NEL
RUOLO DI LIOLÀ: GIULIO MARIA CORSO (intervista)
Con Anna Malvica (zia Croce), Enrico Guarneri (zio Simone), Roberta Giarrusso
(Tuzza), Ileana Rigano (zia Ninfa), Caterina Milicchio (Mita), Margherita Patti
(zia Gesa), Alessandra Falci (la Moscardina), Sara Baccarini (Luzza), Giorgia
Ferrara e Federica Breci (Ciuzza).
Adattamento e Regia di Francesco
Bellomo che è anche Produttore dello spettacolo con Corte Arcana Isola Trovata e che abbiamo intervistato.
Le scene e i Costumi sono di Carlo De Marino. Musiche di Mario d’Alessandro e Roberto Procaccini.
Le scene e i Costumi sono di Carlo De Marino. Musiche di Mario d’Alessandro e Roberto Procaccini.
In
questa edizione si è scelto di collocare il periodo storico a cavallo dei primi
anni 40, mentre il contesto scenografico ci riporta al borgo marinaro di Porto
Empedocle, con le costruzioni di un bianco accecante che le incastona
perfettamente nel paesaggio della scala dei Turchi, adiacente alla casa natìa
di Pirandello.
Diverso è anche il modo di esprimersi! Gli anziani parleranno con cadenze dialettali più accentuate mentre i giovani parleranno un linguaggio più italianizzato.
Liolà è il trasgressore delle regole, è l’unico personaggio positivo, mentre gli altri sono interessati, egoisti e gretti.
Diverso è anche il modo di esprimersi! Gli anziani parleranno con cadenze dialettali più accentuate mentre i giovani parleranno un linguaggio più italianizzato.
Liolà è il trasgressore delle regole, è l’unico personaggio positivo, mentre gli altri sono interessati, egoisti e gretti.
Nella mia famiglia, le mie zie ed i miei nonni
parlavano un dialetto un po’ più accentuato e sia io che mia sorella e i nipoti
lo conoscevamo però chiaramente il nostro era già diverso. Mio padre mi
raccontava che ai tempi loro, negli anni 40, c’era già questa differenziazione.
In qualche modo ho voluto riportare uno spaccato dell’epoca in cui gli anziani
nati nell’Ottocento (tipo la zia Croce, la zia Gesa) parlavano in una maniera
ed invece quelli più giovani (Liolà, le ragazze e quelli della generazione
successiva) hanno dei toni un po’ più stemperati. E’ una scelta voluta! Con la
presenza di Giulio Corso, questa differenza si sentirà di meno però siamo
sempre in linea con quello che è il progetto drammaturgico che io avevo
previsto.
Pur
avendo lasciato integro il testo di Pirandello hai dato però una collocazione
diversa, quale?
Ho cambiato un po’ di cose, ci sono
dei pezzi che ho scritto io, con una contaminatio tra la novella “La Mosca” e una tratta dal quarto capitolo
del “Fu mattia Pascal”. Parlo dei bambini che hanno rotto la seconda giara dopo
che lo Zio Simone aveva riparato quella precedente. All’inizio l’altro figlio
giustifica la scarsa presenza di uomini col fatto che essendo in guerra il
paese si è spopolato con le varie partenze. La Zia Croce all’inizio dice “e alla calata del sole quest’altra partenza”
e si vede una delle ragazze che si saluta con il fidanzato. C’è Liolà che arriva in biciletta, lo zio Simone
è un personaggio diverso nel senso che è imparentato in qualche maniera a
quello del “Filo di fumo” di Camilleri, ha le zolfare, ha i pescherecci al
porto, i mandorleti, i vigneti quindi diventa una sorta di sindaco del rione
Realmonte più che rione Sanità! I personaggi sono tutti diversi, caratterizzazioni
più moderne non solo nel costrutto del linguaggio ma anche nella tipologia, per
dire Mita non è la classica figurina da collezione che avevamo tra
sottomissione e pianto ma è una che pure avendo Liolà, complice la zia Gesa non
ha esitato a scegliere il benessere piuttosto che l’amore. Tutti i personaggi, tranne Liolà hanno come
interesse primario quello del benessere, quello della roba. Nella nuova ambientazione siamo a ridosso
della fine della guerra, si passa dal 1920 al 1940. Non sono più contadini ma
la zia Croce è una sorta di personaggio che riporta ad un certo tipo di matriarcato
che c’era in Sicilia, quindi anche lei comanda rispetto a quello che è la sua
zona di “roba”, di terreni e di situazioni. E’ una manager ante litteram, una
di quelle donne che si rimboccavano le maniche dopo la morte dei mariti e
prendevano in mano la situazione con una capacità di gestione non indifferente.
Ognuno di loro è un personaggio negativo tranne appunto Liolà che in qualche modo ricorda la figura del pastore dannunziano che diventa suo malgrado anche un eroe positivo perché quando decide di farla pagare a Tuzza alla quale si era offerto, dice “io ero venuto a propormi qui a Tuzza, ma lei non mi volle pur consapevole che io in qualche maniera mi sarei tarpato le ali, mi sarei messo in gabbia” quindi lui in questo tipo di situazione si ritrova come un Robin Hood ante litteram che tenta di raddrizzare i torti subiti nelle varie fasi nel racconto.
Diciamo che, in tutte queste letture, i tutti questi testi, in tutti questi intrighi, vendette incrociate, in questa trama di quello che è il benessere materiale, c’è ancora quella spensieratezza, quel divertimento, quel compiacimento che fa diventare Liolà un personaggio assolutamente trasparente e positivo. Non a caso scrivo anche nella mia premessa, la frase di Gramsci “Liolà è il prodotto migliore dell’energia di Pirandello”.
Ognuno di loro è un personaggio negativo tranne appunto Liolà che in qualche modo ricorda la figura del pastore dannunziano che diventa suo malgrado anche un eroe positivo perché quando decide di farla pagare a Tuzza alla quale si era offerto, dice “io ero venuto a propormi qui a Tuzza, ma lei non mi volle pur consapevole che io in qualche maniera mi sarei tarpato le ali, mi sarei messo in gabbia” quindi lui in questo tipo di situazione si ritrova come un Robin Hood ante litteram che tenta di raddrizzare i torti subiti nelle varie fasi nel racconto.
Diciamo che, in tutte queste letture, i tutti questi testi, in tutti questi intrighi, vendette incrociate, in questa trama di quello che è il benessere materiale, c’è ancora quella spensieratezza, quel divertimento, quel compiacimento che fa diventare Liolà un personaggio assolutamente trasparente e positivo. Non a caso scrivo anche nella mia premessa, la frase di Gramsci “Liolà è il prodotto migliore dell’energia di Pirandello”.
Nel
testo di Pirandello zio Simone piange per la roba che alla sua morte andrà a
finire ad altri e non se ne da pace, c’è un riferimento a Verga o sbaglio?
Sì sicuramente perché questo tipo
di drammaturgia è imparentata anche con Verga in maniera chiaramente diversa e
in maniera più complessa in Pirandello.
Inevitabilmente sono apparentati anche se questa sorta di necessità di
benessere, questo tipo di situazione in cui vive il nostro zio Simone, nella
mia lettura è fatto per compensare quella che è la sua impotenza. Perché nelle
letture tradizionali zio Simone viene descritto come un vecchio flaccido e lasso
(stanco, affaticato). Io ne ho fatto un personaggio diverso, un personaggio
intorno ai 60/65 anni, pieno di energia e ingente da un punto di vista
lavorativo, nel senso che lui ha tutto e utilizza tutto questo suo potere,
questa sua ricchezza per compensare quello che non ha dall’altra parte perché è
un impotente. Quindi questo suo cruccio, questo suo problema principale, che
poi inevitabilmente si riflette nella impossibilità di avere figli, è
evidenziato e contrapposto a questa sorta di competizione che è la sua grande
capacità nel realizzare ricchezza e accumularla allo stesso tempo. Dal suo atteggiamento capiamo che è un essere
senza scrupoli, tant’è che ad un certo momento non esita a dichiararsi disposto
a riconoscere il figlio di Tuzza come suo, pur sapendo che pure quello di Mita
non gli appartiene però da un punto di vista formale e per apparenza preferisce
prendersi il figlio di un altro ma avuto dalla moglie piuttosto che quello di
Tuzza che dichiaratamente sarebbe non suo.
Fondamentalmente è un personaggio perdente.
Nel
testo di Pirandello non aveva 60 anni?
Nella mia lettura non è il vecchio ex
contadino che si è arricchito ma si pone in quella fascia dei famosi burgìsi
arricchiti che erano quelli che andavano nelle campagne, eredi in qualche modo
dei cantieri di fine 800 che avevano accumulato beni. Lui è ancora nella fase
in cui si comincia ad avvicinare ad una sorta di personaggio non borghese
perché sarebbe eccessivo, ma quasi borghese perché è diventato un proprietario
di varie attività quindi, ribadisco, io ho voluto significare questo contrasto
tra la sua impotenza e la compensazione che lui ha gestendo un potere molto
forte e tante ricchezze.
Il
tema della maternità ricorre costantemente nelle opere di Pirandello perché lui
vedeva nella maternità la rigenerazione dell’umano, tu come l’hai sottolineata
questa cosa?
In questa fase, il tema della
maternità è non solo la rigenerazione dell’umano ma è anche una grande gioia di
vivere. Non dobbiamo dimenticare l’atteggiamento che ha Liolà perché è vero che
fa figli a destra e a manca però li riconosce tutti. Non a caso anche a Tuzza
dice “vedo che qui gira e gira c’è un altro figlio. Tuzza non ti preoccupare, aumenterà
il lavoro a mia madre, ne prende quattro e gli insegna a cantare”! Liolà ha
questo senso del rispetto della fertilità, è una cosa che ha nel suo DNA però
non ce l’ha con leggerezza, come apparentemente potrebbe essere, perché comunque
riconosce in questo ciclo, in questa sorta di genesi un fatto molto importante.
La fertilità, la rigenerazione sono dei temi che un po’ in maniera disinvolta,
un po’ più allegra sono riproposti da Pirandello anche in quest’opera.
All’epoca
venne tolto di mezzo, in quanto aveva un finale un po’ insolito, finiva con una
coltellata e non con un matrimonio.
Assolutamente! Noi daremo un finale
assolutamente aperto, nel senso che ognuno sceglierà di interpretarlo come
vuole. Io lascio intendere che lui possa anche morire e non sopravvivere non lo
dico apertamente però il mio è un finale leggermente diverso, più di impostazione
greca che di impostazione tradizionale.
Elisabetta Ruffolo