Pasquale
Lettieri è Critico d’Arte, ma anche Poeta, Biografo e Giornalista.
Danno
il via alle sue attività le frequentazioni con il Poeta visivo
Camillo Capolongo prima e successivamente con il curatore e
gallerista romano Ermenegildo Frioni.
Inizia
così un percorso artistico culturale, professionale veramente
consistente, la
sua prolifica attività nel campo della ricerca artistica
contemporanea, curando numerosissime mostre e rassegne dedicate ai
nomi più prestigiosi dell’Arte contemporanea. E’ autore di
numerosi cataloghi e libri d’arte, Docente, Accademico, Direttore
artistico di Gallerie d’Arte, scrive su quotidiani e mensili di
provata valenza artistica, curatore di un’ingente quantità di
Mostre, Autore di volumi e cataloghi preziosi per la competenza e la
ricerca storica che ne sono alla base.
Chi
sia, quindi il Prof. Lettieri per gli addetti ai lavori è ormai
storia, noi invece vogliamo presentarlo al grande pubblico, facendolo
conoscere anche umanamente ai giovani, a chi non è un frequentatore
del campo artistico.
D.
Prof. Come vive un Critico d’Arte come Lei la consapevolezza di
appartenere ad una terra che contiene il 70% dell’Arte mondiale ed
è la culla di tutta la Cultura neoclassica?
Si
sente il peso di una grande responsabilità, ma anche la felicità
dell’orgoglio di essere italiani. La museografia, così come la
museologia, sono diventate due scienze in sviluppo, che attirano
sempre nuove attenzioni di giovani che sentono il bisogno di
acquisire le conoscenze adatte per svolgere queste nuove professioni
che a qualcuno sembrano antiche, ma che fino a poco tempo fa si
acquisivano con un artigianale apprendistato, che per anni ha dato
buoni risultati, ma ora mostra tutta la sua corda. Tanto è vero che
si avvertono tutte le carenze che abbiamo posto a premessa di questo
ragionamento. Carenze che rischiano di rallentare lo sviluppo di
questo comparto che, con l’aumentare del tempo libero e dei consumi
culturali, richiederà tanti operatori ai quali non si dovrà
chiedere una minore scientificità di quella che si chiede ai
ricercatori delle nanotecnologie. Non bisogna pensare che nelle cose
dell’arte deve valere l’ingegno, l’improvvisazione e basta,
perché è sempre più necessario acquisire conoscenze organiche e
mettere in campo prassi che già all’estero, specie negli Usa, sono
già in atto e da noi, molto meno. Porre al centro del dibattito
questa questione significa voler dare al mondo dell’arte, un futuro
certo in cui le discontinuità e le originalità siano dovute a
personalità e psicologia, non a casualità e improvvisazione. Le
università, le accademie, ma anche le stesse istituzioni museali e
storico archeologiche si devono porre il problema in termini
organici, utilizzando anche l’esperienza dei pionieri dei Renato
Barilli, degli Achille Bonito Oliva, dei Germano Celant, dei Gillo
Dorfles, dei Philippe Daverio, artefici di una grande stagione,
irripetibile, indipendentemente dalle loro diversità e dall’essere
storici o “contemporaneisti”. Mi sembra necessario non lasciarsi
sfuggire l’occasione d’oro d’avere avuto una squadra di critici
che è equivalente a ciò che sono stati i Valentino, Versace, Ferrè,
Armani, Missoni, Balestra, Molaro nel campo della moda. Un momento in
cui la storia produce, in maniera rivoluzionaria, dei protagonisti
che tracciano una strada che prima non c’era, che fondano stili e
modelli di vita, ma difficilmente hanno eredi diretti, anche perché
sono dei solisti che creano le regole con il loro comportamento ma
non le tollerano, per cui, affinché non si disperda un patrimonio è
necessario che si moltiplichino le offerte che ad oggi sono molto
limitate.
D.
Ci spiega come e quale approccio bisogna avere per carpire il
significato di un’opera e non rimanere alla sua apparenza?
Dinamica
e meditazione sono due alternative di lettura per i linguaggi
creativi, pittorici, plastici, che oggi sono sempre più contaminati,
mescolati, con la peculiarità tecnologica che impregna tutto
l’essere e l’apparire, anche quello che, nell’immediatezza,
sembra più legato alla tradizione e alla storia, ma ricordandoci
sempre che nell’antico, molto mitizzato, le statue, i templi e le
case, tutto era dipinto proprio perché il crinale del cambiamento
continuo, che corrisponde all’etimologia della modernità avanzata,
liquida, obbligato a scommettere sull’originalità.
In
sostanza nessuno può “tradire” il proprio tempo, sia quando
vuole tentare la fuga in avanti, che quando si sente orfano del
passato e vuole ripercorrerlo o impiantare in esso, perché c’è
oltre alla consapevolezza, un trasudamento molecolare che gioca una
dialettica di movimento e di stasi in un ondeggiare continuo, per
quanto asimmetrico, che corrisponde ad una sperimentazione e ad una
riflessione, che è linguistica in senso teorico, complessivo, pronta
a specificarsi nei molteplici rivoli della fenomenica che corrisponde
ai nostri sensi alle espressioni del desiderio, nelle emozioni, che
si fondano sulla memoria e ad essa tornano, dopo i flussi del
presente, dopo aver lasciato tracce che tocca ai visionari astrarre
dal nulla, ai deliranti innalzarle a pensiero.
D.
Cos’è per Lei la Bellezza?
Il
concetto del bello è fortemente generico, penosamente vacuo. Diciamo
bello quello che piace agli occhi, quello che osserviamo con piacere.
Ma il piacere offerto dalla natura è di specie diversa dal godimento
artistico. Quel che piace rappresentato dall’artista può spiacere
in natura ed essere persino insopportabile. Poiché c’è un abisso
fra bellezza naturale e pregio artistico, noi cerchiamo di evitare il
termine “bello” nel giudizio sull’arte. Ma sarebbe un errore
espellere senz’altro dal regno dell’arte il bello naturale,
quindi la figura sanamente bella, la grazia del movimento, una
corporatura regolare, il fascino. I rapporti fra bellezza naturale e
valore artistico sono intricati.
Anzitutto
il nostro giudizio sulla bellezza in natura dipende dalle nostre
esperienze artistiche. Proprio dagli artisti abbiamo imparato a
godere la bellezza naturale.
Le
forme, i colori, i movimenti che ci rendono felici nella vita, noi
non cerchiamo affatto di ritrovarli nel quadro. Il bello naturale non
è condizione indispensabile per la creazione artistica, ma serve
all’artista come un mezzo. In arte esso è simbolo di nobile, alto
sentire, di purezza spirituale, d’innocenza e di santità.
D.
Per fare comunicazione culturale sui giornali, in TV e, ovviamente, a
scuola occorre sempre il confronto con il passato o il dominio della
Rete ha mutato o almeno condizionato il modo di fare critica?
Non
bisogna dimenticare mai che i linguaggi artistici costituiscono un
elemento essenziale dell’immaginario umano, capace di connotare
identità, come le differenze, rendendo dinamiche le civilizzazioni,
dando ad esse le strumentazioni per affermare la creatività, lo
sbandamento,
la
fascinazione; perché altrimenti non si comprenderebbe il suo
espandersi, che è da tutti considerato, un indiscutibile fattore
oggettivo, mentre, ancora in tutta la prima parte del Novecento, in
preda delle ideologie rivoluzionarie e assolutistiche, molti si
chiedevano, con maiuscoli punti interrogativi, se l’arte fosse
necessaria, se l’arte avesse avuto un futuro. I nuovi media hanno
consentito una crescita in orizzontale, oltre che in verticale,
dell’interesse poetico e critico, oltre che di quello di mercato,
che rimuove questi interrogativi, mentre amplia la portata di tutte
le questioni filosofiche, sociologiche, linguistiche, che all’arte
e alle sue molteplici espressioni, fanno riferimento.
D.
I trentenni e i quarantenni di oggi vivono una grave emergenza
storica che si basa su una disoccupazione intellettuale già, da
qualcuno, prevista fin dagli anni settanta. Quali gli errori della
Scuola, della Formazione, della docenza universitaria? Dice Oscar
Wilde: in un secolo brutto e insensato, le arti cercano i modelli non
nella vita, ma in opere precedenti, alle quali fu dato valore.
Cosa
fare, secondo lei, per non trascinarsi questo stato di cose nelle
generazioni future?
Nella
grande discussione sulla disoccupazione giovanile, specie di
carattere intellettuale, spesso sprovvista di laurea, non è mai
stata al centro del dibattito la questione delle nuove professioni
legate alla cultura, alla gestione di imprese culturali, in tutti i
settori, soprattutto in quelli museali, galleristici espositivi, che
si moltiplica sempre più e non hanno personale adatto, non potendo
quindi, portar avanti i programmi di espansione o dovendo accomodare
con personale improvvisato. Tanto malessere, in tutti questi luoghi è
dovuto spesso all’improvvisazione, al dilettantismo, che poi si
traduce in cattiva selezione delle opere, in modesti cataloghi di
basso tenore scientifico, in allestimenti carenti e in apparati
illuminotecnici che spesso sono fatti per rendere difficoltosa la
visione e sfregiare seppure metaforicamente, le opere.
La
stagione delle mostre, in Italia, ormai dura da anni, senza
interruzione e il fenomeno non accenna a placarsi, ma questo pone con
forza il problema della formazione dei critici, dei conservatori, dei
curatori, degli addetti stampa e alle pubbliche relazioni, i
guardiani, gli accompagnatori di comitive. Bisogna studiare in modo
nuovo in collegamento tra centri universitari e musei, gallerie,
luoghi espositivi, per evitare i rischi di teoricismo, che rendono
inutile tanta conoscenza e quelli di tecnicismo che reputano tutto
ovviabile con l’esperienza. Serve lo studio teorico e l’attività
di tirocinio, in modo da connettere subito l’acquisizione
metodologica astratta e la concretezza del fare e del fare bene.
D.
Artisti, Galleristi, Istituzioni. Monitorando questi tre fattori,
qual è lo stato di salute dell’arte contemporanea?
Il
sistema dell’arte sta vivendo una nuova giovinezza, da tempo,
conquistando sempre nuovi ceti sociali, che vengono attratti
dall’arte, per quello speciale status simbol che conferisce, per
quella trasformazione qualitativa che dà agli ambienti in cui viene
collocata. Niente è in grado di soddisfare il desiderio di cose
bellezza ambientale, come l’arte, specie quando è il frutto di
una conquista individuale, in un luogo che è di conoscenza e di
acquisizione, come dire di metafisica e di fisica. L’opera di
pittura, di scultura, di disegno, di grafica, nella vendita
all’asta, si misura, non solo con una cerchia di affezionati e di
conoscitori, ma con un vasto pubblico, che spesso la incontra per la
prima volta, proprio in questo luogo, spesso con delle folgorazioni e
delle impennate di valore, che fanno notizia; nascono in sostanza
amori eterni ed infiniti, ma anche possibilità di crollo, anche se,
veramente, questo accade molto di rado. Puntare su questa forma di
mercato dell’arte, che è ormai stabile
nell’affiancare quella tradizionale dei mercanti en chambre o dei
galleristi o quelle più recenti, come quella che avviene in
trasmissioni televisive, è un fatto di fiducia nei confronti
dell’agorà cittadina per entrare in confronto con l’habitus
della ricchezza storica, dell’arte antica e moderna; ribadendo che
essa non è in alternativa agli altri canali commerciali esistenti,
ma si propone in azione sinergica di integrazione, in cui si preveda
che in più, in tanti, si possa lavorare insieme per allargare il
panorama dell’offerta d’arte e ampliare l’ambito dell’offerta
e quello della richiesta. Così consolidando, in tutto, il panorama
nazionale, un segmento del rapporto sociale con l’arte, nella
considerazione che la sua fase di mercificazione non finisce per
esaurirla, ma nel verificarne la corporeità in vista di una più
sofisticata conservazione tra i beni dello spirito, perché non
dobbiamo mai dimenticare che l’arte ha un suo momento mercantile,
seppure alto e speciale, ma rimane sempre una delle più alte
invenzioni del genio umano e rappresenta la più alta espressione di
una civiltà. In sostanza, si può ribadire che ricchezza e varietà
dei canali di proposta di mercato, fanno si che esso sia, sempre più,
un segnale di strutturalità della vita economica e culturale,
un segnale di modernità profondamente radicata nella tradizione e
proiettata nel futuro.
D.
La bellezza salverà il mondo, dice Dostoevskij, dobbiamo crederci o
è ormai una frase dell’immaginario comune?
L’arte
e gli artisti sono una categoria postmoderna per eccellenza, forti e
inguaribili assertori di una unione sacra tra teoria e prassi, tra
concettualità e tecnica, continui fondatori e rifondatori della loro
genealogia di nomadi ed erranti, vocati a creare bellezza e a dare
luce ai grandi spazi e ai segreti luoghi della vita; con essi si
devono misurare sociologi e urbanisti, architetti e paesaggisti, per
fare in modo che il nostro destino non sia quello dei tristi custodi
di un passato grande di cui s’è persa la chiave, ma di
protagonisti pronti a segnare il proprio passaggio, con forme
durature di monumenti del nostro tempo. Come sempre si confrontano i
laudatores temporis acti, i catastrofisti, gli utopisti, i visionari,
ma noi possiamo aspirare al più alto dei destini, quello di
contribuire alla trasformazione molecolare di noi stessi e della
realtà circostante, senza lasciarci esaltare dai successi e senza
farci atterrire dai degradi: hic rodus, hic salta.
D.
Cos’è la Poesia per lei?
La
poesia è diventata un’ermeneutica dell’impossibile, in quanto
non esiste più una regola d’arte che va interpretata e compresa,
ma un trascinamento che non porta da nessuna parte, perché
l’emozione non è programmabile e neanche decodificabile, se non in
via sintomatica, frammentaria, senza più nulla di sistematico,
proprio per il fatto che si è esaurita la poetica come pensiero
compatto, per cui il post industrialismo si diffonde esplosivamente
dappertutto, con un ritorno all’individuale parcellizzato,
alienato, proprio nel momento in cui alla divisione capitalistica del
lavoro, fa sì che nessuno abbia una visione d’insieme, capace di
essere in qualche modo autosufficiente, bersagliando l’individuo di
ogni attacco, fino a farlo regredire in individualismo solipsistico,
che dal narcisistico procede verso l’autismo, anche se per fortuna
continuano a proliferare gli emarginati che seguendo le tracce di
Solgenitsin, di Sakarow, di Siniavski, di Daniel, le indicazioni
intellettuali di imprevedibili poeti come Pound e scrittori come
Cioran, tutti lungo una direttiva di libertà, dove hanno incrociato
le penne, anarcoidi come Pizzuto e Bataille e per finire in
catalogabili, come Kurt Vonnegut, James G. Ballard, Charles Bukowski.
Si fa per dire!
D.
L’amore rende più deboli o più forti?
Eros
è la macchina della vita, intorno ad esso e attaccato alle sue
infinite trame, si svolge l’accedere delle ore e dei giorni, in una
perenne lotta del desiderio, di soddisfarsi, sapendo,
antropologicamente, che il suo gioco radicale, ontologico, sconfina
con le pulsioni profonde, che appartengono all’istinto di
conservazione e di repulsione, per tutto ciò che è suo apporto,
disfacimento, dissipazione, perdita del sé,
dell’es,
del superio,
della morte, insomma, che è la perdita di tutto, per cui eros vuol
dire gioia e dolore, mescolati insieme, in estasi e tormento, eterni.
Al
suo corteo cui sono tutti, belli e brutti, giovani e vecchi per
prendersi la propria parte di festa, la propria porzione di
godimento, portandosi dietro l’epigrafe del proprio narciso,
attaccata alle dionisiache corone di fiori carnosi, umorali, come
un’insegna, che indica innamoramento, passione, delirio, dolore:
perché il suo percorso è sempre ripido, in salita e si può
precipitare in ogni momento, anche quando si sfiora il culmine,
l’estasi di un attimo e s’incontra Sisifo, che non si ferma mai
che sale, sale, ma poi scende, scende.
D. Da cosa ci salva la Poesia?
La
poesia, erede, nel suo grande contenitore indicibile ed ineffabile,
delle misure della bellezza, della libertà espressionistica,
dell’emozione, della gestualità, del nomadismo, della
sperimentazione, della teatralità della scena, del segreto di un
laboratorio sapienziale e facturale, del grande teatro del mondo e
della sua immensa volta celeste, conturbante aura fantastica e cappa
insostenibile, caratterizza, rizomaticamente
ed atmosfericamente
il nostro tempo.
La
poesia si configura come un grande contenitore, informe, elastico,
pronto ad assumere la forma di tutto quello che contiene dentro,
cambiando di continuo il suo modo di apparire, la sua transeunte
morfologia, fatta di tutte le imperfezioni e le titubanze che vengono
a scontrarsi, quando tutto è stasi e sembra movimento, quando tutto
è movimento e sembra stasi.
D. L’amore è
la risposta, ma mentre aspettate la risposta il sesso può suggerire
delle ottime domande. (Woody Allen). In che ordine mette le due cose
Lei?
Nel
lungo tempo dell’oggi, che è il rovesciamento dell’eterno
presente, tutto quanto può esistere, spianando le montagne e
riducendo le maree, proprio, perché è in atto una grande pioggia
chimica, di media a cui nessuno può sottrarsi, intrusiva,
implacabile, a cui è necessario rispondere, raddrizzando i tempi e i
luoghi, della riflessione, della meditazione, nell'ascolto dei suoni,
nella modulazione, delle parole, nella calibratura dei gesti,
facendosi altro,
riuscendo ad ascoltare il silenzio e vedere il nulla, come se fosse
in atto un'apocalisse, l'avvento dell'aleph.
Per
questo, diventa fondamentale il momento della libertà, della libera
adesione alla propria emotività sensuale e pornografica, salvifica e
dannata, che può anche essere sincronica, calibrata con quanto gli
accade tutto intorno, vissuta senza arroganza e senza spirito di
sopraffazione, in cui il compito del maestro, vicino e lontano, non è
quello di portare ad unità la molteplicità, ma di conservarla, in
quanto tale, come una ricchezza che è tale, in quanto tale e non in
quanto materiale
da fondere insieme, ma per la fluidità del genio che per fortuna è
sempre incombente
D. Tra le tante
cose che fa, in quale si ravvisa meglio?
Nella
contemplazione
D. Un’ultima
domanda al Prof. Lettieri che riguarda la Donna. Oggi è sopraffatta
dalla violenza, l’Arte può contribuire ad abbattere questo
oscurantismo che pensavamo di avere alle spalle?
Lo
sguardo lungo e inesorabile, che guarda all’eterno femminile, come
geneticamente culturale e complessità espressiva, in senso fisico,
assolutamente fisico, ma storico, assolutamente storico, dal punto di
vista dell’emozionalità fantastica e della rappresentazione
visiva, specialmente in quest’ultima fase della modernità, che lo
ha fatto diventare testimonial
di tutto, ma
proprio di tutto, a causa (o grazie) all’emozionalità che,
investendo le molecole più recondite dell’io e del noi, condiziona
ogni atteggiamento nei confronti dell’altro. La donna, specchio
estetico dell’umanità, è soggetto-oggetto, nel senso che vive
all’interno dell’opera, come in un secretum,
mostrando vera spontaneità che è quella dell’essere con sé
stessi, del piacersi, del guardarsi, dell’immaginarsi, ma anche la
spettacolarità del piacere, del guardare, dell’immaginare, in una
dialettica, che è della natura, che è della cultura, in un limpido,
in un torbido, di una trama combinatoria che prevede scampo, che
prevede riparo, facendo parlare il respiro, il calore, l’assopimento,
come regno, come voluttà.
Gentile
Professore grazie per la sua disponibilità che ci ha permesso questa
piacevole conversazione e ci lasciamo con poche parole che ci
esortano a fare solo ciò che possiamo, a tutela della pura e
disinteressata bellezza:
L’arte è una missione, se non si è chiamati è meglio non farla
(Giò Pomodoro).
Caterina
Guttadauro La Brasca