Diraq: rock polveroso, di legno e valvole nel nuovo album "Outset" in uscita il 23 ottobre. L'intervista

OUTSET è il nuovo LP dei Diraq. Un lavoro che parla di provincia, di sogni e speranze, di lotte, di vendette e di amicizie, di certezze ed incertezze nei tempi che cambiano veloci.
Il disco dipinge una realtà prettamente surreale, dove personaggi e situazioni sono allegorie dei vari connotati della società, rappresentati dai contrasti sociali, colore della pelle, intolleranze di genere e un costante desiderio di evasione, o semplicemente di trovare il proprio posto nel mondo. Registrato da Antonio Gramentieri e Roberto Villa nello studio L’amor mio non muore (Forlì, IT) Masterizzato da Giovanni Versari - La Maestà Mastering (Tredozio, IT), uscirà il 23 ottobre 2019 in CD/Vinile/Digital con JAP Records!. L'intervista.
Parlateci del nuovo album. Che impronta avete voluto dargli?
Outset è il nostro secondo LP, nasce dall’urgenza di scrivere canzoni che si prendano il rischio di non accomodarsi nei clichet di genere, crediamo che oggi sia anacronistico e anche noioso essere una rock band che fa la “rock band”, lavorando a questo album tenendo i piedi saldi sulla nostra personale coerenza stilistica, ma cercando occasioni per poter ottenere varietà, uno spettro sensibilmente aperto verso mondi sonori variegati. Più che parlare di genere credo si possa parlare di attitudine, c’è blues e blues, c’è rock e rock, la musica che ci piace è quella che parla a cuore aperto e si guarda intorno con curiosità, le cose salottiere e museali ci interessano poco.
Avete cantanti di riferimento? 
Apprezziamo molto la crescita artistica di Dan Auerback, ci piace la sua attitudine, la sua voce e la sua scrittura. Abbiamo portato alta per anni la bandiera dei QOTSA e dei NIN, band che ci hanno segnato da quando eravamo adolescenti. La varietà produttiva di Jack White ci affascina, crediamo che a tratti abbia sfiorato il genio. Dylan, Nick Cave, Tom Waits, giganti che girano spesso nei nostri lettori. Da qualche tempo anche Kurt Vile. Vogliamo parlare di Chet Faker? Buttiamo volentieri un occhio anche a quello che fa Kendrik Lamar e parte di quel cosmo musicale. A livello nazionale ci sentiamo di citare Don Antonio e Sacri Cuori, non a caso abbiamo scelto A. Gramentieri come produttore artistico del nostro disco. Seguiamo con interesse l’attività di Ronin, Bachi da Pietra, C’mon Tigre, Calibro 35..in Italia ci sono davvero tante realtà interessanti, rischiamo di annoiare i lettori, magari ne riparleremo al bar.
Qual è l’esperienza lavorativa che più vi ha segnati fino ad ora?
Abbiamo dieci anni di attività alle spalle, ma questo disco ci ha permesso di fare uno step di crescita significativo, dovuto sicuramente al fatto di aver lavorato affianco a gente molto brava, ma l’emozione di registrare la nostra musica su nastro è sicuramente una cosa che porteremo nel cuore, la cosa che segna Outset anche a livello concettuale, non è un discorso tecnico sulla purezza del suono, sono vibrazioni fisiche.
Invece quella mai fatta e che vi piacerebbe fare?
Indubbiamente uno dei grandi obiettivi è riuscire a suonare fuori dall’Italia, la nostra musica parla un linguaggio internazionale, è sempre stato così, assimiliamo le cose che arrivano da fuori e cerchiamo di elaborarle con sensibilità personale, aggiungendo il nostro accento. Potrebbe essere esotico anche per il pubblico estero ritrovare una musica familiare, ma con dei connotati diversi.
Progetti futuri? un tour?
Sicuramente portare live questo disco è la priorità. Stare su un palco è la sublimazione finale, l’omega di tutto questo lavoro, ci piace suonare difronte a un pubblico che a malapena sa chi sei, ma che ascolta e assiste al rito del “qui e ora”. Speriamo di avere ancora la possibilità di fare belle cose, dovessimo passare nella vostra città venite a farci un saluto.

Fattitaliani

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