Stop allo shopping compulsivo e agli armadi
straripanti di vestiti dozzinali grazie al nuovo trend che sta rivoluzionando
il guardaroba di milioni di persone. Le parole d’ordine del Prêt-à-Reporter,
amato anche dalle star, sono qualità, riuso e sostenibilità. Una tendenza che
permette di tagliare le spese, ridurre i tempi di preparazione al mattino e
ottimizzare gli spazi tra le mura domestiche e in valigia. Secondo gli esperti
il numero perfetto di vestiti in un “capsule wardrobe” è compreso tra 12 e 37.
Se
per la protagonista di Sex & The City, Carrie Bradshaw, un armadio
gigantesco era addirittura meglio di un diamante, per le ragazze di oggi non è
affatto così: la guerra al concetto di
“monouso” e ai guardaroba straripanti è iniziata. È giunto il momento di
dire addio all’abitudine di comprare capi e lasciarli anni appesi a una gruccia con tanto di cartellino, oppure
indossarli una sola volta per una
grande occasione. Spazio, quindi, al riutilizzo
e a una nuova tendenza che ha già contagiato reali e celebrities, il Prêt-à-Reporter. Tra le regine di
questo trend spiccano Anna Wintour e
Kate Middleton che in più di 70
occasioni ha scelto abiti già indossati in precedenza. Il concetto è molto
semplice e segue la filosofia del “less is more”: comprare meno, ma prestare più attenzione a manifattura e qualità
per arrestare la produzione di rifiuti. Ogni ora in America si gettano circa 20 kg di vestiti, una
quantità sufficiente per riempire tre piscine olimpioniche secondo il libro
“Overdressed: the shockingly high cost of cheap fashion”. Uno spreco alimentato soprattutto dal fast fashion che produce capi spesso
dismessi in meno di un anno, d’accordo con uno studio della Ellen MacArthur Foundation. Sposando lo Slow Fashion, che predilige l’acquisto
di capi necessari, di qualità e prodotti in modo sostenibile, questa tendenza promuove la scelta di un numero
limitato di abiti che, proprio
per la qualità dei materiali, possono
essere riutilizzati con stile e adattati ad ogni occasione variando gli
accessori.
È
quanto emerge da uno studio condotto da Espresso Communication per Bigi Cravatte Milano su un panel di esperti e su oltre 30 testate internazionali dedicate a tendenze e attualità nei campi della moda, del
lifestyle e della sostenibilità per scoprire
come si sta evolvendo il guardaroba degli italiani.
“Rispetto
a qualche anno fa, i consumatori sono oggi più consapevoli e attenti
all’impatto ambientale. – spiega Stefano
Bigi, amministratore unico di Bigi Cravatte Milano – In azienda perseguiamo
la qualità producendo dal 1938 cravatte durevoli, riutilizzabili e sostenibili;
per farlo abbiamo mantenuto invariato il processo di produzione artigianale che
ci contraddistingue sin dalla nascita e tutti i prodotti sono interamente
realizzati a mano dalle nostre sarte, molte delle quali lavorano a domicilio.
Oltre a prediligere la qualità, nella scelta della cravatta occorre orientarsi
verso fantasie intramontabili come righe, punti spillo e tinta unita, veri e
propri evergreen che possono essere utilizzati per anni semplicemente giocando
con accostamenti diversi”.
Ed
è proprio la cravatta secondo Maura
Franchi, docente di Sociologia dei Consumi e della Comunicazione all’Università
degli Studi di Parma, a incarnare a pieno i principi del Prêt-à-Reporter: “Ci
sono tre dimensioni interessanti all’interno di questo trend. La prima è la
personalizzazione: in un tempo in cui tutto appare accessibile, con una
rapidissima omologazione anche dell’abbigliamento di lusso rivisitato in chiave
più democratica, capi iconici come la cravatta rispondono ancora al bisogno di
personalizzazione e di identità. La seconda dimensione è l’estetizzazione: la cravatta
è un oggetto unico che ha una dimensione vintage di recupero del passato e pone
l’attenzione su specifici dettagli. Infine ha una dimensione simbolica forte ed
esprime affidabilità, fiducia e autorevolezza”.
Ma
quali sono le regole per avere un guardaroba in pieno stile Prêt-à-Reporter?
Come riportato dal Washington Post,
bisogna fare acquisti ponderati, provare sempre ogni capo e scegliere soltanto
quegli indumenti che fanno sentire a proprio agio. Attenzioni che permetteranno
di avere un capsule wardrobe, un armadio composto da pochi abiti,
essenziali e versatili, che possono essere indossati in qualsiasi occasione con
l’aggiunta di qualche complemento, secondo la definizione data negli anni ’70
dalla sua fondatrice, la londinese Susie Faux. Sul numero dei capi che un
capsule wardrobe deve possedere, spiega El
País, gli esperti si dividono: secondo Faux dovrebbero essere 12, mentre
c’è chi afferma che la cifra perfetta sia 37. L’importante resta, però,
ridurre, darsi un proprio limite e cercare di non superarlo. Tra i vantaggi di
questa filosofia, non solo un drastico
taglio alle spese, ma anche un netto risparmio di tempo e la fine del dilemma mattutino sulla scelta
dell’outfit come suggerisce l’Indipendent.
Il tutto senza alcuna rinuncia in termini di stile ed eleganza e riducendo lo spazio occupato dai
vestiti tanto a casa quanto in valigia. Prima di procedere all’acquisto è
necessario anche, come sottolinea il New
York Times, comprendere quale sia lo
stile appropriato al proprio luogo
di lavoro poiché vestirsi adeguatamente ha un forte impatto sulla
psicologia dell’individuo e gli permette di sentirsi a proprio agio, integrarsi
e raggiungere gli obiettivi stabiliti.
Il
Prêt-à-Reporter
dimostra anche l’attenzione dei consumatori nei confronti della sostenibilità,
un’attitudine piuttosto recente come spiega Luisa Leonini, professoressa di Sociologia dei Consumi presso
l’Università degli Studi di Milano: “L’attenzione dei consumatori nei confronti
della sostenibilità inizia nel 2000 quando nasce il fenomeno della moda etica a
favore del made in Italy e dell’intero processo produttivo del bene. Dal 2016
in poi è cresciuta anche l’attenzione al riuso nel settore dell’alta moda e
allo sviluppo dell’economia circolare, con una ricaduta diretta sulle scelte
legate a una maggiore qualità e una minore quantità dei capi prodotti”.
Pensare che riutilizzare
più volte lo stesso abito sia una caduta di stile è quindi un vero errore: lo
dimostrano celebrities note per il
loro buon gusto e la loro raffinatezza. È il caso, come racconta il DailyMail, di Kate Middleton, eletta regina
del “riciclo” proprio per la sua decisione di re-indossare in più di 70
occasioni abiti già sfoggiati in precedenza. Famoso è il riutilizzo dell’abito
color crema scelto per il battesimo di Charlotte e sfoggiato nuovamente alle
nozze di Harry semplicemente variando gli accessori o l’aggiunta delle spalline
alla mise già esibita nel 2017 e riproposta con un piccolo ritocco sartoriale
al Gala della National Portrait Gallery nel 2019. Tra i paladini del
Prêt-à-Reporter si annoverano anche la regina Letizia di Spagna, Cate
Blanchett, Brad Pitt e persino
un’icona come Anna Wintour. A far
cadere il tabù del riuso il giorno delle nozze è stata invece l’attrice Keira Knightley, come riporta il magazine L’Express,
che per il sì ha scelto un mini abito in tulle già indossato per partecipare a
un party nel 2008. Una tendenza sempre più diffusa tra le spose che scelgono di
percorrere la navata indossando vestiti
stupendi, rassicuranti e rigorosamente nelle tonalità di bianco, panna e
avorio ma che non nascono come abiti da
sposa. Per quanto riguarda lo sposo, invece, la scelta migliore è un abito di sartoria a tre pezzi, composto
da giacca monopetto, gilet e pantaloni. Fondamentale è poi la scelta della cravatta, accessorio più versatile rispetto al papillon, la cui
qualità, forma e tonalità possono elevare il look e fornire allo sposo un
accessorio su cui fare affidamento anche dopo il grande giorno.
Un
futuro sempre più green attende
dunque la moda a patto che si rispettino alcune condizioni. Come sottolinea Dario Padovan, professore di Sociologia
dei Consumi e Sostenibilità presso l'Università degli Studi di Torino: “I piccoli guadagni in fatto di
sostenibilità realizzati grazie alla produzione di beni sostenibili vengono
compensati dall'aumento di un'enorme massa di beni non sostenibili e a basso
costo: non vi è una sostituzione, quanto piuttosto un'aggiunta della
possibilità di scelta all'interno della medesima offerta. Vi sono due strategie
per fare davvero la differenza in questo senso: una pianificazione calata
dall'alto, che risulterebbe però poco condivisa, o l’innesco di un processo
accelerato in virtù del quale le imprese stringono un patto per combattere il
cambiamento climatico e decidono tutte insieme di muoversi all'unisono verso la
sostenibilità”. Secondo Manuela
Rubertelli, professoressa della School of Design del Politecnico di Milano,
invece: “Un approccio dal basso volto a elevare il livello di cultura e a
fornire maggiori informazioni alla popolazione è lo strumento per rendere i clienti
più critici sulle tipologie di consumi e più consapevoli sul contenuto dei
messaggi pubblicitari a loro rivolti”.