di Laura Gorini - È l'ideatrice di SocialBook, Bea Marin. Un importante
progetto volto ad avvicinare tutti- giovani in primis- alla lettura.
Ma di che cosa si tratta esattemente? Ce l'ha spiegato lei stessa in
questa accattivante intervista.
Bea Marin, presentati
ai nostri lettori...
Sono una persona normale,
che ama divertirsi e ridere in compagnia e, forse per questo, che ama
i libri. Umberto Eco diceva che chi non aveva letto alcun libro,
arrivava alla vecchiaia avendo vissuto solo la propria vita. Io ne ho
già vissute molte di vite e ho intenzione di continuare a viverne.
Una volta andai a casa di Valentino Bompiani che in anticamera aveva
un grande tavolo con tutte le novità della casa editrice e mi disse
che era molto bello arrivare a casa e vedere come si muoveva il
mondo. In quel momento l’ho amato profondamente.
Come è nato
SocialBook?
Era una mia vecchia idea
che anche in Rivisteria prima, e in Che Libri poi, ho sempre portato
avanti. L’idea è che per ogni momento della vita ci sono dei libri
che ne raccontano, che leggere saggi è più “freddo” che leggere
romanzi, che la professionalità di chi ti può consigliare un libro
sta diventando sempre più rara. Allora perché non creare dei
percorsi sui grandi - o piccoli - temi che dobbiamo affrontare
tutti i giorni?
Così ho proposto l’idea
a delle biblioteche che credo siano e possano essere il soggetto
principe per la diffusione di questo eccezionale strumento che è la
lettura.
Ed è partito SocialBook.
Perchè avete scelto
questo nome?
Perché nel termine
“social” ci sta il sociale e il social. “Sociale” perché i
temi che intendiamo affrontare sono quelli che dobbiamo affrontare
nella società, “Social” perché mi riferisco a una comunità che
credo – e spero – possa diventare sempre più grande, non tanto
per aumentare il numero degli intellettuali, ma perché leggere ti
può dare degli strumenti in più nella vita, ti fa condividere e
confrontare esperienze.
Un nome in inglese, è
stata una scelta per dare un tocco di internazionalità al tutto?
Internazionale non direi,
piuttosto perché l’inglese è più comune fra i giovani che io
spero proprio di riuscire a coinvolgere, e poi perché “libro” e
“lettura”, fra molti giovani adulti odora di vecchio e solitario.
Io non la penso decisamente così, e per comunicarlo ci voleva,
credo, anche uno sforzo comunicativo nel nome.
Il Social oggi è
sempre più legato al termine Network, credi che siano davvero un
valido strumento di divulgazione non solo sociale ma anche culturale?
Credo che le due istante -
sociale e culturale - siano strettamente connesse, interdipendenti,
una non può fare a meno dell’altra. Ho sempre amato il pensiero di
Don Milani che credo ci abbia insegnato che nella cultura ci sta
l’emancipazione sociale.
Ma che cosa significa
fare cultura oggi?
Cercare di lavorare per lo
sviluppo della capacità di interpretare la realtà. Se non saremo in
grado di sviluppare ciò non saremo mai liberi. Per cultura,
naturalmente, non intendo solo libri, ma anche musica, cinema,
teatro, arte, etc. Quindi tutto ciò che ci serve per non
addormentare – e addomesticare – il cervello.
La Letteratura ha
ancora un certo peso o ha ormai perso la sua aurea?
Forse ha perso la sua
aurea e oserei dire “meno male”, purtroppo però spesso è
mescolata a letteratura-spazzatura (c’è anche quella). Vorrei
proprio che la letteratura perdesse tutta
la sua aurea e conquistasse sempre più peso, diventando un “consumo”
quotidiano, che ci serve non per essere “colti”, ma per fare più
bella la vita di tutti i giorni.
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