Claudio Loreto, scrittore-artista: se non conosciamo il nostro passato non possiamo sperare in un mondo migliore. L'intervista


di Andrea Giostra
Ciao Claudio, benvenuto e grazie per aver accettato il nostro invito. Come ti vuoi presentare ai nostri lettori? Chi è Claudio artista-scrittore e Claudio uomo?
Grazie a te, Andrea, nonché ai lettori per il tempo gentilmente accordatomi. Claudio Loreto “autore” è un tale che al liceo fantasticava di diventare nientemeno che un reporter di guerra, tanto da iscriversi alla Facoltà di Scienze Politiche (indirizzo storico-giornalistico, per l’appunto) e con l’aspirazione di volare a Peshawar, in Pakistan, e da lì intrufolarsi nel confinante Afghanistan al seguito di qualche gruppo di mujaheddin in lotta contro l’invasore sovietico. Quel giovane sognatore, in realtà, fece poi la medesima e molto meno avventurosa fine del “Compagno di scuola” cantato da Antonello Venditti: seduto, cioè, dietro una scrivania di banca. Senza perdere tuttavia il desiderio di riempire i fogli in bianco: così per svariati anni ho collaborato da “esterno” con quotidiani e riviste, scrivendo in particolare di Storia e di politica estera. Solo in anni recenti mi sono avventurato nella narrativa, inevitabilmente a sfondo storico. Il Claudio “persona” è ormai prossimo a compiere sessant’anni e ad accompagnare la propria figlia all’altare (il tempo è letteralmente volato). Sono stato a lungo un valido - mi si perdoni la vanità - canottiere nonché dirigente sportivo, approdato infine all’alpinismo: il mio “mondo”, oggi, è costituito soprattutto dalle meravigliose Dolomiti.
Recentemente, ottobre 2019, hai pubblicato il tuo ultimo romanzo dal titolo “Liquirizia”, con Edizioni Leucotea. Ci parli di questo libro? Come nasce e qual è il messaggio che vuoi arrivi al lettore?
“Liquirizia”, dato il mio background, è un romanzo storico avente come principale palcoscenico la spaventosa battaglia di Stalingrado. Però narra anche, e soprattutto, di una toccante vicenda sentimentale. Desideravo infatti rappresentare la possibilità di un amore fra nemici, del fiorire di un sentimento capace di spazzare via pregiudizi e odio, spesso non propri nostri ma instillatici ad arte da altri. Così è nata la storia dei due ragazzi costretti a combattersi da fronti opposti: Giuliano (uno studente universitario vestito da sottotenentino della VIII Armata Italiana in Russia) e la sovietica Tanja, promettente ballerina diventata suo malgrado un’abile cecchino. La loro storia è un invito a guardare in primo luogo nell’altro il suo cuore e la sua anima. Il titolo del libro – che può sembrare insolito per un racconto di guerra – è dato dal nome dell’orsacchiotto di pezza che aiuta fin da bambina Tanja a vincere di notte la paura del buio: la soldatessa lo porterà con sé dentro lo zaino durante tutto il corso della sua guerra. Esso avrà infine un ruolo importante nell’esito finale della storia. 
Ci parli delle tue precedenti opere e pubblicazioni? Quali sono, qual è stata l’ispirazione che li ha generati, quali i messaggi che vuoi lanciare a chi li leggerà?
Nel corso dell’attuale fase narrativa sono scaturiti dalla penna (scrivo rigorosamente a mano) una raccolta di racconti di genere vario dal titolo “Gli occhi sulla scia” e i romanzi “L’ultima croda” (storia di una incredibile rivelazione, con sullo sfondo gli “anni di piombo” e l’alpinismo d’alta montagna), “I segreti di Sharin Kot” (la tormentata vicenda personale di un capitano degli Alpini impegnato nel 2010 con i suoi uomini a combattere i talebani in Afghanistan) e infine, appunto, “Liquirizia”. Tutte “favole” dettate dalla speranza che, anche nei momenti più cupi, la parte migliore dell'Uomo possa riemergere ed affermarsi, e volte a sottolineare che - come scrisse il grande alpinista Renato Casarotto - “alla base di tutto, di ogni azione che l’uomo compie, deve esserci sempre l’Amore”.
Come e quando nasce la tua passione per la scrittura?
Mi è sempre piaciuto scrivere, fin da ragazzino: alle scuole medie dettagliati resoconti delle partite di calcio del Cagliari (sono sardo di nascita) che ascoltavo con l’orecchio appiccicato a una piccola radiolina; al liceo un riservatissimo diario personale e i primi brevi racconti. 
Qual è il percorso formativo ed esperienziale che hai maturato e che ti ha portare a realizzare le tue opere?
Il periodo adolescenziale, vissuto in un’altra isola, la Sicilia, mi ha segnato profondamente: la piena presa di coscienza della fugacità d’ogni cosa ingenerò in me il fortissimo desiderio di sapere cosa fosse accaduto prima di… Claudio, da dove insomma venivo e cosa ora mi circondava; come pure la frenesia di fissare sulla carta fatti, pensieri ed emozioni, quasi a tentare di renderle (cosa tuttavia impossibile) eterne. Sono portato a pensare che ciò però valga per molti scrittori.
«Non mi preoccupo di cosa sia o meno una poesia, di cosa sia un romanzo. Li scrivo e basta… i casi sono due: o funzionano o non funzionano. Non sono preoccupato con: “Questa è una poesia, questo è un romanzo, questa è una scarpa, questo è un guanto”. Lo butto giù e questo è quanto. Io la penso così.» (Ben Pleasants, The Free Press Symposium: Conversations with Charles Bukowski, “Los Angeles Free Press”, October 31-November 6, 1975, pp. 14-16.). Cosa ne pensi delle parole di Bukowski? Secondo te è più importante quello che viene narrato (la storia) o come è scritta (il linguaggio utilizzato)?
Sono sulla stessa lunghezza d’onda del celebre scrittore statunitense. L’idea di Tania e Giuliano mi è balenata in mente all’improvviso la sera di San Silvestro del 2018, proprio come un fuoco d’artificio e agli inizi del nuovo anno ho cominciato a buttar giù la loro storia così come essa via via scorreva da sé davanti a miei occhi, simile a un film. Sfruttando in ufficio le pause-pranzo (e saltando dunque pasto) e sottraendo colpevolmente qualche ora alla famiglia la sera, alla fine di febbraio il lavoro era già concluso, solo da rifinire un po’. Relativamente al secondo punto, a mio avviso la trama è il “succo” di qualsiasi storia, ma è anche vero che il modo in cui la si redige è importantissimo per renderla di immediata comprensione, coinvolgente, in maniera che il lettore ci si ritrovi dentro a piè pari, diventando un “testimone” presente sulla scena.
«Quando la lettura è per noi l’iniziatrice le cui magiche chiavi ci aprono al fondo di noi stessi quelle porte che noi non avremmo mai saputo aprire, allora la sua funzione nella nostra vita è salutare. Ma diventa pericolosa quando, invece di risvegliarci alla vita individuale dello spirito, la lettura tende a sostituirsi ad essa, così che la verità non ci appare più come un ideale che possiamo realizzare solo con il progresso interiore del nostro pensiero e con lo sforzo del nostro cuore, ma come qualcosa di materiale, raccolto infra le pagine dei libri come un miele già preparato dagli altri e che noi non dobbiamo fare altro che attingere e degustare poi passivamente, in un perfetto riposo del corpo e dello spirito.» (Marcel Proust, in “Sur la lecture”, pubblicato su “La Renaissance Latine”, 15 giugno 1905). Qual è la riflessione che ti porta a fare questa frase di Marcel Proust sul mondo della lettura e sull’arte dello scrivere?
È vero, la lettura non ci rende di per sé, in modo automatico, persone migliori. Se non è seguita da una riflessione critica, che frutti elementi di analisi anche di noi stessi, essa resta un mero ingannare il tempo. In tal caso risulta più salutare una passeggiata. Anche perché oltretutto potrebbe davvero prefigurarsi il rischio di iniziare ad accogliere passivamente e scambiare per veritieri (“lo dice un libro!”) contenuti illogici e magari socialmente pericolosi. Penso ad esempio al “Mein Kampf”, diventato per molti tedeschi di quell’epoca una sorta di Bibbia. È dunque importante, ad esempio, che nelle scuole alle letture assegnate in compito agli studenti segua poi in classe una costruttiva discussione critica di gruppo.
«La lettura di buoni libri è una conversazione con i migliori uomini dei secoli passati che ne sono stati gli autori, anzi come una conversazione meditata, nella quale essi ci rivelano i loro pensieri migliori» (René Descartes in “Il discorso del metodo”, Leida, 1637). È proprio così secondo te? Cosa significa oggi leggere un buon libro, un buon romanzo? Quali orizzonti apre, se secondo te oggi, nell’era dell’Homo Technologicus, effettivamente la lettura di buoni libri apre orizzonti nuovi?
Credo anch’io che sia così. Un riconosciuto “buon” libro di un romanziere del passato ci consente di aprire una finestra sul suo tempo e di conoscere meglio gli avvenimenti e l’Umanità di una data epoca. Ugualmente, l’opera di un valente autore contemporaneo può offrire ulteriori strumenti di analisi per comprendere meglio la realtà nella quale ci dibattiamo noi oggi. Nell’era in cui predomina l’immagine, dalla enorme capacità persuasiva, e in cui i ritmi di vita sempre più frenetici, la crescente mancanza di tempo per “pensare” rendono straordinariamente potenti gli slogan, forse la lettura può prima di tutto impedire che scompaiano i già ristretti orizzonti rimasti.
«Per quanto riguarda i corsi di scrittura io li chiamo Club per cuori solitari. Perlopiù sono gruppetti di scrittori scadenti che si riuniscono e … emerge sempre un leader, che si autopropone, in genere, e leggono la loro roba tra loro e di solito si autoincensano l’un l’altro, e la cosa è più distruttiva che altro, perché la loro roba gli rimbalza addosso quando la spediscono da qualche parte e dicono: “Oh, mio dio, quando l’ho letto l’altra sera al gruppo hanno detto tutti che era un lavoro geniale”» (Intervista a William J. Robson and Josette Bryson, Looking for the Giants: An Interview with Charles Bukowski, “Southern California Literary Scene”, Los Angeles, vol. 1, n. 1, December 1970, pp. 30-46). Cosa pensi dei corsi di scrittura assai alla moda in questi anni? Pensi che servano davvero per imparare a scrivere e per diventare grandi scrittori come promettono gli organizzatori?
Non ho mai preso parte a lezioni di scrittura e quindi non sono nella condizione di esprimere un giudizio compiuto. A naso presumo che possano anche fornire qualche dritta di carattere tecnico; tuttavia, la “sostanza” può venire solo dal cuore e dall’anima dello scrittore.
Chi sono i tuoi modelli, i tuoi autori preferiti, gli scrittori che hai amato leggere e che leggi ancora oggi?
Dato il mio retroterra, prediligo gli autori di narrazione a sfondo storico: Dominique Lapierre e il suo socio Larry Collins, per citarne due. 
Se dovessi consigliare ai nostri lettori tre libri e tre autori da leggere, quali consiglieresti e perché proprio questi?
Davvero difficilissimo scegliere! Segnalerò allora tre opere che da ragazzo mi avevano molto colpito ed emozionato. “Centomila gavette di ghiaccio” di Giulio Bedeschi, la testimonianza di una delle più grandi tragedie del popolo italiano, un monito per le generazioni successive: perché il sonno della ragione, per dirla con Francisco Goya, genera mostri! “Siddharta”, di Hermanne Hesse: una riflessione sulla difficilissima, inquieta ricerca del senso del proprio io e della vera felicità, sviluppata da pochi, spesso senza neppure successo ma sicuramente con il conseguimento di una maggiore consapevolezza di sé. “Umiliati e offesi” di Fëdor Dostoevskij, per le sorprendenti e beffarde concatenazioni della vicenda, per i suoi personaggi piegati da avvenimenti più forti di loro: un amaro affresco di quanto possa essere inclemente la vita.
Citerò opere non certo tra le maggiormente conosciute e tuttavia capaci di toccare profondamente l’animo: “The killing fields”, titolo italiano “Urla del silenzio”, cruda denuncia degli orrori perpetrati dai Khmer Rossi cambogiani (e qui si torna al Goya), ma anche il racconto di una grande amicizia. “The Elephant Man”, la storia (vera) di un uomo spaventosamente deforme e dunque divenuto animale da circo, del suo disperato bisogno di essere invece riconosciuto un essere umano e del suo desiderio di morire, con dignità, da tale: una poderosa esortazione all’empatia e alla compassione. Il terzo suggerimento riguarda in realtà un eccezionale film-documentario, “Il popolo migratore”: la telecamera vola al fianco degli uccelli migratori durante i loro interminabili, estenuanti viaggi, rivela le loro commoventi vicissitudini e ci offre la piena dimostrazione che di questo pianeta noi non siamo affatto i padroni e che in verità quaggiù non abbiamo servitori ma solo compagni di viaggio, da rispettare.  
Una domanda difficile Claudio: perché i nostri lettori dovrebbero comprare i tuoi libri? Prova a incuriosirli perché vadano in libreria o nei portali online per comprarne alcuni.
Propongo di leggerli perché se non conosciamo il nostro passato non possiamo sperare in un mondo migliore; perché dobbiamo sforzarci di capire e possibilmente rispettare l’altro. E invito inoltre ad assaporarli lentamente, proprio come fossero una… “liquirizia”, poiché narrano anche di toccanti storie d’amore, e senza amore la vita non è… vita. Ciascuno di essi inoltre ha in serbo per il lettore intrecci appassionanti e sorprendenti colpi di scena.
Quali sono i tuoi prossimi progetti e i tuoi prossimi appuntamenti di cui ci vuoi parlare?
Al momento sono in “break”. Riprenderò a scrivere soltanto quando e se verrò di nuovo colto da una improvvisa, nuova fulminazione: potrebbe accadere già domani, o magari mai più, chissà! Nel frattempo smanio dalla voglia di tornare in montagna: è là, tra l’altro, che è nata l’ispirazione di molti dei miei racconti.
Dove potranno seguirti i nostri lettori e i tuoi fan?
Sulla mia pagina Facebook, dove posto ciò che è legato ai miei vari interessi e da cui si può dunque anche capire chi sono. Relativamente invece alla stretta attività di scrittura, rimando a siti web https://issuu.com/claudio_loreto (attività giornalistica) e https://libro.cafe/profilo/679/claudio-loreto/ (recensioni e commenti sull’attività narrativa).
Come vuoi chiudere questa chiacchierata e cosa vuoi dire ai nostri lettori?
Naturalmente con un caldo saluto e un augurio a tutti di mille, ottime letture. Perché, come diceva Umberto Eco, “… chi non legge, a 70 anni avrà vissuto una sola vita: la propria! Chi legge avrà vissuto 5.000 anni: c'era quando Caino uccise Abele, quando Renzo sposò Lucia, quando Leopardi ammirava l'infinito… perché la lettura è una immortalità all'indietro”.

Claudio Loreto
https://libro.cafe/profilo/679/claudio-loreto/ (Recensioni e commenti attività narrativa)
https://issuu.com/claudio_loreto (Attività giornalistica)

Andrea Giostra

Fattitaliani

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