Tra le migliori penne, ha
lavorato per l’Ansa, Avvenire, Sole 24 Ore e Messaggero.
L’AQUILA – Grande emozione ha destato in Abruzzo e nella città capoluogo l’inattesa scomparsa di Amedeo Esposito, decano dei giornalisti
abruzzesi. Nato a L’Aquila il 15 marzo 1932, 87 anni portati sempre alla grande
con quella sua finissima eleganza, l’immancabile papillon su perfette grisaglie,
il sorriso dei suoi occhi cerulei e una cortesia d’altri tempi connotavano la
signorilità di vero gentiluomo. Nessuno mai poteva pensare che ci avrebbe
lasciato d’improvviso - e con tanta discrezione -, potendolo frequentemente incontrare
fino a qualche settimana fa nel multiforme mondo dell’informazione e della
cultura aquilana.
Lo avevo infatti incontrato, l’ultima volta, il pomeriggio
del 9 ottobre scorso al MUNDA – il Museo Nazionale d’Abruzzo del dopo
terremoto, presso Porta Rivera – in occasione della presentazione del volume “Viaggio nei secoli”, curato da Fabio Redi ed edito da One Group. Venne
a sedersi accanto a me. Mi disse che non si sarebbe fermato senza sedersi,
confidandomi che da qualche settimana non si sentiva bene e si stentava a
capire perché. “Goffrè, mi sento debole, affaticato, ogni tanto mi devo fermare
perché è come se mi manchi il respiro”. Lo rinfrancai, confidando che presto
avrebbe ripreso la sua vigoria. E tuttavia, quando uscimmo insieme verso il
parcheggio per tornarcene a casa, salutandoci con l’affettuosità di sempre, restai
turbato con la preoccupazione di quella confidenza e per non averlo visto
sereno e giovanile come sempre. Ci ha lasciato in punta di piedi, con quella
delicatezza che gli è stata sempre propria.
Giornalista di grande talento, ha lavorato come Caposervizio per
l’Ansa, fino al luglio 1992, quando
la sede regionale dell’agenzia stampa, che egli stesso aveva istituito nel
1980, fu trasferita a Pescara. Lottò in ogni modo perché quanto invece accadde
non avvenisse, e la ferita gli rimase sempre aperta. Attivo fin dal 1948 nel
mondo dell’informazione abruzzese, passando attraverso le esperienze fatte
nelle redazioni locali dei quotidiani il
Giornale d’Italia, il Tempo e il Messaggero, per quest’ultima testata
nel 1961 fu redattore nella redazione romana e capo della redazione aquilana
dal 1962 al 1968. Nel 1970 chiamato dall’aquilano Angelo Narducci, direttore di Avvenire,
il quotidiano cattolico della CEI fondato nel 1968, tenne la redazione delle
pagine abruzzesi del giornale fino al 1980. Dal 1965 al 1979 fu corrispondente
dall’Aquila dei quotidiani di Napoli il
Mattino e Roma. Per oltre vent’anni,
fino al 1975, fu addetto stampa della Diocesi dell’Aquila, per la quale fu
anche redattore del periodico diocesano Voce
Amica. Ha continuato, dopo essere andato in pensione, a scrivere per i
quotidiani il Messaggero e il Sole 24 Ore.
Amedeo Esposito è stato davvero un punto di riferimento nel mondo
dell’informazione di qualità e della cultura abruzzese, e non solo. Lo ha
sottolineato bene l’Ordine dei Giornalisti d’Abruzzo: "Amedeo ha lasciato una
impronta indelebile nella storia dell'informazione dell'Abruzzo. Lascia un
vuoto incolmabile e un profondo dolore in tutti coloro che lo hanno conosciuto.
Il suo impegno civile andava oltre la professione giornalistica, che ha onorato
con grandi servizi e indimenticabili interviste come quella con il filosofo
francese Jean-Paul Sartre e la sua compagna Simone de Beauvoir. Non ha mai
fatto mancare consigli e indicazioni ai giovani che si sono avvicinati alla
professione. La sua passione per la storia locale, soprattutto dell'Aquila, lo
ha visto impegnato fino alla fine nel mantenere viva la memoria delle vicende e
dei protagonisti che hanno restituito la nostra società alla vita
democratica".
Uno stile di scrittura inconfondibile,
il suo, ricco di sensibilità e di profondità di pensiero. E di garbo, anche
quando la sua penna doveva essere pungente, se non poteva altrimenti far
ricorso all’ironia. L'Aquila perde un giornalista e uno scrittore insigne. Un
intellettuale vero, attento, curioso, con l’acribia dello storico nella ricerca
e nella verifica delle fonti. Fortemente ancorato all’etica della professione,
ai valori civici, al rispetto della persona e ai suoi ideali politici di
cattolico democratico, Amedeo ha attraversato gli anni del secondo Novecento e
del nuovo millennio, fino ai giorni recentissimi, conoscendone a fondo i
protagonisti, della società abruzzese e aquilana, nella politica,
nell’economia, nella cultura, nelle tradizioni secolari. Dell’Aquila, in
particolare, conosceva nel profondo la storia civica e chi ne aveva tracciato i
solchi.
Assiduo frequentatore e
profondo conoscitore del mondo culturale aquilano, delle sue prestigiose
istituzioni musicali, teatrali e cinematografiche, della nostra Università, del
Conservatorio e delle Scuole di alta formazione, ne ha compiutamente descritto
gli eventi più significativi e le attività. I suoi articoli, i suoi fondi, le
sue riflessioni su fatti e personaggi restano autentici cammei. In poche righe Amedeo disegnava il contesto, raccontava
fatti ed eventi, ne traeva un senso. La sua valutazione oggettiva si giovava
della ricchezza documentale del suo formidabile archivio, che purtroppo
nell’ultimo decennio gli mancava terribilmente, da quando il terremoto gli
aveva sconquassato la bella casa di Via Sallustio, nel cuore della città. Gli
aveva pesato non poco la forzata diaspora a Montesilvano, fin quando tornato
all’Aquila aveva trovato provvisoria sistemazione in un appartamento nel
quartiere Colle Pretara.
Storico attento e valente, Amedeo Esposito ha pubblicato numerosi saggi
e ricerche sulla contemporaneità e su eventi storici relativi alla seconda
Guerra mondiale. In particolare sugli avvenimenti relativi alla prigionia di Mussolini a Campo Imperatore, alla fuga
del Re da Ortona a Brindisi, al coinvolgimento dell’Arcivescovo dell’Aquila Carlo Confalonieri, poi Cardinale,
nella Resistenza “bianca” e nell’opera di protezione degli ebrei, secondo le
direttive ricevute da Pio XII,
secondo le quali dispose immediatamente di “…trasferire in segreto all’Aquila tutti gli ebrei sfuggiti alla retata
del ghetto di Roma e tutti coloro che sono nei monasteri o nei conventi del
reatino”. Questo l’ordine perentorio ed accorato, affidato a corrieri in
bicicletta, che l’Arcivescovo Carlo Confalonieri diede il 16 ottobre del 1943
ad alcuni parroci e guardiani (quelli fidatissimi) dei conventi di Cittaducale,
Castel Sant’Angelo, Borgo Velino e Antrodoco, facenti allora parte allora della
diocesi aquilana. Gli ebrei furono poi ospitati e protetti nei conventi e
monasteri aquilani, fino alla liberazione della città dai nazifascisti, il 13
giugno 1944, grazie al movimentismo cattolico
aquilano, guidato dal canonico Giuseppe Di Loreto e da Amalia
Agnelli, che a sprezzo di ogni pericolo provvide a dare asilo a ebrei,
partigiani e ai prigionieri alleati sfuggiti ai tedeschi.
L’attenzione di Amedeo
Esposito storico si è più volte soffermata sul bombardamento della stazione
dell’Aquila e dell’adiacente Zecca di Stato, l’8 dicembre 1943, come sui gravi fatti
accaduti in città e nel circondario durante l’occupazione nazifascista. Particolarmente
in riferimento ai Nove Martiri Aquilani,
collaborando alle iniziative all’inizio promosse dalla docente Carla Piccone, nella manifestazione che
l’Istituto Superiore “Amedeo d’Aosta” ogni anno tiene nel piazzale della scuola
intitolato al martire Fernando Della
Torre, per ricordare agli studenti il sacrificio per la libertà dei Nove
Martiri e fare memoria della loro barbara esecuzione ad opera dei nazisti, il
23 settembre 1943. Un’opera importante, quella di Esposito, verso i giovani
studenti – che lo ricordano come il giornalista con il farfallino – per fare
con loro memoria del valore della libertà, riconquistata a caro prezzo nella
lotta di Liberazione dal nazifascismo della quale l’eccidio dei Nove Martiri
segna emblematicamente, in quel tragico settembre del ’43, uno degli
avvenimenti che marcano l’inizio della Resistenza.
Grande riguardo Esposito
ha pure riservato alle secolari tradizioni aquilane, in primis alla Perdonanza Celestiniana. Come pure
all’antica tradizione aquilana di Sant’Agnese,
la “maldicenza” di dire male del male,
contribuendone fortemente alla riscoperta storica e alla valorizzazione, con la
creazione del Pianeta Maldicenza
insieme al compianto Ludovico Nardecchia,
a Tommaso Ceddia e Angelo De Nicola. Quest’opera ha dato
avvio al popolare Agnesino d’Oro e
al Palio di Sant’Agnese, l’annuale premio di “maldicenza” riservato agli
aquilani della città e del contado, celebrato con un concorso di opere in
vernacolo. Come pure al blasonato Premio
“Socrates Parresiastes”, riconoscimento conferito a personaggi che “affermano
la verità con franchezza e coraggio”, tributato a personalità insigni, quali il
filosofo Remo Bodei, Giuseppe De Rita, Carlo Azeglio Ciampi, Mons.
Bruno Forte, Fabio Capello e Claudio Magris.
Dei
brillanti articoli e cammei, da qualche anno, con Amedeo avevamo convenuto che non restassero confinati sulle pagine
dei giornali locali. Infatti me li affidava con un messaggio email, sempre lo
stesso: “Goffrè, vedi tu…”. E puntualmente li diffondevo ai miei numerosi
contatti stampa, in Italia e all’estero, con ampio riscontro di pubblicazione,
perché così belli, interessanti, intriganti e ricchi di curiosità. Dagli Stati
Uniti al Brasile, dal Canada all’Argentina, dal Sudafrica alla Svizzera,
dall’Australia al Venezuela, e così di seguito, tantissime le testate nel mondo
che hanno raccontato i fatti e le singolarità aquilane attraverso l’avvincente
narrazione di Amedeo Esposito. Anche
questo, dunque, è un lascito prezioso per la Città che egli ha così tanto
amato. “Oggi – ha tra l’altro
dichiarato il sindaco dell’Aquila Pierluigi
Biondi – ci sentiamo tutti più
poveri. L’Aquila piange una grave perdita ma sopravvivranno i suoi scritti, i
suoi insegnamenti ed il suo esempio”. Chiudo questo modesto ricordo
dell’amico Amedeo con un gesto che
esprime tutta la sua gentilezza e signorilità e che mi riguardò direttamente.
Avvicinandosi la primavera del 2007 e le elezioni per il rinnovo del Consiglio
comunale, alcuni mesi prima scrissi una lettera aperta agli aquilani nella
quale annunciavo che avrei lasciato la politica attiva, non ricandidandomi, e
li ringraziavo tutti sia per il consenso accordato che per l’utile attenzione
critica nel corso dei miei trent’anni passati al servizio della comunità
aquilana. Il giorno dopo Amedeo Esposito,
sulla pagina aquilana del Messaggero, scrisse su quella mia lettera uno dei
suoi “fondi” e lo titolò “Palmerini, il politico gentiluomo”. Lo conservo
ancora, quell’articolo, tra i miei ricordi più preziosi.
Goffredo Palmerini