Jurij Ferrini: È il sistema che gestisce il Teatro che è morto, non il Teatro. L'intervista di Fattitaliani


Al 53° Festival di Borgio Verezzi, in Prima nazionale il 3 agosto e in replica il 4 e il 5 “I DUE GEMELLI…VENEZIANI. Libero Adattamento di Natalino Balasso da Carlo Goldoni per la Regia di Jurij Ferrini che è anche interprete insieme a Francesco Gargiulo, Maria Rita Lo Destro, Federico Palumeri, Stefano Paradisi, Andrea Peron, Marta Zito. Produzione Progetto U.R.T. srl 

Una commedia ricca di fascino e di magia che risulta sempre attuale pur essendo stata scritta quasi tre secoli fa.
I due gemelli… veneziani è un libero adattamento del testo di Goldoni. In che modo è stato fatto?

In una riscrittura originale fatta da Natalino Balasso che ha fatto un lavoro molto raffinato. Lo ha collocato in un’epoca molto più vicina a noi, precisamente negli anni ’70 in cui si è formata la società di oggi. Ha trasformato alcune cose che Goldoni alla sua epoca non era riuscito a trasmettere perché c’erano altri principi, usi e costumi che per noi oggi sarebbero incomprensibili. Ne è venuta fuori una dicotomia rafforzata. E’ un bell’incrocio, un’idea molto intelligente quella di riconcettualizzare i classici in questo modo. 
Soprattutto per avvicinarli ai giovani che di solito a scuola li trovano noiosi.
Sì! Laddove la recitazione è concreta, cade sul palcoscenico e gli attori fanno le cose sul serio che non vuol dire non far ridere nelle situazioni umoristiche che Goldoni sapeva ben dipingere. Non significa che non si possa fare Goldoni nel suo linguaggio originale, spesso però si fanno degli esperimenti culturali e letterari. 
Purché non si vada molto al di là dell’opera, ben vengano gli esperimenti culturali…
Senza stravolgere il testo bisogna trasferire solo alcune consuetudini che non sono più nostre. Oggi entrare in camera di una ragazza non significa che lei faccia la prostituta. All’epoca in cui è stato scritto il Testo, era così. 
Oggi c’è anche una situazione umoristica dove Tonino il gemello più scaltro si trova con Rosaura ed è convinto di essere in un bordello e invece c’è un equivoco di fondo e diventa molto più divertente dell’originale che era dato per scontato perché in quell’epoca erano un po’ più talebani.
Goldoni scrisse questa commedia nel 1747 a che cosa deve il suo successo oggi? Alla vivacità dell’intreccio, al gioco degli equivoci o al carattere dei personaggi? 
Direi a tutte e tre le cose che sono elementi fondanti dell’opera. L’intreccio è sicuramente quello di Plauto soprattutto nello scambio di persona perché Zanetto e Tonino si somigliano. 
Goldoni fu il primo ad intuire che i loro ruoli potevano essere affidati ad un solo attore perché le altre versioni anche quella di Shakespeare era fatta con due attori che si somigliano o perché hanno una maschera o perché vengono scambiati con la complicità e la partecipazione del pubblico. In questa versione, sono io che interpreto entrambi con uno stratagemma finale che è bene non rivelare se qualcuno non lo ricorda. E’ divertente perdersi nelle due identità.
Il 3 ci sarà la Prima Nazionale a Borgio Verezzi. Cosa vi aspettate? 
Che lo spettacolo sia divertente, che sia apprezzato nella sua nova veste. Sono un veterano di Borgio Verezzi. E’ un Festival storico che vanta una tradizione di più di mezzo secolo. 
Avete già stabilito una Tournée? 
Si sta profilando! Non è un momento facile per il Teatro, ci sono sempre meno fondi e quindi chi deve portare in giro una Compagnia di sette attori ha delle difficoltà. C’è tanta offerta, oggi mi sa che in Italia ci sono più attori che spettatori. 
Noi più o meno produciamo su due linee, una che sostiene grandi titoli di Autori un po’ meno conosciuti e l’altra più piccola che produce commedie molto divertenti, intelligenti, sofisticate ma non complesse da seguire. Un po’ come succede nelle Serie TV che se sono sofisticate diventano più insignificanti. La drammaturgia è andata avanti…è l’Italia che è rimasta indietro. 
Molti spettatori che hanno l’invito e non pagano il biglietto…
Oggi le risorse del Teatro non vengono più dallo sbigliettamento almeno non nel Teatro più Commerciale inteso non nel senso dispregiativo ma nel senso che il pubblico sa cosa compra. Il Teatro d’Arte, quello impegnato, sovvenzionato dallo Stato ha portato i biglietti ad una media di 10 euro e quindi fa sì che la Platea contribuisca veramente poco anche con gli abbonamenti. 
Se fossi il Ministro metterei dieci milioni di euro per il Teatro, 100 milioni di euro per il FUS e farei dell’Italia l’unico Paese in Europa in cui il Teatro è gratuito.
Così almeno la finiamo con questa pantomima di far finta che il Teatro è caro perché non è vero. E’ davvero una situazione allarmante, era già decadente prima della Riforma del 2014 e adesso è alla frutta.  
È vero che il Teatro è morto e che stiamo perdendo un Patrimonio culturale immenso? 
È il sistema che gestisce il Teatro che è morto perché assorbe il 90% delle risorse. Sono quelli che volgarmente chiamo i siparisti, cioè tutti quelli che stanno lì intorno per aprire il sipario la sera dello spettacolo. Artisti e pubblico avrebbero un rapporto molto diverso. Vuol dire che si sono sovradimensionate molte cose, c’è troppa burocrazia e tanti problemi che andrebbero risolti. Come sempre il Teatro e la Cultura sono sempre un problema marginale rispetto ad altre emergenze dell’Italia. Se avessero lasciato le cose come erano prima, sarebbe stato meglio. 
Nessuno è competente e neanche chiedono aiuto… 
Soprattutto perché sono persone che hanno studiato sui libri di Teatro ma non lo fanno. Chi lo fa, conosce i meccanismi. Ci sono delle persone in gamba che cominciano a lamentare questa cosa. Mi viene in mente Pastore, il Direttore dello Stabile di Genova e tanti altri che cominciano a sollevare l’attenzione anche in maniera molto fremente. Con l’intento che l’attenzione vegli veramente su questo problema.

Elisabetta Ruffolo

Fattitaliani

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