Intervista di Andrea Giostra.
Ciao Ester, benvenuta e grazie per la tua
disponibilità. Sei una scrittrice, ma anche una biologa ricercatrice presso il
Consiglio Nazionale delle Ricerche. Come ti vuoi presentare ai nostri lettori?
Chi è Ester nella sua professione e nella sua passione per l’arte della
scrittura?
Innanzitutto, grazie a te per la disponibilità a
dialogare con me. Ai lettori preferisco presentarmi come ricercatrice del CNR
che si occupa di biologia marina. Esercito la mia professione con passione, con
amore, quello stesso amore che nutro per il mare e per la natura sensu lato. Ho sempre affermato di
essere fortunata poiché il mio lavoro è anche il mio hobby. Pertanto, Ester
nella professione è una persona motivata nonostante la gravissima crisi in cui
versa la ricerca italiana oggi. La scrittura è il mio vero hobby, nel senso che
non mi dà da vivere. Forse hobby non è il termine giusto, poiché per me scrivere non è un passatempo bensì un’esigenza
irrinunciabile, non posso fare a meno di scrivere quando percepisco
l’urgenza di “dire” qualcosa, sia in poesia sia in prosa.
Sei una biologa marina, con una passione viscerale per
il mare del quale ti occupi sia per la tua professione che attraverso il tuo
talento artistico letterario. Come si conciliano le tue due grandi passioni, la
scrittura e la scienza marina? Quando l’una influenza l’altra?
Amo il mare in ogni suo aspetto, sin dalla tenera
età, così come amo la navigazione da diporto. Sono nata in una città che si
affaccia sul mare, anzi su due mari per la verità, Mar Piccolo e Mar Grande. Ho
fatto il primo bagno in mare quando avevo pochi mesi di vita e ho governato per
la prima volta un motoscafo a dodici anni! Anche la passione per la scrittura
si è palesata in me quando ero molto giovane. Infatti, quando frequentavo le
scuole elementari, ho scritto alcune fiabe e ho incominciato a scrivere poesie
a quattordici anni. Se volessi cercare un trait
d’union tra queste mie due fortissime passioni, direi che esso è
rappresentato sicuramente dal mare. Inizialmente, il mare, a cui penso come al
mio liquido amniotico, ha influenzato la scrittura. Il mare può essere metafora
della vita. In tal senso, esso ricorre spesso nelle mie poesie e molte delle
vicende che narro si svolgono sul mare o nei suoi pressi. Non a caso, la mia
prima raccolta di poesie si intitola “Burrasche
e brezze” dove burrasche e brezze non sono solo due termini che
appartengono al campo semantico del mare ma sono usati come metafora della vita
di ogni essere umano. Le burrasche sono infatti i momenti difficili, pieni di
sconforto, sono i problemi, le tempeste contro le quali ognuno di noi si
confronta più o meno spesso. Le brezze, al contrario, essendo venti deboli,
solitamente gradevoli, rappresentano gli attimi di quiete, di tranquillità, di
gioia, anche se solo momentanea. Negli ultimi anni, da quando scrivo con più
assiduità, anche la scrittura sta influenzando la mia professione. Mi spiego
meglio: quando vado al mare per campionare non mi guardo intorno solo come
ricercatrice, ma anche come scrittrice; osservo con attenzione l’ambiente che
mi circonda ma anche gli esseri viventi presenti, umani e non, per carpirne il
modo di interagire fra loro e l’ambiente stesso e qualunque atteggiamento o
accadimento che susciti la mia curiosità o evochi in me impressioni e
suggestioni.
Recentemente hai
pubblicato la raccolta di racconti “Dall’India
a Lampedusa. Soste di viaggio”, edito nel febbraio 2019 da WIP edizioni.
Vuoi raccontarci come nasce questo progetto? Di cosa parla il tuo libro?
Come ho
già detto, ho cominciato a scrivere poesia. In poesia c’è molto non detto, si
lascia molto spazio all’interpretazione del lettore. Ad un certo punto della
mia vita, ho sentito l’esigenza di comunicare in maniera più esplicita e di
concedermi un po’ più di spazio. Da questa mia esigenza è nata la mia prima
raccolta di racconti brevi. “Dall’India a
Lampedusa. Soste di viaggio” raccoglie diciotto racconti, anch’essi brevi,
molti dei quali narrano alcune mie esperienze di vita, incluse quelle di
viaggio, esperienze che mi hanno insegnato qualcosa e che, quindi, mi hanno
cambiato. Per me viaggiare è un’altra esigenza irrinunciabile. Mi piace non
solo osservare nuovi paesaggi, ma anche e soprattutto, venire in contatto con
altre genti, con civiltà e culture diverse dalla nostra. A tal fine, durante i
miei viaggi evito gli itinerari esclusivamente turistici per interagire con le
popolazioni locali, immergendomi nella realtà dei mercati, dei villaggi, ecc.
Ritengo, inoltre, che i viaggi ci permettano di conoscere meglio noi stessi,
svelandoci con quali occhi osserviamo il mondo, con quale atteggiamento ci
avviciniamo al prossimo, soprattutto quando è molto diverso da noi. Altri
racconti mi sono stati ispirati da avvenimenti reali ma non vissuti da me
personalmente, i quali, tuttavia, hanno suscitato in me una profonda emozione.
Mi riferisco, in particolare, a quelli ambientati a Lampedusa e nelle acque che
la circondano. Infatti, sono sempre stata molto sensibile al problema dei
migranti, alle difficoltà che vivono quotidianamente nei loro paesi d’origine,
difficoltà a volte insormontabili, come sfamare i loro figli, le quali li
spingono ad affrontare viaggi in condizioni precarie, nelle mani di individui
senza scrupoli che speculano sulla loro disperazione e che spesso li sfruttano
arrivando anche a ucciderli se si rifiutano di obbedire.
Tu definisci i tuoi racconti “soste di viaggio”. Ci
spieghi meglio questo concetto?
Ho chiarito questo
concetto nella “Nota dell’autrice” in cui ho sottolineato che il viaggio, com’è
noto, è metafora della vita per eccellenza. Durante la nostra vita e, quindi,
il nostro viaggio, ci sono delle tappe, delle soste, le “soste di viaggio”
appunto, che interrompono il suo svolgersi ripetitivo. Esse possono essere dei
viaggi fisici ma anche dei momenti particolari della nostra esistenza, come
periodi in cui siamo gravemente malati o in difficoltà d’altro genere. I
racconti di questa raccolta sono alcune “soste di viaggio” della mia vita o di
amici che mi hanno regalato una loro esperienza.
Vuoi presentarci
brevemente le tue tante pubblicazioni letterarie? Quante sono e di cosa
parlano?
Ho pubblicato cinque
raccolte di poesie e due di racconti, della quali, la prima è stata tradotta in
tedesco. Ho esordito con la poesia, come già detto con la raccolta dal titolo “Burrasche e brezze”, piuttosto tardi in
verità, quando avevo cinquantadue anni. Ero gelosa delle mie poesie e pensavo
di tenerle solo per me. Con la maturità, ho compreso l’importanza della
condivisione e ho deciso di pubblicarle. Dopo aver “rotto il ghiaccio”, sono
stata un fiume in piena e sono seguite, a distanza di circa due anni l’una
dall’altra, “Come foglie in autunno”
e “Fragile. Maneggiare con cura”. Non
mi piace etichettare la poesia e suddividerla in poesie intimistiche e poesie
sociali. Ritengo, infatti, che la poesia sgorghi sempre dall’animo di chi scrive
in seguito a una emozione, a una suggestione, a un sentimento, sia causato da
eventi personali sia da fatti di cronaca. Tuttavia, per facilità di
esposizione, dirò che i primi tre libri raccolgono poesie per la maggior parte
intimistiche mentre le ultime due, “con
l’India negli occhi, con l’India nel cuore” e “Non vedo, non sento e…”, constano di poesie sociali, ispiratemi da
un viaggio in India quelle della prima raccolta, e da fatti di cronaca, guerre,
femminicidi, povertà, migrazione, quelle della seconda. Anche i racconti della
mia raccolta “Istantanee di vita”,
pubblicata nel 2015, prendono spunto da episodi realmente accaduti. Gli
argomenti affrontati sono molto diversi fra loro e rappresentano la varietà
delle situazioni che la vita ci riserva. Sono spaccati di vissuto che intendevo
portare all’attenzione del lettore, invitandolo a cogliere i molteplici spunti
di riflessione che spesso la vita ci offre tramite alcuni avvenimenti sui
quali, tuttavia, raramente ci soffermiamo. Ogni racconto, sia della prima
raccolta sia della seconda, è preceduto dalla citazione di uno scrittore,
filosofo, giornalista, religioso, che mira a introdurre il lettore al tema
della riflessione. Devo dire, non senza compiacimento, che le mie pubblicazioni
sono state accolte favorevolmente sia dalla critica sia dal pubblico.
Quali sono secondo te le caratteristiche, le
qualità, il talento, che deve possedere chi scrive per essere definito un vero
scrittore? E perché proprio quelle?
Onestamente, non so quali siano le caratteristiche
di un vero scrittore, per lo meno di uno scrittore di successo. In base alla
mia esperienza, ritengo che per poter scrivere sia fondamentale la capacità di
osservazione, anche dei particolari che a prima vista sembrano irrilevanti. In
fase di scrittura, è basilare la riflessione; penso che sia indispensabile
soffermarsi su quello che si vuole narrare per raccogliere le idee e, se lo
scritto intende anche essere pedagogico, per individuare il messaggio da
trasmettere. Non penso che si debba necessariamente trattare avvenimenti
eccezionali, insoliti, fuori dal comune. Le vicende “banalmente quotidiane”
suggeriscono molti spunti di riflessione. Ecco, questo per me è fondamentale,
un libro deve fare riflettere. Anche una lettura cosiddetta “leggera”, di evasione,
può invitare alla riflessione, può lasciare nel lettore dei “semi” che
germinano nel momento opportuno. In questo sta, a mio avviso, l’essere un bravo
scrittore. Per raggiungere questo risultato è fondamentale l’abilità di
coinvolgere il lettore; il coinvolgimento di chi legge si ottiene con una buona
caratterizzazione dei personaggi, soprattutto da un punto di vista psicologico.
Ritengo che il lettore debba potersi identificare in almeno uno dei
protagonisti, in una delle sue reazioni, debba potersi riconoscere in almeno
una vicenda narrata, nella trama o nelle sottotrame. A tal fine, l’empatia e la
compassione dello scrittore per i suoi personaggi sono un valore aggiunto.
Perché secondo te oggi è importante scrivere,
raccontare con la scrittura?
In un periodo, come l’attuale, in cui non si scrive
quasi più, ci si esprime in maniera molto sintetica con messaggi di posta
elettronica, sms, addirittura con gli emoticon, scrivere diventa sempre più
importante. Nel secolo scorso, si scrivevano le lettere ai genitori, ai figli,
ai fidanzati. Erano molto importanti anche queste perché scrivere significa
riflettere, porsi domande, cercare risposte, guardarsi dentro, anche
inconsapevolmente. Da questo punto di vista, la tecnologia si è rivelata un
danno. Pensiamo solo che a furia di scrivere sempre con la tastiera, abbiamo
difficoltà a tenere la penna in mano! E, tuttavia, anche scrivendo con la
tastiera si può “pensare”, se ci si concede del tempo. E veniamo a un altro dei
mali della nostra epoca: la mancanza di tempo. Viviamo freneticamente, sempre
di corsa, e allora ci viene più facile rispondere con una “faccina che manda un
bacio” piuttosto che con un “Ti voglio bene anch’io”. Persino nei concorsi
letterari ci sono sezioni di video poesia, in cui l’immagine prevarica,
ovviamente, il verso. Raccontare con la scrittura è formativo, oltre che
terapeutico.
Chi sono i tuoi modelli,
i tuoi autori preferiti, gli scrittori che hai amato leggere e che leggi ancora
oggi?
Ho
sempre letto e leggo di tutto, autori italiani e stranieri di qualunque
corrente letteraria, classici e contemporanei. Sono estremamente curiosa. Amo
tantissimi autori, pertanto non mi è facile indicarne alcuni. Tuttavia, tra gli
italiani, preferisco D’Annunzio e Pirandello e, tra quelli stranieri,
Hemingway. Requisito indispensabile affinché io legga un libro è che sia
scritto bene. Non ho come modello un autore in particolare, anche se penso di
ispirarmi agli scrittori realisti.
Nel panorama italiano
contemporaneo, chi sono secondo te i più bravi scrittori che ti sentiresti di
consigliare ad un’amica che ama leggere?
Non
consiglierei un “autore”, suggerirei un libro ma solo dopo averlo letto e
conoscendo, inoltre, i gusti dell’ipotetica amica. La lettura è anche questione
di gusti pertanto non consiglierei mai un libro di introspezione a chi ama il
romanzo d’azione o di avventura.
Charles Bukowski
a proposito dei corsi di scrittura diceva … «Per
quanto riguarda i corsi di scrittura io li chiamo Club per cuori solitari.
Perlopiù sono gruppetti di scrittori scadenti che si riuniscono e … emerge
sempre un leader, che si autopropone, in genere, e leggono la loro roba tra
loro e di solito si autoincensano l’un l’altro, e la cosa è più distruttiva che
altro, perché la loro roba gli rimbalza addosso quando la spediscono da qualche
parte e dicono: “Oh, mio dio, quando l’ho letto l’altra sera al gruppo hanno
detto tutti che era un lavoro geniale”» (Intervista a William J. Robson and
Josette Bryson, Looking for the Giants:
An Interview with charles Bukowski, “Southern California Literary Scene”,
Los Angeles, vol. 1, n. 1, December 1970, pp. 30-46). Cosa pensi dei corsi di
scrittura assai alla moda in questi anni? Pensi che servano davvero per
imparare a scrivere?
Non ho mai seguito un corso di scrittura né lo seguirei. Ritengo che
l’autore debba essere libero di esprimersi, atteso, ovviamente, che sappia
scrivere correttamente. Sinceramente, penso che sia più importane leggere,
molto, di tutto, per allargare i propri orizzonti, liberarsi dai pregiudizi,
per arricchire il proprio lessico.
La maggior parte degli
autori ha un grande sogno, quello che il suo romanzo diventi un film diretto da
un grande regista. A questo proposito, Stanley Kubrik, che era un appassionato
di romanzi e di storie dalle quali poter trarre un suo film, leggeva in modo
quasi predatorio centinaia di libri e perché un racconto lo colpisse diceva: «Le sensazioni date dalla storia la prima volta che la si legge sono
il parametro fondamentale in assoluto. (…) Quella impressione è la cosa più
preziosa che hai, non puoi più riaverla: è il parametro per qualsiasi giudizio
esprimi mentre vai più a fondo nel lavoro, perché quando realizzi un film si
tratta di entrare nei particolari sempre più minuziosamente, arrivando infine a
emozionarsi per dettagli come il suono di un passo nella colona sonora mentre
fai il mix.» (tratto da “La guerra del
Vietnam di Kubrick”, di Francis Clines, pubblicato sul New York Times, 21
giugno 1987). Pensi che le tue storie sappiano innescare nel lettore quelle
sensazioni di cui parla Kubrick? E se sì, quali sono secondo te?
Penso di sì, forse con un po’ di
presunzione. Molte delle persone che hanno letto i miei racconti mi hanno
scritto per dirmi che si sono fortemente emozionate, che si sono sentite
coinvolte. Le storie che potrebbero diventare un film sono diverse e la scelta,
ovviamente, dipenderebbe dagli scopi e dai gusti dell’ipotetico regista.
Sicuramente, idonei per l’adattamento cinematografico sono i racconti tratti
dalle mie esperienze di viaggio, molto numerosi nella mia seconda raccolta, ma
anche alcune esperienze di vita ben si presterebbero a questo scopo. Penso, per
quanto attiene alla raccolta “Istantanee
di vita”, ai racconti “Lucciole per
lanterne”, “Non uccidete quell’uomo!”,
“Quella corsa verso il rifugio”, “Il gabbiano che tornò a volare”, “Itaca”; per quanto riguarda la seconda
raccolta “Dall’India a Lampedusa. Soste
di viaggio”, ben si presterebbero “Le
grida dei gabbiani”, “Aminah” “One, two, three… ten!!!!”, “Kafka”.
Quali sono i tuoi prossimi progetti e i tuoi prossimi
appuntamenti? A cosa stai lavorando e dove potranno seguirti i nostri lettori e
i tuoi fan?
Per il momento, ho in programma la presentazione di
questo nuovo libro nella mia città, Taranto, e poi in altre città italiane dove
ho diversi amici. Probabilmente, la mia prossima pubblicazione sarà una
raccolta di poesie, ne ho già una pronta, ma in realtà, per ora non ho le idee
chiare. Non mi pongo limiti né scadenze improcrastinabili; come amo ripetere,
scrivere per me non è un lavoro e non deve diventarlo! I miei lettori, parola
pretenziosa, possono seguirmi su Facebook dove sono presente quotidianamente.
Una domanda difficile Ester: perché i lettori di
questa intervista dovrebbero comprare e leggere i tuoi libri? Cosa diresti loro
per convincerli a leggerti? E con quale delle tue pubblicazioni dovrebbero
iniziare e perché?
Questa è davvero una domanda difficile! A meno che
un lettore non ami particolarmente la poesia, consiglierei senz’altro i
racconti. Potrebbero “non dovrebbero” comprare i miei libri se amano, come me,
i racconti brevi, che ben si prestano a essere letti quando si ha poco tempo,
come ad esempio, quando si è in stazione o all’aeroporto in procinto di
partire, o in qualche sala di attesa. Potrebbero leggermi perché gli argomenti
che tratto sono molto diversi e, quindi, facilmente troverebbero una storia di
loro gradimento.
Per finire, Ester, immaginiamo che tu sia stata
invitata in una scuola media superiore a tenere una conferenza sulla scrittura
e sulla narrativa in generale, alla quale partecipano centinaia di alunni. Lo
scopo è quello di interessare e intrigare quegli adolescenti all’arte dello
scrivere e alla lettura. Cosa diresti loro per appassionarli a quest’arte e
catturare la loro attenzione? E quali le tre cose più importanti che secondo te
andrebbero dette ai ragazzi di oggi sulla lettura e sulla scrittura?
Sono stata realmente invitata, oltre che nelle
scuole superiori, anche in quelle elementari, dove ho trovato dei ragazzini
preparati e interessati, che mi hanno posto domande che gli adulti non mi hanno
fatto. Pertanto, catturare la loro attenzione non è stato difficile. A loro
dico quello che ho già precisato prima e cioè, la lettura serve per conoscere realtà
lontane, non solo fisicamente (penso, ad esempio, a un libro che romanzi le
vicende di un ragazzino orfano o profugo), per allargare i propri orizzonti,
per viaggiare senza muoversi da casa, per liberarsi dai pregiudizi, per
arricchire il proprio lessico oltre che per distrarsi ed evadere dalla
stingente quotidianità. La scrittura costringe a guardarsi attorno e dentro,
favorendo l’osservazione e la conoscenza di sé stessi, insegna a esternare le
proprie emozioni, a comunicare. Leggerei qualche passo da qualche mio racconto
e li inviterei a pormi delle domande in merito a quanto ho precisato. Pertanto,
ai ragazzi dico e direi: osservare, osservarsi, riflettere.
Ester Cecere
Andrea Giostra
https://andreagiostrafilm.blogspot.it