Al Barnum Seminteatro di Roma, il 2
dicembre andrà in scena “Avrei voluto un amico come lui - Omaggio a Rino
Gaetano” di e con David Gramiccioli. Regia di Angela Turchini. Direzione tecnica: Michele Rizzi.
Non ero mai stata in questo Teatro ed in tanti anni avevo visto poche cose del
Teatro inchiesta e devo dire che oltre ad Antonio Grosso anche David
Gramiccioli ha saputo condurre me e gli altri spettatori in un caleidoscopio di
emozioni, gioia, sorrisi, lasciando spazio a mille riflessioni. Lo fa in maniera
diretta, a volte coinvolgendo il pubblico e “costringendolo” ad aprire i
cassetti della memoria mentre cuore e mente fanno un balzo vertiginoso nel
tempo ed in alcune cose pensi “C’ero anch’io”. Gramiccioli veterano del Teatro
d’inchiesta e d’impegno civile è un grande narratore che affronta grandi temi
quasi con leggiadria ma mostrando sempre la verità dei fatti.
L’omaggio a Rino Gaetano è superlativo. Rino che aveva vissuto il suo momento
di grande celebrità nel 1978 con “Gianna” il suo pezzo più famoso ma forse
anche la sua “croce”. Aveva subito la popolarità improvvisa anche se in pochi
capivano la sua musica ma “se si facesse un’esegetica dei suoi brani,
scopriremmo un mondo”. Subì anche la mutilazione per “non urtare i piani alti”.
Rino alla fine degli anni ’70 guardava già oltre, era consapevole che i suoi
brani in futuro sarebbero stati riabilitati dalle future generazioni. Nella sua
grandezza umana e artistica fu consegnato giovane all’immortalità.
Cos’è la Compagnia del Teatro artistico d’inchiesta?
E’ stata istituita nel 2012
all’indomani del Premio Italia per i diritti umani che mi riconobbero perché
avevo fatto un’inchiesta sulla pedofilia. Da quel momento la grande passione
per il teatro divenne l’occasione per portare il nostro Teatro d’inchiesta
sociale nel luogo più sacro del racconto, il Teatro che diventa un luogo
bellissimo dove raccontare le vicende umane. Dal 2012 con “Ultima missione.
Destinazione Inferno” facciamo nascere la Compagnia del Teatro artistico
d’Inchiesta. La cosa curiosa è che all’indomani della consegna del Premio ci fu
una sovraesposizione per me, mi chiesero di raccontare la storia di Pantani o
di Agnelli e mia cognata mi chiese di raccontare la storia di Rino Gaetano.
Chiesi “Il cantautore?” Detto con molta franchezza lo conoscevo per sommi capi.
Lei rispose “Se tu facessi un’esegetica dei suoi brani, scopriresti un mondo”.
Un po’ per vocazione verso l’inchiesta, un po’
affascinato dal modo in cui mia cognata raccontò Rino, iniziai a
lavorare su quest’opera e scoprii un mondo. All’inizio quando lo portammo al
Teatro delle Muse facemmo una settimana di sold-out perché Rino è amato,
idolatrato. La famiglia non era contentissima di questo e dissero che non
sarebbero venuti perché dopo la fiction sarebbe stata un’altra porcheria su
Rino. Invece rimasero sorpresi ed adottarono la pièce come opera morale per
ricordarlo. E’ piaciuta da morire alla sorella Anna, al nipote ed il 2 giugno
siamo sempre invitati alla ricorrenza della morte di Rino. Che dire? E’ quello
che ha raccontato meglio la storia di questo Paese.
L’Italia è la Patria naturale della
Cultura e dell’Arte, secondo te perché entrambe vengono poco considerate da chi
ci governa?
Sono persone rozze, Franceschini ha quella sensibilità con la
quale osservare l’arte. Per conoscere ed apprezzare l’arte, bisogna essere
persone di una cultura umana abissale ma non di una cultura che ti fai sui
libri o cattedratica ma umana. Quando un vecchietto, nel cuore della cinta
senese mi disse “ma dove dovevano nascere i pittori più grandi della storia se
non in Toscana?” Loro aprivano la porta di casa e si lasciavano ispirare dalla
meraviglia della natura che ti aiuta a costruire un’arte meravigliosa. Il
meglio di sé l’Italia l’ha dato nell’arte. Purtroppo quelle che sono state le
origini del nostro patrimonio e che il mondo ci riconosce ancora come primato,
non sono valorizzati dai nostri politici perché mancano di cultura umana.
Con Omaggio a Rino Gaetano, fai un
excursus nella storia, partendo dalla Legge Truffa dopo la nascita della
Repubblica fino quasi ad arrivare ai giorni nostri. Negli anni 70 il braccio
armato del potere occulto e deviato era Franco Giuseppucci, il primo Capo della
banda della Magliana. Lo stesso potere oggi è rappresentato da Massimo
Carminati. Quali sono le differenze e quali le similitudini tra i due?
Carminati
rispetto a Giuseppucci ha avuto la fortuna di non morire giovane. Gli illeciti
non cambiano ma cambiano le location, i tempi, le cose ma il potere che si
serve della criminalità viaggia su quelle coordinate che sono standard. La
criminalità serviva il potere negli anni 70 e lo fa tutt’ora che siamo nel
2017, con interessi diversi, perché mentre la Banda della Magliana era la
criminalità banditesca c’era anche tutta una criminalità eversiva legata alla
politica. E’ il disordine che serve al potere per promettere l’ordine ai
cittadini.
In che modo Rino Gaetano ha segnato
un’epoca e la musica leggera?
Rino è un fuori tempo, quando era in vita
venne apprezzato per un paio di canzoni, Gianna con la quale arrivò terzo a
Sanremo del 1978.Secondo me Rino doveva vincere quell’edizione per
ricompensarlo di una grande amarezza. Lui doveva andare a Sanremo con Nun te
reggae più, cambiarono il brano ed i discografici gli dissero che avrebbe vinto
e lui rispose “Non voglio vincere è già troppa la popolarità che sto vivendo in
queste 24 h. Vinsero i Matia Bazar, al secondo posto la Oxa e terzo Rino
Gaetano. La grande popolarità gli è arrivata da Gianna, forse la canzone che
meno rappresenta la vis introspettiva, polemica, rivoluzionaria di Rino. Il
testo di Nun te reggae più venne scoperto molti anni dopo, in realtà piacque
quella musicalità, era un brano ballabile. Con la musica leggera credo c’entri
poco, Rino è un patrimonio assoluto del cantautorato italiano e se è vero che
De Andrè è stato il poeta del pentagramma, Rino ne è stato il vero rivoluzionario.
Ha cantato “Fabbricando case, Il cielo è sempre più blu, Nun te reggo più che
venne originariamente censurata, vennero tolti i nomi di Sindona, Ventriglia
che era il Capo del Banco di Napoli, di Aldo Moro, di Nino Rovelli, di Cruciani
dello scandalo Lockheed. La versione originale con la sottrazione di quei nomi,
divenne mutila per l’edizione discografica. Il ritornello “amore mio, amore
mio” inizialmente era Amoro mio, Amoro mio, anagrammando il nome di Aldo Moro e
qui sorge l’interrogativo “Perché impedirono di andare a cantare una canzone
con questo ritornello, un mese prima del sequestro? Perché forse già sapevano
tutto? Rino nella sua grandezza assoluta e nell’amara consapevolezza che può
avere solo il genio assoluto cantava “ma chi mi sente, la gente non ha acqua,
non arriva a fine mese ma chi mi sente”. Era anche consapevole che i suoi testi
sarebbero stati riabilitati dalle nuove generazioni. Oggi Rino è il cantante
più amato dai giovani e se chiedi agli storici della musica italiana perché, ti
rispondono “Perché oggi manca uno come lui”. Non è vero perché Rino era già
presente a quell’epoca, è stato presente da quarant’anni a questa parte, alla
musica ed alla società ed al costume italiano. Oggi c’è un’amplificazione della
realtà e della notizia che purtroppo mancava all’epoca. C’è internet che se
usato bene serve ma se usato in maniera smodata anche la Rete diventa un
Inferno. Rino era lui, è lui e sarà sempre lui. Rino Gaetano è morto per un
tragico, banale ed irreversibile incidente stradale. Non ci sono dietro la massoneria né i servizi
segreti anche perché questi poteri l’avevano già ucciso prima, dal punto di
vista mediatico. Rino diceva a Mogol “perché mi danno un sacco di soldi per le
ospitate televisive? Per cantare tre minuti anche in play back mi danno quanto
prende un operaio in un anno di lavoro e anche di sacrificio. Le sue canzoni in
realtà non gliele hanno mai fatte cantare. “Sfiorivano le viole” ha fatto da
sottofondo a “Certe notti” di Antonio Grosso ed è poesia ancora oggi.
Elisabetta
Ruffolo