Giancarlo Fares a Fattitaliani: tutti possono fare gli attori ma non tutti sanno fare gli attori. L'intervista

Giancarlo Fares non delude mai, dopo Le Bal ci delizia con “Non si uccidono così anche i cavalli” alla Sala Umberto fino al 14 ottobre. 

Sedici attori- performer in scena, bravissimi, versatili, disciplinati, competenti e professionali, capitanati da uno straordinario Giuseppe Zeno (intervista) nel ruolo di chi racconta gli eventi e incita le coppie ad andare avanti fino allo sfinimento.
Una maratona di ballo di 1000 ore! Chi sarà il vincitore? È meglio un sogno o un’illusione? Il palcoscenico come scatola magica! I sogni dei ragazzi di allora sono come quelli dei ragazzi di oggi. 
Un piccolo gioiello che emoziona e scalda il cuore.

Regista di “Non si uccidono così anche i cavalli”, nel 1969 era stato girato un Film diretto da Sidney Pollack, paura del confronto o cosa? 
Il confronto non può esserci perché sono due settori e due linguaggi completamente diversi. La regia era molto impegnativa sulla carta perché era un Cast molto numeroso, una band dal vivo, sono venti persone in scena. E’ stato un impegno molto grande ma è stata anche una sfida   molto bella perché attraverso il testo e lo spettacolo ho potuto affrontare dei temi che per me sono molto cari: i reality, la competizione, il senso della vita. Lo spettacolo parla di una maratona di ballo fino allo  sfinimento  che si tenevano veramente negli anni 30. In realtà si rifà anche a fatti moderni come i reality.

All’epoca c’era una spettacolarizzazione che teneva conto della depressione e faceva leva sulla povertà. Oggi non è una questione di povertà o di depressione ma è una questione della voglia di diventare famosi. Andy Warhol diceva “rincorrere il quarto d’ora di celebrità”! Oggi si vede la gente che a tutti i costi, tenta la via del successo, della fama o della notorietà. E’ una cosa terribile da vedere perché si tende ad essere unici anche attraverso meccanismi strambi come la moda del tatuaggio che è arrivata agli estremi e molto altro. Questo non è poi così bello.
In conferenza stampa avevi detto “Vorrei che i giovani capissero che il nostro lavoro non s’improvvisa ed è fatto di grandi sacrifici”. Sei riuscito ad ottenere ciò? 
Gli attori sono stati selezionati attraverso una lunga serie di provini. Erano arrivati novecento curricula. 
Ho provinato 400 attori per un Cast di sedici attori performer in scena. Sono bravissimi, straordinari perché non sono solo molto versatili ma anche disciplinati, molto competenti, professionali. Sono capitanati da Giuseppe Zeno che è un professionista anche del Cinema e della Televisione, c’è Sara Valerio che con me collabora da tanti anni.  Una compagine molto nutrita, più cinque elementi dal vivo diretti da Pigi che è un noto cantautore dello swing e non solo. Una serie di professionisti che si sono messi a disposizione con grande competenza e professionalità. Alcuni di loro vengono da Le Bal ma nessuno di loro ha avuto il posto già pronto, anche loro non sono entrati di diritto ma hanno fatto il provino perché questo è uno spettacolo diverso. Ha come comune denominatore il ballo ma anche loro hanno fatto i call back, li ho messi alla prova e si sono meritati il posto. 
Ho fatto pedagogia per molti anni, lavoro tanto con i giovani, do loro molte possibilità di lavorare perché è importante dare spazio ai giovani. Ultimamente il Teatro si fa sempre con Cast ridotti, si usa la filosofia del nome altisonante a tutti i costi.  Nei nostri spettacoli, i giovani sono i veri protagonisti e questo è molto importante per un rinnovamento e per un nuovo impulso al Teatro italiano.
Avete debuttato a Borgio Verezzi e avete vinto il Premio Camera di Commercio Camera di Liguria. Soddisfazioni o cosa? 
Grandissima soddisfazione perché tra l’altro il Festival ospitava bellissimi spettacoli molto belli e importanti e il nostro spettacolo è piaciuto molto al pubblico. Per noi è stata anche una prova del buon lavoro svolto.  Non potevamo sapere quale sarebbe stato il riscontro. Lo spettacolo è molto articolato, non semplice da vedere perché si legge a vari livelli. Non è solo spettacolare ma contiene varie metafore. Molto felici! 
Officine del Teatro Italiano è stata molto coraggiosa a produrre lo spettacolo ma ha avuto anche una grande cassa di risonanza. 
Alessandro Longobardi, Germana Giorgerini che è il nostro Direttore di Produzione, sono persone straordinarie da questo punto di vista. E’ uno spettacolo con venti persone sulla scena e altrettanto dietro le quinte. Parliamo di quaranta persone che vanno in tournée. In Bal erano sedici persone in scena, tutti giovani. Oggi ci vuole molto coraggio a produrre queste cose che poi in realtà ripagano perché vincono premi, vanno in attivo perché sono spettacoli che hanno grande successo. Ci vogliono produttori lungimiranti, coraggiosi e anche un po’ filantropici perché oramai si tentano solo piccole operazioni che possono avere un guadagno quasi certificato. Nel panorama teatrale italiano, si dimostra un produttore di quelli veramente importanti perché fa un lavoro che fa solo lui, almeno sul territorio romano. 
Volevi fare uno spettacolo molto comunicativo perché molta gente si avvicina al vostro mestiere in maniera molto sprovveduta. Perché? 
Si pensa che tutti possono fare gli attori e questo è anche vero, tutti possono fare gli attori ma non tutti sanno fare gli attori. L’attore è un mestiere fatto di competenze come qualsiasi altro lavoro ed è un lavoro molto difficile e molto importante nella società perché in realtà un attore è un comunicatore quindi influenza i pensieri, le idee, le forme contenutistiche delle cose. Bisogna saperlo fare con grande disciplina, rigore, professionalità. In Italia è sempre stato un fiore all’occhiello, in questi ultimi anni non è più così e invece bisognerebbe puntare molto sul Teatro e sul Cinema italiano che ultimamente sono un po’ in crisi ma in realtà sono di assoluto valore perché sono fatti da persone di grande competenza in entrambi i campi. Ci spostiamo in tutto il mondo, siamo molto bravi e a vedere che alla fine si diventa un po’ ostaggi del “dopolavorismo”, non è corretto! 
Chi viene a vedere questo spettacolo vede sedici ragazzi che in tutte le recensioni vengono elogiati in maniera straordinaria come dei bravissimi interpreti e performer perché sono dei giovani professionisti che hanno una formazione alle spalle e grandi competenze. Il territorio italiano ne è pieno. Bisogna dare a loro delle possibilità e non a chi non ha competenze. Bisognerebbe distinguere tra Professionisti e Amatoriali.   
Invece in Italia questa distinzione non c’è. Da Roma in giù ce n’è veramente poca. Ahimè! 
Perché hai deciso di puntare su Zeno? 
E’ stata una scelta voluta sia dalla produzione e poi accolta bene da me. Zeno è non solo un attore importante del panorama Teatrale, Cinematografico e Televisivo ma è anche un grande professionista, è un valore aggiunto allo spettacolo. Con lui si è fatto un lavoro molto particolare sul personaggio. Lui è uno che si mette molto a disposizione, anche in questi giorni continua a lavorare e a dare una grande impronta al personaggio stesso.  E’ sicuramente encomiabile. 
Il palcoscenico è una scatola magica. Quanto è vero? 
È un luogo dove nulla è reale ma tutto deve essere vero. È la scatola in cui si contiene l’immaginario delle persone. Tutti noi quando ci sediamo in un teatro a vedere uno spettacolo o andiamo al cinema a vedere un Film, paghiamo per essere fregati. Sappiamo che è tutto finto ma vogliamo crederci. La bravura dell’Artista sta proprio in questo, rendere vero qualcosa che già dall’inizio si sa che in realtà è solo finzione!


Elisabetta Ruffolo
Fattitaliani

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