Al
Teatro della Cometa di Roma fino al 12 novembre “La Spiaggia” di Luca De Bei
con Paola MInaccioni. Scene di Dario Dato. Costumi Lucia Mariani. Luci Marco
Laudando. Produzione erretiteatro30.
Una donna ed una spiaggia come luogo dell’anima che
ben interpreta le emozioni di Irene alla ricerca di un dialogo con il padre che
l’ha abbandonata da piccola.
Il testo è talmente poetico ed evocativo che riesce facile entrare in empatia
con le parole dell’autore e interpretare Irene, sola sulla spiaggia con una
borsa di paglia. E’ come se fosse in
una scatola di giochi. Attraversa le varie fasi della vita, l’infanzia,
l’adolescenza e poi donna e madre ma non abbandona mai la sua ricerca. Mille
stati d’animo che sono evocati da suoni, se lei è arrabbiata, si sentono i gabbiani
garrucare forte ed il mare è in tempesta. Se lei è tranquilla il mare è calmo.
Paola Minaccioni ha definito lo spettacolo senza rete, continua a studiarlo ma
con una grande vitalità. Irene va indietro nel tempo e tutti noi ci
riconosciamo nel suo senso di vuoto, di mancanza, di essere riconosciuti, di
essere ascoltati. Mille sfaccettature emozionali che la Minaccioni interpreta
straordinariamente e li rende così bene che noi tutti siamo con lei sulla
spiaggia a lanciare ciottoli che saltano sull’acqua, a parlare con il signore
in ciabatte e costume da bagno. Grande testo e grande la bravura della
Minaccioni che ha tirato fuori la sua dolcezza e ci ha reso partecipi delle sue
emozioni. Il pubblico in sala è silenzioso, ascolta attento e poi alla fine si
scioglie in un lungo applauso, tanti sono con le lacrime agli occhi.
Sono da sempre una sua fan, sono andata a vedere i
suoi spettacoli, ne sentivo parlare e Luca a un certo punto mi ha parlato di
questo testo, negli anni ci abbiamo girato intorno per una serie di motivi e
finalmente siamo riusciti a realizzare questa produzione e questo bellissimo
spettacolo.
Luca da tempo la corteggiavi
artisticamente e poi alla fine sei riuscito ad averla… Sì l’ho corteggiata!
“Per il Testo perché volevo già lavorare con lui” precisa subito Paola.
Sapevo che per “La spiaggia” ci voleva un’attrice come lei, capace di essere
sia ironica che intensa e di essere un folletto. Lei è un po’ donna, un po’
bambina, è un po’ tutto. L’altro giorno mi ha colpito perché durante lo
spettacolo, lei si trasforma in scena in una maniera così incredibile che mi
chiedo chi sia. Sono pochissime le attrici che nello spettacolo non perdono la
propria personalità. Tu l’hai definita una trasformista ma io la definisco
un’interprete, si trasforma perché entra nel personaggio. La maggior parte
delle attrici italiane hanno tutte la loro allure o la loro personalità o il
loro impegno. Non se ne dimenticano loro e non ce ne dimentichiamo neanche noi.
Quando l’ho chiesto a Paola, fino a quando non mi ha detto sì, non l’ho chiesto
a nessun altra.
Come sei riuscita ad interpretare Irene?
E’
tutte le sere una ricerca. La soluzione è scritta, nel senso che il testo è
talmente poetico, forte ed evocativo ed avendo un briciolo di sensibilità,
basta a renderti empatico con le parole dell’autore. Luca ti cura tantissimo,
mi ha costruito una scatola meravigliosa intorno, la scatola dei giochi. La
stanza è naturalmente all’aperto e sono molto protetta. E’ uno spettacolo senza
rete ed ancora oggi non so che spettacolo faccio la sera, invece quando faccio
i miei spettacoli comici oppure le commedie è anche più semplice. Riesco ad
avere una percezione molto chiara di quello che sta succedendo. In questo
spettacolo ancora studio ma è una bellissima sensazione di grande vitalità.
Un testo drammatico con molte sfaccettature emozionali. Qual è stata la più difficile?
Luca ha fatto un miracolo. Nella vita non sono un personaggio, anzi sparisco: che è un po’ la mia qualità ma anche il mio difetto. Negli anni mi sono costruita una corazza per difendermi e spesso quando devo essere rancorosa uso l’aggressività, cosa che Luca mi ha tolto ed è riuscito a farmi scoprire delle cose mie che mi sono entrate talmente dentro e adesso non ne sono neanche più cosciente. Moltissime persone che hanno visto lo spettacolo mi hanno parlato della mia dolcezza che ho sempre avuto ma non l’avevo mai mostrata. Non ho mai pensato che la dolcezza potesse essere qualcosa di efficace ma solo per una mia paura prima nella vita e poi soprattutto sul palcoscenico.
Luca ha fatto un miracolo. Nella vita non sono un personaggio, anzi sparisco: che è un po’ la mia qualità ma anche il mio difetto. Negli anni mi sono costruita una corazza per difendermi e spesso quando devo essere rancorosa uso l’aggressività, cosa che Luca mi ha tolto ed è riuscito a farmi scoprire delle cose mie che mi sono entrate talmente dentro e adesso non ne sono neanche più cosciente. Moltissime persone che hanno visto lo spettacolo mi hanno parlato della mia dolcezza che ho sempre avuto ma non l’avevo mai mostrata. Non ho mai pensato che la dolcezza potesse essere qualcosa di efficace ma solo per una mia paura prima nella vita e poi soprattutto sul palcoscenico.
Luca, perché la spiaggia come metafora
della ricerca di Irene?
La spiaggia è un luogo dell’anima, dove altro avrei potuto ambientare questa storia? Un luogo che è sempre uguale a se stesso come l’animo dei personaggi. “La terra sconosciuta” di cui parlava Schnitzler e poi perché c’è anche tantissimo della mia infanzia, la spiaggia su cui sono cresciuto da bambino e la conosco come una persona, conosco i suoi odori, i suoi sapori. Mi piaceva raccontare la storia di una donna che si riflette nel paesaggio, infatti ci sono dei momenti in cui lei è turbata ed il mare è in tempesta. Sul finale dove lei ha trovato una pacificazione con se stessa, il mare è tranquillo. Quando lei è agitata, ci sono le grida forti dei gabbiani. Come dicevo spesso nelle prove è uno sturm und drang che si ha quando il poeta trova un corrispettivo del proprio animo nella natura. Da qui, il famoso dipinto “il viandante nella nebbia” oppure una persona che sta vivendo un grande conflitto emozionale e si placa davanti ad un uragano. La spiaggia molto più di un altro luogo poteva diventare uno specchio dell’animo del personaggio.
La spiaggia è un luogo dell’anima, dove altro avrei potuto ambientare questa storia? Un luogo che è sempre uguale a se stesso come l’animo dei personaggi. “La terra sconosciuta” di cui parlava Schnitzler e poi perché c’è anche tantissimo della mia infanzia, la spiaggia su cui sono cresciuto da bambino e la conosco come una persona, conosco i suoi odori, i suoi sapori. Mi piaceva raccontare la storia di una donna che si riflette nel paesaggio, infatti ci sono dei momenti in cui lei è turbata ed il mare è in tempesta. Sul finale dove lei ha trovato una pacificazione con se stessa, il mare è tranquillo. Quando lei è agitata, ci sono le grida forti dei gabbiani. Come dicevo spesso nelle prove è uno sturm und drang che si ha quando il poeta trova un corrispettivo del proprio animo nella natura. Da qui, il famoso dipinto “il viandante nella nebbia” oppure una persona che sta vivendo un grande conflitto emozionale e si placa davanti ad un uragano. La spiaggia molto più di un altro luogo poteva diventare uno specchio dell’animo del personaggio.
Paola, nello spettacolo cosa hai portato
della tua parte bambina che ognuno di noi non abbandona mai?
Come diceva
Luca non ho una grande divisione tra la bambina e l’adulta. Ci sono io e basta.
Luca ha delle corde con le quali riesce a farmi risuonare delle cose mie o per
associazione o per esperienza diretta, il senso di vuoto, di mancanza, di
riconoscimento, essere ascoltati. Di queste cose, chi più e chi meno ne abbiamo
sofferto tutti. Alcune persone ne sono meno coscienti, altre di più ed è una
cosa che dentro di me risuona. In questo mi sento molto simile alla storia e a
Irene.
Il complimento più bello o più curioso
che avete ricevuto in camerino?
Persone commosse con gli occhi lucidi che
mi guardavano stupite dal fatto che stessi bene e loro invece ancora
assaporavano una certa emozione e mi guardavano come se ci fossimo raccontati
un segreto. Come se avessimo qualcosa in comune che prima non avevamo, un altro
tipo d’intimità. Ecco questo è un bellissimo complimento che era negli occhi e
non nelle parole.
La possibilità del monologo è unica, una forma con la quale ti puoi
permettere un linguaggio che nel rapporto a due non ti puoi permettere. Nel
monologo si stabilisce un patto tra l’attore e lo spettatore. L’attore nello
stesso tempo, interpreta e racconta. Ci si può permettere anche un linguaggio
poetico, per esempio quando Paola dice che con la sabbia si possono costruire Cattedrali,
minareti ed altro, sono termini che in un dialogo a due è difficile perché si
va più direttamente nella quotidianità. Ci sono comunque autori che hanno
scritto dialoghi bellissimi ma il monologo interiore apre delle possibilità più
ampie. Il personaggio che interpreta Paola va indietro nel tempo. E’ tutto un
lungo flash back e a volte ha delle accelerazioni verso un flash flower,
improvvisamente rivela delle cose che il pubblico avrebbe saputo in una
dimensione lineare, mezz’ora dopo. Lei invece l’anticipa. Il monologo è un suo
genere e soprattutto sono un suo grande difensore. Ne ho fatto uno bellissimo
di Vittorio Moroni “Il grande Mago”. Il monologo è teatro. Paola è talmente
brava ad evocare tutti i personaggi attorno a lei e la sera vedo la figlia, i
suoi due uomini, il padre, il signore in ciabatte e costume da bagno che si
presenta sulla spiaggia. Lei li rende concreti, vivi e non penso che il
pubblico percepisca il monologo come pesante.
Elisabetta
Ruffolo