di Laura Gorini - Nei
miei romanzi non ho mai tentennamenti o una scrittura in punta di
penna.
È
indubbiamente un romanzo molto, ma molto particolare, Senza
Sensi Di Colpa,
di Samuela Salvotti, scrittrice che attualmente opera e risiede a
Desenzano Del Garda (BS). Laureata in Scienze Della Comunicazione, ha
incominciato la sua formazione letteraria con le favole di Italo
Calvino. Non per nulla ha vinto meritatamente la nona edizione del
premio dedicato al compianto scrittore con il suo romanzo
Concepiti In Ventri Di Regine.
Samuela,
presentati ai nostri lettori...
Sono Samuela
Salvotti, ho quasi sempre abitato a Desenzano del Garda (BS), a parte
una piccola parentesi in un paese del mantovano, quale Castel
Goffredo. Queste due cittadine sono molto diverse, soprattutto nella
mentalità e negli stili di vita dei loro abitanti. La prima
turistica, solare e capace di accogliere per propria natura. La
seconda brumosa, tradizionalista e capace di accogliere solo dopo un
lungo studio dello “forestiero”. Entrambe queste esperienze
complementari si ritrovano nei miei romanzi: il mondo antico, di cui
ho sempre un po’ di nostalgia per la narrazione della propria vita
e quello frenetico del giorno d’oggi. I miei studi non sono stati
scelti in funzione alla mia già evidente passione che era lo
scrivere. Purtroppo un tempo si sosteneva che bisognasse contrastare
e integrare la naturale tendenza quando non era proficua a un lavoro
redditizio, infatti ho fatto il liceo scientifico. Tuttavia ho letto
sempre. Ho letto e leggo tanto. Buona letteratura. Quasi sempre
classici. Ma anche la letteratura moderna ha dei buoni spunti e la
alterno a sicuri piaceri di autori di fama eterna.
Che cosa
significa essere una scrittrice oggi? E come è cambiata nel corso
del tempo la sua definizione?
Credo che
essere maschi o femmine non cambi molto oggi. Era più importante un
tempo, quando le donne scrivevano di piccole realtà di vita e gli
uomini di conquiste nel mondo. Ciò che forse contraddistingue la
letteratura maschile da quella femminile è una sincera necessità di
conoscere la natura profonda senza stereotipi del proprio sesso.
Molti uomini parlano della loro mascolinità, ad esempio Francesco
Piccolo che si ostina ad approfondire questa natura specificatamente
dell’uomo (“L’animale che mi porto dentro”) e altre autrici
cercano i punti in comune delle donne.
Ci sono
molte scrittrici che decidono talora di scrivere con pseudonimi,
anche maschili, per dare alle stampe alcune loro opere... A volte
tale scelta è fortemente voluta da loro, altre volte invece dalle
case editrici e/o dai loro agenti letterari... Credi che ancora oggi
serpeggi una certa forma di discriminazione nei confronti delle
scrittrici?
Io adoro
scrivere con dei pseudonimi. Mi pare di essere nuova e più
innovativa anche come personalità della scrittura. Ma non ho mai
pensato di “cambiare sesso”. E non ho mai sentito che sia
strategicamente meglio essere scrittori che scrittrici. Pensate a
Elena Ferrante, pare che questo nome sia uno pseudonimo, quindi
avrebbe potuto “travestirsi” da maschio ma non lo ha fatto, forse
anche perché non sarebbe stata credibile: la sua letteratura ha
davvero una visione femminile del mondo, secondo me. E da donna ha
conquistato il mondo. Sono venuta a sapere che anche a New Orleans
una giovane ragazza leggeva i suoi libri. Non credo davvero che ci
siano vantaggi ad essere scrittori maschi rispetto alle scrittrici.
Solitamente,
forse a causa anche di alcuni banali cliché, vengono etichettati
come forti, o meglio hard,
testi dove gioca un ruolo fondamentale il sesso, che ormai viene
inserito anche in qualsiasi romanzo con una fantasia estrema. Secondo
te, per vendere oggi, è davvero necessario agire un tale direzione?
Naturalmente
no. Descrivere scene di sesso può essere controproducente se non è
ambientato in maniera giusta e soprattutto è importante che non
siano scene gratuite, inutili, senza motivo. Il sesso è come la
violenza chi ne abusa in letteratura perde credibilità. Nel mio
ultimo romanzo c’è una scena molto violenta in cui il protagonista
uccide un cane. Ho pensato molto se metterla o se toglierla per
questo discorso. Nabokov in Lolita
descrive la storia di un pedofilo senza mai parlare di sesso
esplicitamente.
Tu lo hai
inserito, in qualche maniera, anche in Senza
Sensi Di Colpa,
il tuo nuovo romanzo fresco di stampa per la Castelvecchi Editore...
Tuttavia “di forte” nel tuo testo vi è ben altro... Ti piace
dunque stupire i tuoi lettori e te stessa?
Il sesso
esiste e quando è necessario bisogna metterlo anche nel romanzo. In
questo mio ultimo non c’è molto sesso ma c’è. L’innamoramento
è anche attrazione sessuale. È la vita che chiama e che vuole
procreare se stessa. Ma è giusto dire che il mio è un romanzo
“forte” oppure si può anche usare l’aggettivo “deciso”.
Non ho mai nei miei romanzi tentennamenti o una scrittura in punta di
penna. Sono una dalle maniere forti e molto “massimalista”, come
diceva Tadini. Mi si ama e mi si odia. E oltre a poche scene di sesso
ma ben calibrate, ci sono pensieri ed azioni di violenza inaudita. Ma
la vita secondo me non è delicata, non è gentile, non è dolce.
Tutti noi abbiamo lottato ferocemente per avere qualcosa in cambio e
soprattutto il dolore che esiste in tante persone è davvero, quello
sì, violento.
Quando
capisci che un testo può funzionare? E quando riesce a convincerti
pienamente?
I grandi
scrittori sapevano di valere, sono convinta. Infatti molti non hanno
avuto il successo che meritavano in vita ma hanno sempre continuato a
scrivere. È sì una passione ma come diceva Dino Campana: “Ho
bisogno di essere riconosciuto e non è orgoglio e non è vanità!”.
Per vedere se funziona un testo bisogna scriverlo. Lasciarlo
decantare. Scordarselo e poi riprenderlo in mano e capisci i difetti.
I difetti sono sempre dovuti alla necessità di raccontare. Bisogna
stare lontani da noi stessi. Bisogna raccontare la storia di un altro
freddamente anche se è la nostra, perché altrimenti non si sublima
la nostra esperienza. La distanza è necessaria per non fare
sbrodolate, sfoghi o flussi di coscienza adolescenziali. Quindi
prendere un’emozione, analizzarla in tutti gli aspetti e poi
descriverla nei fatti è il minimo per poter far “funzionare” una
storia.
Scrivi di
getto o sei più riflessiva?
Naturalmente
sono molto riflessiva. Non amo scrivere di getto, ma soprattutto non
amo leggere pagine scritte sotto l’influenza dell’emozione. Come
ho detto prima, bisogna staccare da noi un’emozione, studiarla nei
minimi particolari e piano piano, un lavoro certosino, descriverla,
non annunciarla. La parola d’ordine è narrare un’emozione per
poterla trasmetterla. Non credo che sia una buona letteratura chi
scrive Sono disperato,
preferisco che mi si faccia vedere cosa fa un disperato.
Ti piace
scrivere a mano o scrivi immediatamente al PC?
Immediatamente
al pc. Io adoro la tecnica. Sono felice di usare tutto quello che
esiste a facilitarmi la vita. Ho vari dizionari da consultare, pagine
di qualche opera classica che raggiungo con facilità estrema
attraverso un motore di ricerca. Per esempio ho googlato,
perdonatemi il neologismo, “Non so ballare sulle punte, poesia
della Dickinson” ed è subito apparsa l’intera poesia.
Fantastico.
In linea
generale quanto è importante nella quotidianità imparare a
riflettere prima di emettere una sentenza o prima di parlare?
Oggi come
oggi è più importante sapere scegliere le parole che un tempo. Un
tempo potevamo essere politicamente scorretti, chiamare
affettuosamente negher
un uomo di colore, ora non dobbiamo più usare le parole a caso
perché possiamo fare davvero male. La stessa cosa con i concetti e
con le dichiarazioni assolute: dobbiamo usare molta cautela, si fa
fatica a capirsi più di un tempo perché siamo diversi, abbiamo
storie diverse e quindi dobbiamo essere inclusivi, gentili, corretti
e non offensivi, sia nella forma che nel contenuto.
Foto di Damiano Conchieri