di Andrea Giostra - Dov’è finita la filosofia
nel Ventunesimo secolo?
È forse il cinema
che ha recuperato la tradizione filosofica che ha contraddistinto nei secoli scorsi
l’amore dell’uomo per la conoscenza e per il libero pensiero?
Nell’antica Grecia,
la filosofia, l’arte del pensiero, prima di trasformarsi in speculativa,
fu la più nobile delle discipline che segnarono e tracciarono la strada dell’“uomo
antico” per la migliore conduzione del “modo di vita”, dello stile
di vita diremmo oggi, desunto attraverso la pura e libera riflessione che lo
conducevano verso la saggezza, sani principi erti ad etica,
morale ed estetica condivisi nella cultura di
allora. Secondo l’accezione e la prospettiva di Gilles Deleuze
(1925-1995), è il cinema che nel secolo scorso, il Ventesimo
secolo, impetuosamente e degnamente, ha preso il posto della filosofia.
Il cinema, allora, è
l’“arte del pensiero” che ha sostituito la filosofia?
Il cinema oggi sembrerebbe
essere, insieme ad altre forme di comunicazione quali quelle social in
senso lato, la filosofia del Ventunesimo secolo: detiene il potere di
creare immagini, di creare concetti, di stimolare il pensiero e la riflessione,
di narrare storie che incidono nella mente dello spettatore, di tracciare, in
sostanza, la strada che conduce a “stili di vita” che s’ispirano all’etica,
alla morale e all’estetica dell’uomo contemporaneo, dell’uomo del
Ventunesimo secolo, dell’“uomo moderno”, o se vogliamo dirla con
un termine attuale, dell’Homo technologicus.
Ma perché
oggi è attuale, per chi ama il cinema e per chi ama l’arte del pensiero
speculativo qual è la filosofia contemporanea, leggere o ri-leggere Deleuze?
La
teoria di Gilles
Deleuze proposta tra il 1983 e
il 1985 con i suoi due saggi sul cinema e la
filosofia - “L’immagine-movimento. Cinema 1” e “L’immagine-tempo. Cinema
2” – è una delle connessioni speculative più interessanti della cultura
della settima arte dell’ultimo secolo. Associare la filosofia al cinema
ebbe degli aspetti estremamente originali e al contempo interessanti. Se da un
lato la filosofia è concepita come generatrice di riflessioni astratte e
complesse divenendo pensiero; il cinema è generalmente concepito come generatore
di flussi di immagini, combinate a narrazioni, musiche e suoni, di apparente
facile comprensione per lo spettatore. Entrambi le arti - se possiamo definire
la filosofia quale arte del pensare - nella cultura contemporanea del Ventunesimo
secolo hanno un’importanza che nessuno oserebbe negare. La filosofia aiuta l’uomo
a concepire concetti e idee, quindi genera pensiero; il cinema, nella
continua creazione di flussi di immagini e narrazioni, stimola in modo potente e
subliminale la riflessione e il ragionamento dello spettatore creando a sua
volta pensiero. Da questa prospettiva teorica deleuziana,
entrambe le arti conducono l’uomo allo stesso processo: il pensare.
L’intuizione
di Deleuze sta proprio in questo concetto: connettere i due processi – cinema
e filosofia – in modo tale che l’una favorisca il disvelarsi dell’altra
e l’altra dell’una. Il cineasta e il filosofo sono accomunati
dalla stessa necessità, quella di creare e di rappresentare concetti: è necessario, in entrambi i casi, elaborare e
possedere un “messaggio” da comunicare al mondo. Da questa prospettiva,
chiedersi cos’è il cinema è la stessa cosa che chiedersi cos’è la filosofia.
Partendo
da questa premessa, l’elemento più interessante delle teorie di Deleuze
sul cinema e la filosofia, è certamente quello della capacità che
ha il cinema di scatenare nello spettatore forme di creazione concettuale a
partire dalle immagini, dal flusso di fotogrammi, dalla narrazione della storia
cinematografica. Sono il “fare-cinema”, l’“azione-creativa”, l’operatività
che mette in scena la narrazione per proiettare sul grande schermo la
creatività di chi ha scritto l’opera cinematografica, gli elementi cardine
concepiti da Deleuze: il processo del fare che produce qualcosa che è in divenire.
Un flusso di immagini e di narrazioni che genera nello spettatore un flusso
di pensiero, una metamorfosi legata al cambiamento e al fare in divenire. È il
pensiero che si genera che si proietta nel cambiamento, nel passaggio da una
configurazione concettuale ad un’altra. Il cinema – come le arti visive e la letteratura
– secondo Deleuze ha proprio queste caratteristiche: generare concetti attraverso
l’ermeneutica, correlando il senso all’idea come sviluppi inesorabili del
flusso di pensieri che vengono generati. Attraverso le immagini, i suoni, le
musiche, i dialoghi, la capacità creativa e meta-creativa dello spettatore vengono
stimolate e trascinate verso un flusso di pensieri che organizzano idee che
subiscono mutamenti ma che alla fine conducono a prospettive assolutamente nuove
e imprevedibili. Il cinema rappresenta pertanto uno strumento privilegiato e
molto potente di configurazione e di creazione di concetti e di idee nuovi. Un
movimento intellettivo che per certi versi diviene automatico - seppur stimolato
inizialmente dalla produzione cinematografica – e capace di sviluppare pensiero
e di elaborare concetti. Il cinema - la proiezione cinematografia senza soluzione
di continuità sul grande schermo - è in grado di determinare processi mentali e
speculazioni intellettuali assolutamente nuovi per lo spettatore. In una parola,
lo spettatore che assiste ad un’opera cinematografica è costretto a pensare.
Una capacita di pensiero che chiaramente è diversa da soggetto a soggetto a
seconda delle sue capacità di analisi e di critica interiore che hanno origine
dalle stimolazioni ricevute dalle “immagini in movimento” e dai “dialoghi
della narrazione”. Nello spettatore si attiva sempre e comunque il pensiero
e la riflessione intima e interiore. Il cinema attiva e stimola la capacità
di pensare e la capacità di creare concetti nuovi.
Con questi due saggi del secolo
scorso, sempre molto attuali – riletti e analizzati brillantemente nel 2012
da Daniela Angelucci nel suo saggio “Deleuze e i concetti del cinema” edito da Quodlibet che abbiamo letto con molta attenzione - Deleuze si
propone proprio questo: nobilitare la “settima arte” a disciplina che
stimola e accompagna il libero pensiero dell’“uomo moderno” a “stili
di vita” che sanno creare l’etica, la morale e
l’estetica contemporanei. Alimentare la mente di sana cultura per
divenire saggi vuol dire alimentarla di buon cinema. Parafrasando
Aristotele, potremmo dire che chi
pensa che nel Ventunesimo secolo per essere donne e uomini al passo coi
tempi, colti e stimolati nel libero pensiero, non sia necessario andare al
cinema o vedere film, dà l’addio alla vita poiché tutte le altre arti al
confronto appaiono solo come chiacchiere e vaniloqui. [«Chi pensa sia
necessario filosofare deve filosofare e chi pensa non si debba filosofare deve
filosofare per dimostrare che non si deve filosofare; dunque si deve filosofare
in ogni caso o andarsene di qui, dando l'addio alla vita, poiché tutte le altre
cose sembrano essere solo chiacchiere e vaniloqui». (Aristotele,
Protreptico o Esortazione alla filosofia, 350 a.C.)].
Breve sinossi dei sue saggi: “L’immagine-movimento.
Cinema 1” e “L’immagine-tempo. Cinema due”.
«Nel saggio del 1983, vengono presentati i
tre stadi in cui lo spettatore pratica “il transfert” dalle immagini ai
concetti, l’immagine-percezione e l’immagine-affezione. Questo è
il cinema tipico della narratività classica in cui le percezioni senso motorie
dettano la trama del film, e i nessi causali all’interno della storia sono
espliciti e ben chiari agli occhi dello spettatore. Questo primo tipo di cinema
è anche chiamato “organico” in quanto lo spettatore in esso riesce ad
orientarsi grazie all’organicità dell’azione dei corpi che vede scorrere nelle immagini
sullo schermo.»
«Nel
saggio del 1985, troviamo invece l’esplicazione del rapporto tra
tempo e movimento: vi è un inversione, qui è il tempo a dettare le regole dello
svolgimento del film in cui vi è la subordinazione dell’azione. E proprio come
il cristallo appare nella sua costitutiva doppiezza, così il tempo si propone
nella sua costitutiva virtualità ed indiscernibilità. In questo contesto
cinematografico i nessi sono interrotti, il narrativo è spezzato, discontinuo,
proprio perché è il tempo in persona che fa la sua comparsa: a creare il
cristallo è l’operazione fondamentale del tempo, che si scinde continuamente in
passato che si conserva e in presente che passa tendendo verso il futuro.»
I libri citati in questo scritto sono stati rieditati in Italia da
Einaudi:
Gilles
Deleuze, “L’immagine-movimento. Cinema 1”, Piccola Biblioteca Einaudi Ns,
Torino, 2016.
(Prima
edizione francese 1983. Ultima edizione italiana di Einaudi 2016).
Gilles
Deleuze, “L’immagine-tempo. Cinema 2”, Piccola Biblioteca Einaudi Ns, Torino,
2017.
(Prima
edizione francese 1985. Ultima edizione italiana di Einaudi 2017).
Andrea Giostra