Segesta, "Gli uccelli" di Aristofane volano alto. La recensione di Fattitaliani

Testimonianze del passato più che mai vive e attuali: luoghi e personaggi tornano a rivivere a Segesta grazie alla mirabile iniziativa del Calatafimi Segesta Festival Dionisiache e ai suoi tanti spettacoli rappresentati all'aperto nello splendido scenario del teatro antico di Segesta.

Ieri sera, in prima nazionale, Fattitaliani ha assistito alla messa in scena de "Gli uccelli" commedia di Aristofane rappresentata per la prima volta alle Grandi Dionisie del 414 a.C.
Stasera ci sarà la seconda e ultima replica: un'occasione da non perdere, perché, pur nella semplicità dei mezzi, l'adattamento e la regia di Cinzia Maccagnano hanno restituito la bellezza e la modernità del testo greco, con qualche aggiustamento e adeguamento sia linguistico che di contenuto, che non ne hanno tradito la natura, ma che, al contrario, ne salvaguarda il messaggio moderno e attuale.
Il talento degli artisti - tutti gli artisti - è di alto livello: nei dialoghi, nelle movenze, nelle semplici coreografie di Luna Marongiu, nel canto. 
Essenziale la scenografia a cura di Rosalba Cannella e Mariella Beltempo: una scena pressoché spoglia che man mano si riempie di oggetti, persone e significato, grazie al contributo dei costumi di Monica Mancini.
Notevole la canzone originale di Upupa di Federica Clementi.
Inizio alle 19.15: la commedia dura circa un'ora e mezza ed è già di per sé uno spettacolo incredibile assistere ai diversi momenti di luce che attraversano e illuminano il paesaggio sullo sfondo. Da vedere. Giovanni Zambito.


GLI UCCELLI - NUBICUCÙLIA
LA CITTÀ IMPOSSIBILE
di Aristofane

Prima Nazionale

Teatro Antico

Adattamento e regia CINZIA MACCAGNANO
Con Oriana Cardaci, Marta Cirello, Raffaele Gangale, Dario Garofalo, Cinzia Maccagnano, Luna Marongiu, Chiara Pizzolo, Cristina Putignano, Rossana Veracierta e con Lucrezio de Seta, Franco Vinci.
Musiche originali Lucrezio de Seta
Canzone di Upupa Federica Clementi
Movimenti di scena Luna Marongiu
Costumi Monica Mancini
Scenografia Rosalba Cannella & Mariella Beltempo
Progetto grafico Alessandro Giuliani

Spettacolo in esclusiva per il Calatafimi Segesta Festival 2018 - Dionisiache


TRAMA: Due ateniesi, Pistetero ed Evelpide, lasciano la loro città divorata dalla passione vendicativa della giustizia e dall’ossessivo desiderio di colonizzare popoli e territori, e se ne vanno in cerca di un luogo senza seccature, per trascorrervi il resto della vita. Laggiù i due ateniesi cercano e trovano un grande sogno utopico: una città che rinnovi la perduta età dell'oro, quando gli uccelli, più antichi di Crono e dei Titani, padroni del tempo, erano sovrani di una patria dolce e materna, senza leggi né violenza. Ma l’utopia dura poco, perché Pistetero, via via, ristabilizza nella nuova polis l’ordine del nomos a cui si era ribellato, stravolgendo l'aerea Nubicucùlia in un doppio del mondo reale, dove gli uccelli “dissidenti” vengono trasformati in un arrosto succulento, mentre quelli accondiscendenti si mettono al totale servizio degli uomini. In uno sgangherato varietà, anche attraverso scene buffonesche e ridicole, si manifesta la ribellione dell’individuo nei confronti del gruppo, della società. Questa ribellione, comune a tutti gli uomini, non trovando appigli nella realtà per l’attuazione, da impulso incontrollato si traduce in atto in una dimensione fantastica, dove il sovvertimento dell’ordine costituito diventa lecito, il desiderio diventa folle a tal punto da sovrapporre il mondo ideale a quello reale. L’autocompiacimento di Pistetero lo porta a diventare anch’egli ipertrofico, come la sua Atene dalle mire espansionistiche, e così, non pago di aver assunto il controllo di Nubicucùlia, vuole costringere alla sottomissione persino gli dèi, ricattandoli e poi corrompendoli. Ma che ne sarà di questo mondo, apparentemente a misura d’uccello, ma di fatto a misura di Pistetero? L’uomo cadrà negli stessi vizi da cui è fuggito, irrimediabilmente sedotto dal potere che gli garantisce il controllo della società di uccelli, e dal denaro che lo rende socialmente riconosciuto. Ne verrà fuori un io ricostruito che al termine di una parata tutta musica e balletti, come il più estroso dei carnevali, metterà in gabbia i desideri degli altri, costruirà mura a garanzia del proprio Io eroico, facendosi beffe persino degli dèi. L’opera di Aristofane si conclude con la festa per le nozze di Pistetero con l’amante di Zeus, cioè con l’accettazione della vittoria del più furbo, come se la conclusione dovesse essere quella di accontentarsi di quell'unico modello possibile di società, dove una “tarantella” chiassosa, cancellando il malumore, tenta di cancellare, nascondendolo, il malessere. Ma ad uno sguardo più distante si può cogliere invece come Aristofane indichi la banalità del male, la fragilità delle società che si lasciano capeggiare dalla bramosia di individui frustrati e prepotenti che un poco di coraggio potrebbe scalzare con facilità. Perciò, forse, possiamo immaginare un usignolo, una voce fuori dal coro, che, volando in alto sullo sfumare della festa, possa cantare ancora la nascita di una città ideale, chissà dove, chissà con chi.
Fattitaliani

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