I Black Bog Band presentano a Fattitaliani il 1° ep "20060": ci è costato molto emotivamente ed economicamente. L'intervista

I Black Bog Band sono un gruppo emergente (un trio, chitarra/voce, basso e batteria) della provincia di Monza (età fra i 17 e 20 anni), che fa alternative rock in italiano e il 17 novembre ha pubblicato il primo EP, “20060”, registrato all’EDAC Studiodi Fino Mornasco con Andrea Fognini e Davide Lasala (Giorgieness, Vanillina). Fattitaliani li ha intervistati.

Presentatevi singolarmente: età, studi, gusti musicali...
Ciao, sono Matteo (K), ho 21 anni e suono il basso. Lavoro in una ditta che produce componenti elettronici. In precedenza ho frequentato l’ITIS, indirizzo elettronica ed elettrotecnica. Rispetto a qualche anno fa, quando ero più “settario” nelle scelte musicali, oggi ascolto più o meno tutto, basta che sia valido. Il mio genere preferito rimane comunque l’indie rock (o alternative, come lo si vuole chiamare). 
Ehilà, sono Federico (FedeP), batterista. Ho 17 anni e frequento il liceo scientifico. La musica che ascolto si orienta generalmente sul punk-rock, ma ogni tanto ascolto anche un po’ di indie e rock italiano.
Ciao, sono Bagri, sono il chitarrista/cantante della band. Ho 20 anni e studio biotecnologia in Unimi. Ascolto un po’ qualsiasi roba mi trovo sotto mano, dal grunge al blues, dall’indie al math rock fino ad arrivare anche al caro punk delle origini.
Quando si è formato il gruppo?
Il gruppo si è formato ormai tre anni fa, anche se Bagri e K si trovavano già in precedenza per suonicchiare un po’. Eravamo terribilmente scarsi, provavamo nell’umidiccia saletta dell’oratorio ed ogni volta ci portavamo dietro un amico diverso per suonare la batteria, o almeno per tenere il tempo (nessuno di loro era realmente in grado di suonarla). Dopo qualche mese si è unito a noi un nostro amico chitarrista, Federico anche lui, che ci ha dato una scossa perché sicuramente sapeva qualcosa in più di noi due.
Da quel momento ci siamo messi a cercare qualcuno che suonasse veramente la batteria, fino a quando tramite amici siamo arrivati, fortunatamente, a FedeP. Abbiamo quindi iniziato a provare costantemente (fantastica la prima prova nella taverna di FedeP), fino a che abbiamo fatto il primo concerto nell’aprile 2016 alla festa della scuola. Dopo un po’ di concerti, FedeC ci ha lasciato perché aveva in ballo altri progetti (oggi è uno dei nostri migliori amici e “aiutanti”: fonico, roadie, supporter ... un po’ tutto) ed abbiamo deciso di proseguire come trio (o trinità) e siamo arrivati fino ad oggi, ottenendo dei risultati carini.
Concepite la musica in maniera simile?
Direi di sì, in fondo tutti e tre abbiamo le stesse “origini” musicali: siamo segnati da un mix di punk rock e grunge, anche se col tempo ci siamo aperti a generi più melodici, in certi casi anche pop o quasi, ammorbidendo decisamente il sound che avevamo agli inizi.
Concepiamo la musica in maniera simile e pensiamo che sia anche uno dei motivi per cui andiamo d’accordo.
Inoltre, per tutti e tre la musica non è la semplice passione o hobby di cui spesso si parla, ma sicuramente un qualcosa di più.
Quanto il territorio d'origine influenza il vostro stile?
Il nostro essere a cavallo tra l’hinterland milanese e la Brianza (velenosa, cit) sicuramente ha influenzato il nostro stile, anche se non moltissimo in fin dei conti. Di sicuro abitare e vivere in provincia ti obbliga in qualche modo a cercare qualcosa da fare, visto che questa è una zona che non offre molto ad un teenager/ragazzo, a parte qualche eccezione ovviamente. 
È un po’ il solito discorso sulla provincia, che è noiosa, priva di luoghi di aggregazione e cose così ed effettivamente a prima vista lo è; poi, però, quando inizi a frequentare certi “ambienti”, che siano associazioni, circoli o semplicemente locali con una certa attitudine/etica, capisci che un’alternativa al bar di paese c’è ed è ovviamente meglio.
Inizi quindi a frequentare un certo “giro”, spesso ti trovi ad ascoltare band piccole come la tua che molte volte non hai mai sentito e questo fa si che si aprano i tuoi orizzonti musicali: in Brianza c’è una scena musicale variegata ed attiva, quindi modi per influenzarsi a vicenda ce ne sono.
Tornando alla domanda di partenza, la provincia in qualche modo (musicale, mentale, ecc…) ci ha quindi sicuramente influenzato.
Quanto vi è costata emotivamente l'uscita del vostro primo EP?
Oltre che economicamente, “20060” (titolo del nostro EP) ci è costato molto emotivamente: essendo tutti e tre abbastanza dei profani dello studio di registrazione, trovarsi li con dei professionisti per la prima volta è stata sicuramente una bella botta in faccia. Se in più aggiungiamo il fatto che avevamo a disposizione solo due giorni per registrare il disco, la situazione non era proprio delle migliori, ma ce la siamo cavata bene.
Quando entri in uno studio, a contatto con un produttore e musicista che ha il doppio dei tuoi anni (Davide Lasala), con un’esperienza importante alle spalle, per forza di cose ti rivaluti completamente: le prime critiche “vere” che ricevi ti fanno vedere le cose in una maniera diversa, perché ti accorgi di non essere poi così fenomenale come quando sei nella tua bolla in sala prove o con gli amici.
Abbiamo capito più cose in quei due giorni su ciò che gira attorno alla musica (produzione, promozione di un disco, di un singolo e mille altri argomenti) che nei due anni precedenti in cui abbiamo suonato assieme.
Inoltre, dopo le registrazioni c’è stata tutta la parte “non-musicale” del lavoro: le corse per fare le foto (grazie Chicca), per trovare la copertina giusta, i titoli alle canzoni, il titolo all’EP, scrivere mail su mail per capire come funzionasse il tutto, capire dove stampare il disco, come metterlo su Spotify, ecc…
Registrare questi quattro pezzi è stata davvero un’esperienza necessaria e sicuramente positiva, in quanto ci è servita moltissimo a crescere e capire molte cose che in precedenza non sapevamo.
Per una futura uscita sapremo sicuramente gestire meglio il tutto, partendo dalle tempistiche fino alla registrazione dei pezzi.
Le canzoni dell'ep di che cosa parlano?
Tendenzialmente, i nostri pezzi non parlano di un qualcosa in particolare, secondo noi ognuno dovrebbe trovarci quello che cerca ed interpretarle a modo suo.
Detto ciò, hanno sicuramente un significato, non crediamo siano solo parole buttate lì a casaccio, però non sono storie, proclami o poesie di cui capisci immediatamente il significato. Alcune delle nostri canzoni preferite hanno dei testi bellissimi proprio perché ognuno può vederci qualcosa di personale: pensiamo che questo sia un ottimo punto di vista.
Accettereste di partecipare a un talent show? che ne pensate?
Fino ad ora non abbiamo mai parlato a fondo di questa cosa; tendenzialmente, però, siamo tutti e tre contrari ai talent show, non ne seguiamo nessuno e gli artisti venuti fuori da questo tipo di format non ci sono mai interessati.
Inoltre, il talent è più uno show mediatico, difficilmente la musica è in primo piano e già questo è un punto di partenza che ci fa dire “si, siamo contrari”.
È anche vero che al giorno d’oggi è molto difficile, senza avere grosse cifre da investire e senza conoscere le persone giuste, trovare qualcuno disposto a puntare su una band che intraprenda un percorso più classico e sicuramente gratificante (gavetta, trovarsi le date, ecc…).
Quindi sotto un aspetto puramente “di tempo”, il talent può aiutare, ma poi sta all’artista gestire il successo che ne segue e di solito il finale è sempre lo stesso (forse proprio perché manca quella capacità di gestire le situazioni che ti crei solamente facendo una discreta gavetta).
Per ora continuiamo sulla nostra strada, che fino ad oggi ci ha portato comunque dei risultati soddisfacenti per essere una band di provincia alle prime armi: scrivendo e sbattendoci, siamo riusciti a suonare ad Andalo Rock ed al Bloom, due palchi parecchio importanti e su molti altri palchi minori (della zona e non) comunque stimolanti ed interessanti. 
Ora ci aspettano circa una decina di date in questi due mesi in cui porteremo in giro l’EP ed altre nuove canzoni che stiamo scrivendo/abbiamo scritto nel frattempo. Giovanni Zambito.
Fattitaliani

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