Alessia Vegro, scrittrice
e sceneggiatrice, presenta il suo romanzo d’esordio “Elephant”… «Sono
follemente innamorata di questa storia e di questi personaggi» di Andrea
Giostra.
Ciao
Alessia, benvenuta presso la nostra Redazione.
Ciao Andrea e grazie a te per
dedicarmi il tuo prezioso tempo.
Un po’ di tempo fa,
sul nostro magazine, ti abbiamo conosciuta - http://www.fattitaliani.it/2017/12/cinema-intervista-ad-alessia-vegro.html
- e
abbiamo parlato del tuo film che hai scritto, prodotto e realizzato, e che da
allora ha ricevuto tantissimi riconoscimenti soprattutto internazionali. Il
titolo del lungometraggio, “È un Cerchio Imperfetto”
http://www.fattitaliani.it/2017/07/film-fattitaliani-consiglia-cerchio.html. Ci racconti
come è nato questo film e quali e quanti premi ha vinto in giro per il mondo?
“Cerchio”, come ormai ho
iniziato a chiamarlo, è stata la mia
prima vera avventura in questo
campo. In precedenza avevo scritto
molto, mi ero occupata di montaggio e
riprese video ma, abitando in provincia di Padova, non avevo mai avuto la possibilità di mettermi
davvero alla prova. Poi un giorno ho
iniziato a vedere nella mia testa questo personaggio, Theo, schivo e un
po' borderline se vogliamo, uno che non sai se “ci è o ci fa”, come si dice. M'incuriosiva e così, per
cercare di capirlo un po' di più, ho iniziato a scrivere la sua storia. Che è
particolare, con molteplici interpretazioni, e avevo ben chiaro che la musica doveva essere un ingrediente
essenziale. Proprio per questo suo non essere il classico film italiano ho
pensato che, se ci credevo davvero, avrei
dovuto mettermi in gioco a 360° per realizzarlo. E così, oltre a
sceneggiatrice, mi sono ritrovata a
rivestire per la prima volta i panni di produttrice. Praticamente nessuno ci
scommetteva che sarei arrivata alla fine dell'impresa (diciamocelo, per
qualcuno che il mondo del cinema lo conosce solo da distante in effetti è un
qualcosa di titanico...) e forse proprio
questo mi ha dato la carica per realizzarlo. Alla fine però ne è valsa la pena. Come dicevi tu “Cerchio” ha
collezionato numerosi premi internazionali, dal Canada e gli
USA all'India passando per l'Inghilterra e l'Italia e
arrivando perfino in Africa. 18 riconoscimenti, per l'esattezza. E
quello che mi ha dato maggior soddisfazione è stato
che il 18esimo è arrivato allo scorso Festival del Cinema di
Salerno. Pensavo che l'Italia
non avrebbe mai apprezzato un prodotto del genere, fortunatamente mi sono
dovuta ricredere!
Da qualche giorno
fa è uscito il tuo romanzo d’esordio, Elephant,
edito da Les Flâneurs Edizioni, giovane casa editrice di Bari. Ci racconti come
nasce questo progetto editoriale? Cosa troverà il lettore leggendo questa
storia?
Elephant… Cosa posso dire
di Elephant? Sono follemente innamorata di questa
storia e di questi personaggi. Com'è nato? Devi sapere che io non scrivo
nulla se devo “pensarci”. Intendo dire, non mi piacciono quelle operazioni
commerciali per le quali ti metti a tavolino e studi la situazione attuale e
decidi cosa funziona e cosa no. Io per prima cosa devo “vedere” i personaggi.
In questo caso avevo LeRoy, un anziano sassofonista di New Orleans,
che continuava a strimpellare musica jazz. Io adoro il jazz e adoro il sax
quindi ho avuto un colpo di fulmine per lui, tanto da voler conoscere la sua
storia. Percepivo della tristezza, delle ferite mai rimarginate, dei sensi di
colpa che si riflettevano nella sua musica, una melodia che potevo udire solo
io. Ma che meritava di essere portata fuori dalla mia testa. Purtroppo non
scrivo musica... ma ho provato a tradurla in parole. Un po' alla volta, poi,
sono arrivati gli altri personaggi, ognuno con la sua storia, con la sua voce
unica. E non potevo esimermi dal narrare questo piccolo, prezioso pezzo delle
loro vite. Spesso nelle prime pagine di un libro si legge una citazione. Io ne
ho scelta una di Charlie Parker: “Non suonare il sassofono, lascia
che sia lui a suonare te.” L'ho scelta non solo perché è il modo in cui
LeRoy e suo nipote Josh si approcciano al loro strumento, ma anche perché
è come io mi avvicino alle storie che scrivo: in realtà sono loro a scrivere
me, io sono solo un mezzo per portarle fuori, per metterle nero su bianco.
Per quel che riguarda quello che
troverà il lettore... musica, ovviamente, tanta musica. E uno sguardo diverso
su New Orleans, una delle città che più mi affascinano. Ovviamente non
si può parlare di Crescent City senza incrociare il Voodoo, che
infatti non mancherà. Ma Elephant è innanzitutto un romanzo di
formazione, di amicizia, di sogni e del coraggio che serve per realizzarli.
Una domanda
difficile Alessia: Perché i nostri lettori dovrebbero comprare il tuo libro?
Prova a incuriosirli perché vadano in libreria a comprarlo.
Effettivamente non è facile
dare una ragione
universalmente valida. Ma come dicevo
prima, quello che ho sempre cercato di fare con la scrittura è di riuscire a
trasmettere emozioni. Ecco. Io ho riletto infinite volte Elephant, durante le varie stesure e poi
rapportandomi con l'editor e ancora quando finalmente ho avuto il libro
stampato tra le mani. E devo ammettere che, per quanto io conosca a memoria
ogni singola frase, ogni volta mi sono commossa, emozionata. Ecco, forse il motivo principale è proprio
questo: per provare, per sentire qualcosa dentro.
Ma Elephant è interessante anche per come è strutturato, ossia come una
Jam Session di Jazz. Ogni personaggio, non solo i protagonisti, ha avuto la
possibilità di avere il suo assolo, di farsi conoscere… meglio e di conoscere
meglio sé stesso. E credo che, visto il periodo storico che stiamo vivendo, possa
essere interessante anche lo sguardo al razzismo e al suo superamento. Chase, che nonostante il nome è italiano, si ritrova infatti
a immergersi in un mondo,
distante da casa, di soli neri e ovviamente viene accolto con molta diffidenza.
Ma, in questo caso, è l'amore per la musica che permette di superare la
barriera del colore della pelle e creare legami forti. Ci sono però anche altri temi importanti ed attuali,
come il bullismo e la depressione. E non mancano le donne forti, quelle che
nonostante le difficoltà della vita riescono ad andare avanti senza smettere di
lottare per quello in cui credono, che sia la felicità di un figlio o la
realizzazione nel mondo lavorativo. Insomma, credo Elephant sia una
storia ad ampio spettro in cui tutti possono trovare un personaggio in cui
rispecchiarsi e per il quale “fare tifo”.
Oltre
a sceneggiatrice di successo, adesso sei anche una scrittrice, Alessia. La
maggior parte degli autori ha un grande sogno, quello che il suo romanzo
diventi un film diretto da un grande regista. A questo proposito, Stanley
Kubrik, che era un appassionato di
romanzi e di storie dalle quali poter trarre
un suo film, leggeva in modo quasi predatorio centinaia di libri e
perché un racconto lo colpisse diceva: «Le
sensazioni date dalla storia la prima volta che la si legge sono il parametro
fondamentale in assoluto. (…) Quella impressione è la cosa più preziosa che
hai, non puoi più riaverla: è il parametro per qualsiasi giudizio esprimi
mentre vai più a fondo nel lavoro, perché quando realizzi un film si tratta di
entrare nei particolari sempre più minuziosamente, arrivando infine a emozionarsi
per dettagli come il suono di un passo nella colona sonora mentre fai il mix.» (tratto
da “La guerra del Vietnam di Kubrick”,
di Francis Clines, pubblicato sul New York Times,
21 giugno 1987). Pensi che le tue storie sappiano innescare nel lettore
quelle sensazioni di cui parla
Kubrick? E se sì, quali
sono secondo te?
Credo che Kubrick si riferisse
ad autori di un livello eccelso a cui non posso neanche lontanamente
paragonarmi, però non posso che essere d'accordo con lui. Penso di aver seguito, anche se inconsciamente,
questo percorso quando ho iniziato ad immaginare Elephant. A
partire dal titolo, breve ma potente, che altro non è se non il nickname con
cui è conosciuto il protagonista LeRoy. Un soprannome che richiama la forza della sua musica, la capacità di
suscitare emozioni insita in essa e anche l'idea che il sax sia un tutt'uno con
l'uomo, la sua proboscide, con la quale si esprime. Anche la copertina l'ho
voluta semplice ma d'impatto, con questo sfondo nero su cui spicca la
silhouette dello strumento. Credo che incuriosire un possibile lettore sia il
primo passo da compiere. Almeno, per me funziona così quando entro in una
libreria alla ricerca di una storia di cui ignoro l'esistenza. Osservo la
copertina e se m'incuriosisce leggo il titolo.
Se è promettente passo alla sinossi e, se ancora
una volta il responso è positivo, scorro qualche
pagina per capire se la prosa corrisponde ai miei gusti. Visto che quando
scrivo ho già le scene ben chiare, visivamente, in testa, e che sono abituata
ad usare la sintesi richiesta dalle sceneggiatura, credo uno dei punti di forza possa essere uno stile di scrittura
quasi ibrido tra le due strutture. E
poi il fatto stesso che sia stato concepito come una sinfonia, con
diversi “assoli” dei personaggi permette repentini cambi di stati d'animo. Il
lettore verrà cullato dalle dolci sinfonie e riceverà pugni nello stomaco
quando si troverà immerso nella
realtà più cruda di un mondo che sa essere anche crudele come quello della
musica. Ma sarà anche avvolto dalla dolcezza del perdono e stringerà i denti rabbioso
davanti alle ingiustizie sociali. Qualcuno forse si ritroverà a battere
i piedi a ritmo quando il piccolo
Josh impugnerà il suo sax e altri potrebbero sentire
un brivido lungo la
schiena di fronte all'ingresso nel
mondo del Voodoo. Insomma, credo che a seconda della sensibilità personale
ciascuno verrà toccato in modo diverso da passaggi diversi. O almeno, questa è
la mia speranza.
Alessia Vegro
Andrea
Giostra