dovuta ricredere!
Oltre a sceneggiatrice di
successo, adesso sei anche una scrittrice. La maggior parte degli autori ha un
grande sogno, quello che il suo romanzo diventi un film diretto da un grande
regista. A questo proposito, Stanley Kubrik, che era un appassionato di romanzi e di storie dalle quali poter trarre un suo film, leggeva in modo quasi
predatorio centinaia di libri e perché un racconto lo colpisse diceva: «Le sensazioni date dalla storia la prima
volta che la si legge sono il parametro fondamentale in assoluto. (…) Quella
impressione è la cosa più preziosa che hai, non puoi più riaverla: è il
parametro per qualsiasi giudizio esprimi mentre vai più a fondo nel lavoro,
perché quando realizzi un film si tratta di entrare nei particolari sempre più
minuziosamente, arrivando infine a emozionarsi per dettagli come il suono di un
passo nella colona sonora mentre fai il mix.» (tratto da “La guerra del Vietnam di Kubrick”, di
Francis Clines, pubblicato sul New York Times,
21 giugno 1987). Pensi che le tue storie sappiano innescare nel lettore
quelle sensazioni di cui parla
Kubrick? E se sì, quali
sono secondo te?
Credo che Kubrick si riferisse ad autori di un livello eccelso a
cui non posso neanche lontanamente paragonarmi, però non posso che essere
d'accordo con lui. Penso di aver seguito,
anche se inconsciamente, questo percorso quando ho iniziato ad immaginare Elephant.
A partire dal titolo, breve ma potente, che altro non è se non il nickname con
cui è conosciuto il protagonista LeRoy. Un soprannome che richiama la forza della sua musica, la capacità di
suscitare emozioni insita in essa e anche l'idea che il sax sia un tutt'uno con
l'uomo, la sua proboscide, con la quale si esprime. Anche la copertina l'ho
voluta semplice ma d'impatto, con questo sfondo nero su cui spicca la
silhouette dello strumento. Credo che incuriosire un possibile lettore sia il
primo passo da compiere. Almeno, per me funziona così quando entro in una
libreria alla ricerca di una storia di cui ignoro l'esistenza. Osservo la
copertina e se m'incuriosisce leggo il titolo.
Se è promettente passo alla sinossi e, se ancora
una volta il responso è positivo, scorro qualche
pagina per capire se la prosa corrisponde ai miei gusti. Visto che quando
scrivo ho già le scene ben chiare, visivamente, in testa, e che sono abituata
ad usare la sintesi richiesta dalle sceneggiatura, credo uno dei punti di forza possa essere uno stile di scrittura
quasi ibrido tra le due strutture. E
poi il fatto stesso che sia stato concepito come una sinfonia, con
diversi “assoli” dei personaggi permette repentini cambi di stati d'animo. Il
lettore verrà cullato dalle dolci sinfonie e riceverà pugni nello stomaco
quando si troverà immerso nella
realtà più cruda di un mondo che sa essere anche crudele come quello della
musica. Ma sarà anche avvolto dalla dolcezza del perdono e stringerà i denti rabbioso
davanti alle ingiustizie sociali. Qualcuno forse si ritroverà a battere
i piedi a ritmo quando il piccolo
Josh impugnerà il suo sax e altri potrebbero sentire
un brivido lungo la
schiena di fronte all'ingresso nel
mondo del Voodoo. Insomma, credo che a seconda della sensibilità personale
ciascuno verrà toccato in modo diverso da passaggi diversi. O almeno, questa è
la mia speranza.
Come vuoi chiudere questa breve chiacchierata e
cosa vuoi dire ai nostri lettori in questo periodo di chiusura in casa forzata?
Non vorrei usare frasi fatte perché è facile dire di tenere alto
l'umore e approfittare di questo tempo quando non si vive situazioni al limite.
Penso a chi fa fatica ad arrivare a fine mese quando lavora e ora ha perso ogni
possibilità di introito, o a chi vive in spazi ristretti e magari senza neanche
un balcone, o a tutti quelli che hanno una situazione difficile in casa, una
storia di violenze domestiche, qualche congiunto con seri problemi fisici o
psicologici. E non me la sento neanche di usare l'hashtag #andratuttobene
quando ci sono persone che muoiono da sole mentre i familiari sono a casa
prostrati dal dolore a causa di quell'addio che non potranno mai dare. Per
tutte queste ragioni, non darò facili suggerimenti su come ingannare il tempo,
però invito tutti a fare una cosa che ha un costo monetario pari a zero:
guardiamoci dentro e troviamo quella forza, quel coraggio, quell'energia e
anche, perché no, quella pazienza che ci permetterà di uscirne quanto
prima.
Alessia Vegro
Andrea Giostra