Il Cristo velato è una delle opere più note e suggestive al mondo scolpita da Giuseppe Sanmartino nel 1753 e posto al centro della navata della Cappella Sansevero a Napoli in Via de Sanctis Francesco, 19/21 (storia e gallery fotografica). Fattitaliani ha intervistato il Direttore Fabrizio Masucci.
Naturalmente, le fonti storiche
non hanno rappresentato un freno alla fantasia dei napoletani. Tant’è che già
nel diciottesimo secolo si diceva che la trasparenza del sudario in cui è
avvolto il Cristo fosse il frutto di un processo alchemico di “marmorizzazione” compiuto da Raimondo di Sangro. Mentre di Giuseppe Sanmartino
si è tramandato che venisse accecato dallo stesso principe, il quale voleva
impedire che lo scultore riproducesse il Cristo velato.
Artisticamente è di
straordinaria bellezza. Eleganza stilistica, mistero, morte. Lei che pensa?
Direttore, il Cristo velato è di
una bellezza!... Ma c'è il trucco o no? Circolano leggende sulla sua
committenza... lo scultore ucciso per non svelare la lavorazione... O sono vere
storicamente?
Alcuni documenti conservati
nell’Archivio Storico del Banco di Napoli attestano che, dopo la morte dello scultore Antonio Corradini nel 1752, cui
inizialmente era stato affidato il progetto di realizzare il Cristo velato,
Raimondo di Sangro (biografia) incaricò un giovane artista napoletano, Giuseppe
Sanmartino, di realizzare “una statua di marmo scolpita a grandezza naturale,
rappresentante Nostro Signore Gesù Cristo morto, coperto da un sudario
trasparente realizzato dallo stesso blocco della statua”.
Ritratto Raimondo di Sangro. Incisione con ritratto di Raimondo di Sangro, Carlo Amalfi e Ferdinando Vacca, 1747-50 ca. Foto di Massimo Velo |
Tutte leggende, naturalmente:
l’opera di Sanmartino è interamente di marmo di Carrara, e lo scultore ha
continuato a lavorare tranquillamente fino alla vecchiaia. Tali leggende, però,
ci danno la misura della notorietà di cui godeva Raimondo di Sangro e
dell’interesse che suscitava nei napoletani.
Fabrizio Masucci |
Credo che il Cristo velato
sia dotato di una potenza espressiva fortissima e, allo stesso tempo, mai
pienamente afferrabile. Nella sua contemplazione, infatti, si apprezza il
valore artistico, l’eleganza dello stile, la maestria della tecnica, ma anche
la drammaticità di un’opera che, prestandosi a diverse possibilità
interpretative, incarna i concetti di morte e resurrezione.
Il Cristo velato, la
cappella, il quartiere sono un tutto unico. Una sola straordinaria opera:
l'anima napoletana... È d'accordo?
I napoletani del centro storico sono
intimamente legati alla Cappella e al principe Raimondo di Sangro, che loro chiamano
semplicemente “’O Principe”. Forse nei secoli è cambiato l’atteggiamento nei
confronti di una personalità tanto poliedrica e sperimentatrice. Considerato
mago e alchimista in vita, spirito guardiano del suo palazzo e della sua
Cappella dopo la morte, oggi Raimondo di Sangro sta vivendo finalmente una fase
di attenta rivalutazione e se ne sta delineando un più corretto profilo
intellettuale. Intanto, possiamo senz’altro affermare che già da alcuni anni l’opera
più importante conservata nel suo mausoleo, il Cristo velato, sia per
molti il simbolo della città di Napoli nel mondo.
Il Cristo non è l'unico
tesoro della cappella; anche le sculture anatomiche sono straordinarie! Sono
ovviamente un po' oscurate dall'attrazione principale. Un commento.
Esatto, il Cristo velato
è senza dubbio l’opera più nota del museo che, come dice lei, un po’ oscura non
solo le altre opere, ma anche il nome di Raimondo di Sangro, suo committente, e
dello scultore Giuseppe Sanmartino. Le Macchine anatomiche o Studi
anatomici (storia), conservati nella cavea sotterranea della Cappella, sono gli
scheletri di un uomo e di una donna in posizione eretta, con il sistema
arterovenoso quasi perfettamente integro. Furono realizzate dal medico
palermitano Giuseppe Salerno e rappresentano la testimonianza più evidente
della pluralità di interessi del principe Raimondo, che – tra l’altro –
conservava questi due oggetti vagamente inquietanti nel suo appartamento
privato.
È difficile dirlo, ma mi fa
piacere segnalare la statua del Disinganno, che fu realizzata nel 1753
dallo scultore genovese Francesco Queirolo. La scultura è dedicata ad Antonio
di Sangro, duca di Torremaggiore e padre di Raimondo che, dopo la prematura
morte della moglie, si diede a un’esistenza disordinata. Si sa che addirittura
commissionò un omicidio e che successivamente dovette fuggire per tutta Europa,
ma in vecchiaia, ormai stanco e pentito degli errori commessi, tornò a Napoli, dove
trascorse gli ultimi anni nella quiete della vita sacerdotale. La scultura rappresenta
un uomo nell’atto di liberarsi da una fitta rete in cui è imbrigliato e trovo che
sia eccezionale non solo per la virtuosistica esecuzione della rete, ma soprattutto
per la modernità del messaggio trasmesso dalla lapide, sulla quale si legge,
tra le tante cose, che non è data l’esistenza di grandi virtù senza vizi e che quindi
per poter accedere alla virtù è necessario passare attraverso l’errore.
Non saprei ben dire se il nostro
museo è in grado di svelare e far comprendere il mistero dell’arte; sicuramente
è un luogo particolare in cui tutte le opere, che rispondono ad un preciso
progetto iconografico voluto da Raimondo di Sangro, raggiungono l’intento del
loro committente: suscitare meraviglia e generare un appagante “inganno”
sensoriale. Giovanni Chiaramonte.
Foto copertina: Marco Ghidelli