Sambene, "Sentieri partigiani - Tra Marche e memoria": 10 inediti, storie di partigiani strappate all’oblio

C’è Nunzia con la sua bicicletta, Nenè che sugli sci “sembrava un angelo che volava”, Eraclio e il suo commovente messaggio d’addio, Bebi e gli altri che riposano sotto i pini di Montalto. Ed ancora Ruth e Augusto, Ivan, Elvio, Achille, Derna e Alessandro. Sono i protagonisti di dieci canzoni, dieci sentieri per ripercorrere fatti e personaggi della Resistenza marchigiana.

Tutto questo è "Sentieri partigiani. Tra Marche e memoria" (Fono Bisanzio), il primo lavoro discografico di inediti dei Sambene, gruppo folk di Recanati prodotto da Michele Gazich (anche coautore di musica e testi), che nasce con intento di salvare dall'oblio alcuni personaggi della stagione di lotta per la liberazione dell'Italia che è stata la Resistenza.

Più che un disco è un vero e proprio documento, unico nel suo genere, che ha richiesto un lungo periodo di studio e ricerca e che vede al centro i racconti di Nunzia Cavarischia, staffetta partigiana, che i Sambene hanno incontrato e intervistato. A lei è dedicato questo album, che inizia proprio con la sua voce.
Dieci brani inediti (più “Bella Ciao” in chiusura) che mantengono un suono filologicamente folk, con la chitarra acustica di Marco Sonaglia, la fisarmonica di Emanuele Storti e uno dei violini più apprezzati in Italia e all’estero, quello del produttore Michele Gazich. 

All’interno del disco anche  due camei: la voce recitante di Giorgio Montanini sul brano “Eraclio Cappannini” e la partecipazione di Marino e Sandro Severini dei Gang su “Nenè acciaio”.
La direttrice artistica del progetto, Lucia Brandoni dell’Accademia cantautori di Recanati,ha  spiegato di aver lavorato molto sui suoni e sulle tre voci del gruppo - quella maschile di Sonaglia e quelle femminili di Roberta Sforza e Veronica Vivani - secondo alcuni canoni tipici del canto popolare del Centro Italia.

L’album, intanto, ha già meritato un importante riconoscimento, il Premio Nazionale "Renato Benedetto Fabrizi" dell’ANPI, assegnato ogni anno a coloro che, nell’ambito della propria attività, abbiano trattato i temi dell’antifascismo e della Resistenza.

Il progetto, che ha anche ottenuto il patrocinio non oneroso di dieci comuni marchigiani (Recanati, Fabriano, Visso, Fiastra, Muccia, Cessapalombo, Urbisaglia, Arcevia, Agugliano e Tolentino),  ha suscitato immediatamente l’interesse dell’Associazione Nazionale Partigiani Italiani, sin dalle prime battute della campagna di crowdfunding per finanziarlo, campagna che ha ottenuto un grande successo grazie al sostegno di fan, giornalisti e associazioni.
L’idea è nata un lunedì di primavera di qualche anno fa quando, presso il cimitero di Tolentino, davanti al monumento ai caduti di Montalto, l'attenzione di alcuni componenti del gruppo è stata attratta da un nome, Bebi Patrizi, e dalla sua città di provenienza, Recanati, la loro città. Da lì è iniziato un percorso di approfondimento di quella storia e di altre storie di donne ed uomini, staffette e partigiani, che hanno combattuto per la libertà nelle Marche, in particolare nelle provincie di Ancona e Macerata.

BRANO DOPO BRANO, LE STORIE PARTIGIANE

NUNZIA, LA STAFFETTA (La storia di Nunzia Cavarischia)

Con la bicicletta, Nunzia percorreva i sentieri che passano da Caldarola a Borgiano, da Tolentino a Fiastra, da Acquacanina a Valcimarra. Con i suoi quindici anni ed il sorriso risoluto superava i posti di blocco per portare lettere ai compagni partigiani. Lettere ed armi. Figlia unica, nata e cresciuta a Roma, dopo i bombardamenti del ’43 venne mandata sui Monti Sibillini, ospite dei nonni ad Acquacanina, dove la madre Elena ed il padre Giovanni, detto Nanni, la raggiunsero dopo l’8 settembre. Suo padre, antifascista attivo nei GAP, giunto sui monti cercò subito di mettersi in contatto con i gruppi partigiani della zona, incontrando così il carismatico Nenè Acciaio. Con lui, sul Monte Fiungo, si unisce alla “201 volante”, una delle formazioni più attive dell’intera provincia. È Acciaio che propone a Nunzia di unirsi al gruppo, come staffetta: le procura una bicicletta e, tra i monti, nasce “Stella rossa”. Un giorno del mese di giugno del ‘44, Nunzia cattura un tedesco tutta sola. E’ andata così: una formazione partigiana della zona, “Gli attendisti”, attacca due o tre camion nemici; un tedesco muore durante l’assalto, gli altri sono fatti prigionieri, uno riesce a fuggire. Il Comandante Ferri chiede aiuto ai partigiani di Valcimarra: il fuggitivo deve essere catturato. Giovanni, in quel momento ferito, chiede a Nunzia di correre a Borgianello perché Tòto, vice-comandante della “201”, invii qualche ragazzo alla ricerca del fuggitivo. Nunzia salta sulla bicicletta e, sulla strada per Borgianello, chiede a una donna se ha visto un tedesco; dopo qualche tentennamento quest’ultima ammette di averlo incontrato e di avergli offerto ospitalità e cure. Nunzia, disarmata entra in casa e trova il tedesco steso sul letto, lì vicino c’è una sedia con sopra un mitra, due bombe a mano ed una rivoltella. Con un calcio allontana le armi dall’uomo, prende la pistola e gliela punta contro. Dopo aver consegnato l’uomo e le armi trovate, decide di tenere per sé la rivoltella, una Mauser. I sentieri percorsi da Nunzia e dal tedesco, Erick, si incontreranno di nuovo.

Ad introdurre il brano è la stessa voce di Nunzia che intona un canto le cui parole sono di Livio Cicalè e di Giuseppe Biagiotti, partigiani tra i primi ad arrivare in montagna e a prender parte al gruppo attivo nella zona di Montenero di Cingoli e poi al gruppo “201 volante” del comandante Emanuele Lena, detto Nenè Acciaio. 17 aprile 1944, Livio e Giuseppe furono fucilati al campo di concentramento di Sforzacosta, vicino Macerata. Livio chiese di morire abbracciato all'amico, ma la richiesta non fu accettata. Il comandante del plotone d'esecuzione ordinò ai due di scavarsi da soli la fossa. Avevano da poco compiuto 19 anni.



2) NENE’ ACCIAIO (Storia di Emanuele Lena)

Nunzia Cavarischia lo ricorda così: ”Per me Acciaio era unico. Mi ricordo che noi eravamo a Valcimarra, una volta lui venne da Fiungo e c’era la neve. Scendeva la montagna con gli sci, aveva l’impermeabile che si apriva e a me sembrava un angelo che volava. Aveva tanto carisma lui!”.

Emanuele Lena nasce in Sicilia, a Marina di Siracusa, il 1° febbraio del 1920. Comandante del gruppo “201 volante”, V° Brigata Garibaldi Marche. Medaglia d’argento al valor militare.

Nenè, così era chiamato dagli amici, l’8 settembre 1943 si trova ad Alessandria come sottotenente artigliere. Decise di tornare in Sicilia, ma durante il viaggio di ritorno incontrò a Tolentino altri due siciliani: Salvatore Ficili e Giuseppe Gurrieri. Il 7 dicembre del 1943, in un rastrellamento delle squadre nazifasciste, Salvatore venne ucciso. Da lì la decisione di Emanuele di arruolarsi nel CNL di Tolentino. Poco dopo prese il comando del gruppo “201 volante”, Vª Brigata Garibaldi. Conquistò subito il rispetto e l’ammirazione dei suoi uomini, per il coraggio e la forza che dimostrava nelle azioni contro i nazi-fascisti e per questo venne soprannominato “Acciaio”. In questo periodo si legò a Giovanni Cavarischia, padre di Nunzia.

Il 16 marzo, Nenè partecipa al convegno indetto dal Cln di Macerata. Bisogna decidere chi coordina i gruppi che operano nel maceratese. Si decide di affidare il comando al colonnello Cesare Baldi che, come primo atto, sospende per almeno 15 giorni le operazioni militari per consentire i rifornimenti e aspettare i lanci degli alleati. Acciaio non concorda con quella linea e, per non creare problemi, comunica che intende cambiare zona con i suoi uomini. Baldi non accetta, scioglie il gruppo e disarma Acciaio. Cinque giorni dopo la strage di Montalto, Acciaio ricostituisce la sua banda e, volendo dare una risposta forte ai fascisti, progetta di catturare il capo della provincia di Macerata, Ferruccio Ferazzani, in visita a Tolentino. Scoperto, riesce a sfuggire all’accerchiamento, ma è costretto a separarsi dai suoi uomini.

Intercettato, fu posto di fronte alla scelta dell’arruolamento nella Rsi o della deportazione in Germania: preferì restare in Italia. Un mese dopo  al centro di reclutamento di Cremona secondo un rapporto di polizia dell’ottobre 1944 “in collaborazione con le formazioni partigiane svolgeva fattiva propaganda antifascista e favoriva la fuga dei soldati dalla caserma”. Il 16 agosto 1944 viene tratto in arresto. Per giorni viene interrogato e probabilmente torturato, ma non lascia trapelare nessun nome o informazione.

L’11 settembre venne inviato al carcere di Brescia, da dove l’8 novembre viene prelevato per essere tradotto a Breno dove si trovava il comando della Gnr. Si legge in un rapporto dei CC di Breno del 28 settembre 1945, recepito in una nota della questura di Brescia del 6 ottobre 1946: “Durante il viaggio e precisamente nei pressi del casello ferroviario di Cogno, il Lena chiese di andare in latrina e si gettava dal finestrino della medesima. Scoperto veniva raggiunto da una raffica di mitra sparatagli dalle guardie che lo scortavano. La salma, recuperata il giorno successivo, venne tumulata il 10 giorno novembre 1944 nel cimitero di Cividate”.



3) ERACLIO CAPPANNINI

Aveva appena concluso gli studi all'Istituto industriale di Foligno quando, nel novembre del 1943, entrò nella formazione partigiana dalla quale sarebbe sorta la V Brigata Garibaldi, operante nell'Anconetano. Nominato capo di stato maggiore, Cappannini nel gennaio del 1944 partecipò ai combattimenti contro i nazifascisti a Serra San Quirico e nell'aprile successivo a quelli nei dintorni di Cabernardi. Fu anche l'artefice, con i suoi uomini, del sabotaggio dello stabilimento Snia Viscosa di Arcevia, che non poté più produrre per i nazisti. Per stroncare le azioni dei partigiani, i tedeschi sottoposero tutta la zona ad un massiccio rastrellamento e fu proprio in quella circostanza che Eraclio Cappannini fu catturato con i suoi compagni Giuseppe Latieri, Giuseppe Milletti, Marino Patrignani e Dealdo Scipioni. Era il 4 maggio del 1944. Il giorno dopo, i cinque partigiani furono fucilati dai nazifascisti. Cappannini riuscì a scrivere un commovente messaggio alla famiglia, poco prima di morire. La lettera, scritta sul retro di una busta dell'Istituto Nazionale Fascista della Previdenza Sociale - Sede di Ancona, fu trovata a terra, sul luogo dell’esecuzione, e consegnata ai genitori. Un attimo prima che partissero le scariche, Patrignani si tolse le scarpe e le scagliò contro i carnefici gridando: «Viva l'Italia libera». Le vittime del rastrellamento tedesco in quella che, nella zona, è ricordata come "la battaglia di Arcevia", furono sessantacinque.

La scansione del messaggio originale di Eraclio, fornita dal Comune di Jesi, è inserita nel booklet



4) BEBI PATRIZI (Storia di Alberto Patrizi)

A Recanati, si era costituito nell’ottobre 1943 il Gruppo di Azione Partigiana. Nei primi mesi del ‘44, diversi giovani recanatesi si erano sottratti alla leva ed erano saliti a Montalto, nelle alture di Cessapalombo e Caldarola, per unirsi ad un gruppo ancora in formazione, il distaccamento presso Montalto del gruppo "Nicolò", assegnato al tenente Achille Barilatti.

La notte del 19 marzo il tenente Raul Mattiolo, ricercato per aver ucciso sette fascisti a Muccia, accompagnò Acciaio ed i suoi uomini a San Liberato passando per Caldarola dove incrociò i fascisti che stavano cercando proprio lui. Ci fu uno scontro a fuoco nella piazza centrale, ma i partigiani riuscirono a salvarsi. Questo episodio fu il preludio ad un massiccio rastrellamento da parte dei militi della RSI che iniziò intorno alle 7 del 22 marzo 1944. I giovani partigiani a Montalto furono allertati dagli spari della sentinella e, in tutta fretta, cominciarono a correre verso Vestignano, secondo gli ordini ricevuti dal Comando. Ma proprio lì, c’erano ad attenderli due camion pieni di soldati. Alcuni riuscirono a sfuggire alla cattura, ma tutti gli altri furono radunati e ricondotti verso la mulattiera sotto Montalto. Nella tarda mattinata, cominciarono le fucilazioni. Durante l’eccidio persero la vita trentuno giovani partigiani tra cui il recanatese Bebi Patrizi. Bebi e gli altri furono uccisi ai margini della mulattiera che passa sotto Montalto e buttati nel burrone. Lungo quella strada, ai bordi del precipizio, sono stati piantati 21 pini in memoria dei giovani partigiani che persero la vita.



5) RUTH E AUGUSTO (Storia di Augusto Pantanetti, detto Nicolò)

Nacque ad Urbisaglia il 13 novembre 1915 e trascorse la sua infanzia nella città natale, solo dopo si trasferì a Macerata. Divenne impiegato di banca e nell’ottobre del 1939 partì come sottotenente di fanteria per l’Albania. Rientrò in Italia nel ’41 per poi ripartire per la Grecia nel 1942 con il grado di tenente. Tornato a Macerata dopo l’8 settembre, come tanti altri graduati, dovette prendere una decisione: si ritirò a Monastero, sui monti che sovrastano Cessapalombo, ed insieme a tanti altri uomini, formò il gruppo partigiano denominato “Banda Nicolò” di cui fu comandante.

In montagna, nella zona di Monastero, Augusto Pantanetti incontrò Ruth Wartski, sua futura moglie, fuggita insieme alla famiglia da San Ginesio. Il padre, Hermann Wartski, profugo ebreo di Danzica, era stato internato nel campo di concentramento di Urbisaglia il 25 giugno 1940 e trasferito il 2 aprile 1942 in domicilio coatto a San Ginesio.

Nel dopoguerra Augusto Pantanetti ha ricoperto la carica di assessore al Comune di Macerata fino al 1951. Tra i fondatori dell’Istituto Regionale per la Storia del Movimento di Liberazione nelle Marche, ne è stato per diversi anni vice presidente. Si è spento a Macerata il 13 marzo 1999.

Ruth Wartski (Danzica, 18 maggio 1925 – Macerata, 2006) era fuggita con la famiglia dalla Polonia per raggiungere il padre a San Ginesio. Insieme furono poi costretti a spostarsi in montagna per evitare la deportazione in Germania. Giunti a Monastero, Ruth venne interrogata a lungo perché sospettata di essere una spia, tanto più che il suo italiano era ancora molto incerto. Pantanetti però intuì la verità e decise di offrire a tutta la famiglia rifugio ed ospitalità. Da quel momento, Ruth rimase in montagna, a Monastero, con il gruppo “Banda Nicolò”.



6) ELVIO E IVAN  (Storia di Elvio Pigliapoco e Ivan Silvestrini)

Furono fucilati il 2 maggio 1944 davanti alle mura di cinta del vecchio cimitero di Santa Maria, a Fabriano. Nel luogo esatto in cui avvenne la fucilazione, davanti alle vecchie mura del cimitero oggi inglobate nel nuovo, è stato innalzato nel primo dopoguerra un sacrario dedicato ai martiri della Resistenza fabrianese, e sono ancora ben visibili i segni delle pallottole che uccisero i due partigiani. Elvio ed Ivan appartenevano al gruppo Lupo, composto in prevalenza da comunisti.

Il 30 aprile 1944, Elvio Pigliapoco e Ivan Silvestrini caddero in un’imboscata e furono fatti prigionieri. Il 2 maggio successivo, dopo essere stati vanamente interrogati, vennero fucilati a ridosso delle mura di cinta del cimitero di Santa Maria. Prima di morire, Ivan ha la possibilità di scrivere la seguente lettera ai suoi genitori, tuttora conservata dalla sorella Giuliana: “Cara mamma e babbo caro, il destino mi è stato avverso, pazienza. Vengo fucilato, ma non tremo e, come non tremo io, non dovete neppure voi. Vado dallo zio che mi aspetta. Siate forti come lo sono io. Vi bacio tutti, un abbraccio particolare alla piccola Giuliana. Addio. Ivan”. A fucilarli fu Antonio Gobbi, “il tenente nero”, comandante della GNR a Fabriano. Tra i responsabili anche la giovanissima Adriana Barocci, nota con l’appellativo di “belva di Fabriano” per la sua attività di collaboratrice e delatrice.

  

7) ACHILLE BARILATTI

Nato a Macerata il 16 settembre 1921, fucilato a Muccia (Macerata) il 23 marzo 1944, studente in Scienze economiche e commerciali, Medaglia d'oro al valor militare alla memoria. Nome di battaglia Gilberto Della Valle. Tenente di artiglieria addetto alla difesa costiera, dopo l’armistizio dell’8 settembre 1943 entrò nella Resistenza, diventando comandante del distaccamento di Montalto di Cessapalombo del gruppo “Nicolò”. Il 22 marzo 1944 i fascisti si diressero verso Montalto alla ricerca di partigiani accampati nei dintorni. Il rastrellamento portò alla cattura di 32 giovani, tra cui Bebi Patrizi, che furono allineati lungo la strada sotto Montalto. Barilatti fu catturato in una casa in località Valle e non fu ucciso subito; fu portato invece a Muccia e tenuto prigioniero nel palazzo Paparelli, sede del Comando nazifascista, dove venne interrogato invano dal tenente Grazzano. Gli fu permesso di vedere la fidanzata, che salutò dicendo: “Meglio la morte che il tradimento!”. Il giovane venne fucilato contro il muro di cinta del cimitero di Muccia (Mc) il 23 marzo alle 18,25, pronunciando queste ultime parole: “Viva l’Italia libera!”. La sua salma venne abbandonata nella chiesetta del cimitero per cinque giorni, in attesa di una decisione sulla sepoltura.



8) DERNA SCANDALI

Cresciuta in una famiglia di antifascisti, la vita di Derna Scandali fu dedicata alla lotta per i diritti delle donne. Dopo la licenza elementare fu assunta come operaia in un'azienda di abbigliamento. Allo scoppio della guerra si trasferì a Agugliano, alla periferia di Ancona. È qui che Derna entrò in contatto con un distaccamento del GAP di Jesi e iniziò a svolgere il ruolo di staffetta. Nel gennaio 1944 fu nominata segretaria della cellula comunista di Agugliano. Dopo la Liberazione, tornata nel capoluogo, partecipò attivamente alla nascita dei Gruppi di difesa della donna. Contemporaneamente svolse attività di propaganda per il PCI nella sezione "Mario Zecca", collaborando tra l'altro con l'organo di stampa locale Bandiera Rossa.

Tornata ad Ancona, entrò a far parte della locale Camera del lavoro, riaperta il 18 luglio del 1944 all'indomani della liberazione della città con l'arrivo della II Armata polacca.

Dal 1945 al 1955 Derna ricopre l'incarico di segretaria della Commissione femminile della CdL di Ancona, con una parentesi presso la CdL di Macerata dove, dal 1948 al 1949, svolge la stessa mansione. Tra i risultati raggiunti: la regolarizzazione di molti contratti e l'iscrizione della manodopera femminile agli istituti previdenziali. Nel 1953 è lei ad organizzare la Conferenza provinciale della Donna lavoratrice, al termine della quale viene approvata la Carta rivendicativa della lavoratrici anconetane. Uscita dalla CdL di Ancona nel 1955, fino al 1970 continuò a militare nel PCI. Nel 1970 entrò nella Direzione nazionale del Sindacato pensionati italiani, dove rimase fino al 1978. Nel 1987 il Comune di Ancona le ha assegnato un diploma di benemerenza per il suo impegno in favore della tutela dei diritti e della dignità delle persone anziane e, nel 1988, l'allora segretario generale della CGIL, Sergio Cofferati, le ha consegnato a Roma un riconoscimento per la sua lunga militanza nel sindacato.

Derna Scandali si è spenta a 98 anni nella Casa di riposo Benincasa di Ancona, che aveva contribuito a far realizzare.

   

9) ERICK KLEMERA

Il tedesco catturato da Nunzia è Erick Klemera. Accolto dalla famiglia Cavarischia, Erick venne fatto curare. Durante la sua permanenza a casa di Nunzia, a seguito di uno scoppio di una bomba, Erick contribuì a soccorrere i feriti. Ma il gruppo volante “201” non poteva tenere prigionieri e quindi i partigiani portarono Erick da Don Nicola Rilli perché si occupasse di lui. Ma il tedesco riuscì fuggire. Nunzia non ebbe più notizie di Erick, fino a quando, quarant’anni dopo la fine della guerra, all’ANPI di Tolentino, durante l’annuale cerimonia di commemorazione dei martiri di Montalto, lo rincontrò: era arrivato da Bolzano grazie all’invito di un colonnello degli Alpini di Merano che in quel periodo si stava occupando di ricongiungimenti. Iniziò così l’amicizia fra la staffetta Nunzia ed il tedesco Erick.



10) IL VENTO DELLA MEMORIA

Giugno 1944. Il Battaglione Gian Mario Fazzini è attivo nella zona di Camerino.

Il territorio si trova in balìa dei tedeschi: il 24 giugno le truppe nemiche si posizionano sulle alture circostanti Letegge e Pozzuolo; il loro piano era quello di attaccare e sterminare definitivamente i gruppi partigiani che avevano trovato un importante sostegno nella popolazione locale. Iniziarono a cercare i partigiani casa per casa; in quindici vennero trovati ed uccisi.

Ad uno di loro, Alessandro Sabbatini, vedetta del Battaglione, prima della fucilazione, vennero cavati gli occhi perché, come distintivo della sua mansione, portava appeso al collo un binocolo.

Durante i rastrellamenti vennero arrestati partigiani, capofamiglia e contadini: raggruppati e condotti a Capolapiaggia. In un solo giorno furono fucilati 59 uomini.

VIDEO UFFICIALE: https://www.youtube.com/watch?v=Hr1ClRHiQDA



11) BELLA CIAO


CREDITI:

Marco Sonaglia (voce e chitarra)

Roberta Sforza (voce)

Veronica Vivani (voce)

Emanuele Storti (fisarmonica)

Michele Gazich (violino, viola, voce, pianoforte).

Lucia Brandoni (arrangiamenti vocali)



Nunzia, la staffetta: parole di Michele Gazich – musica di Lucia Brandoni, Michele Gazich, Marco Sonaglia

Nenè Acciaio: parole di Michele Gazich e Luca Lisei – musica di Marco Sonaglia

Eraclio Cappannini: parole di Eraclio Cappannini, Lucia Brandoni, Marco Sonaglia – musica di Lucia Brandoni, Michele Gazich, Marco Sonaglia

Bebi Patrizi: parole di Michele Gazich e Luca Lisei – musica di Lucia Brandoni e Marco Sonaglia

Ruth e Augusto: parole di Luca Lisei e Roberta Sforza – musica di Michele Gazich e Marco Sonaglia

Elvio e Ivan: parole di Lucia Brandoni e Michele Gazich – musica di Michele Gazich e Marco Sonaglia

Achille Barilatti: parole di Michele Gazich e Luca Lisei – musica di Marco Sonaglia

Derna Scandali: parole di Luca Lisei – musica di Marco Sonaglia e Veronica Vivani

Erich, lo straniero: parole e musica di Michele Gazic

Il vento della memoria: parole di Michele Gazich e Luca Lisei – musica di Marco Sonaglia

Bella ciao: canto tradizionale

CHI SONO I SAMBENE
I Sambene (in sardo "sangue", come sinonimo di passione ed energia) sono un gruppo di musica folk, con una forte connotazione cantautorale; un gruppo acustico nel quale si dà grande risalto alle tre voci che lo compongono: quella maschile di Marco Sonaglia, chitarrista e cantautore, e quelle femminili di Roberta Sforza e Veronica Vivani.  Sono nati due anni fa all'interno dell'Accademia dei Cantautori di Recanati (Mc), diretta da Lucia Brandoni, e fin dal loro esordio hanno ottenuto un notevole riscontro di pubblico con quasi 150 live presentati in tutta Italia.
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