Il 4 novembre, alla Sala Umberto di Roma “CAVEMAN. L’uomo delle caverne” interpretato
da Maurizio Colombi erede
italiano del personaggio ideato da Rob Becker, autore del testo originale,
frutto di attenti studi di sociologia, mitologia, antropologia e sociologia. Il pubblico sarà accolto dalla Cave Band,
tastiera: Davide Magnabosco, basso: Angelo di Terlizzi, chitarra: Max Zaccaro,
batteria: Americo Costantini, fiati: Marco Brioschi.
Caveman è uno spettacolo sulla coppia che riesce a
guardarsi con gli occhi degli altri. Cosa vede?
Scopre delle cose che è difficile conoscere
dall’interno. Le donne scoprono immediatamente delle risposte, gli uomini invece
ci mettono un po’ e sono i miei preferiti come pubblico. In Caveman la scoperta
di alcune dinamiche all’interno della coppia escono in maniera divertente,
comica e c’è una differenza sostanziale su come reagiscano gli uomini e su come
reagiscano le donne all’ironia. Il divertimento è esagerato, si ride subito
dall’inizio alla fine, fino alle lacrime e mentre ridono, si rendono conto
della realtà, scoprono alcune cose. Ci sono delle coppie che ormai mi scrivono
da un po’ di anni come se io fossi un terapeuta di coppia e devo spiegare che
sono solo un attore. Ho delle coppie che mi seguono da molti anni, tanto che a
Milano, lo facciamo tra i corsi prematrimoniali. Un centinaio di coppie che
vengono a chiedermi l’autografo, mi esternano i loro problemi ed io dico che
non posso esprimermi da un punto di vista professionale. E’ uno spettacolo che
non finisce mai, si è evoluto nel tempo. Ci sono coppie che l’hanno visto
tantissime volte; altre che vengono con il fidanzato vecchio, poi con quello
nuovo, poi con il marito, soprattutto al Nord. Dicono che il rapporto di coppia
sia uguale dappertutto, invece trovo una grandissima differenza a seconda del
posto dove lo faccio. Lo spettacolo è stato fatto da Lugano a Catania. L’unico
posto dove non sono stato è la Calabria.
Ogni spettatore si riconosce, si
confronta, si diverte. In quale di questi aspetti si riconosce maggiormente?
C’è un’identificazione massiccia, forte. E’ chiaro che è tutto paradossale nel
momento in cui si ritrovano nelle abitudini dell’uomo e viceversa. Si ritrovano
nell’insieme delle cose, nel finale dello spettacolo che è molto bello, alla
fine c’è un messaggio pro - coppia. Parlo della famiglia, del mondo gay, degli
ultimi uomini rimasti che sono out perché ormai il mondo è in mano alle donne ed
ai gay e l’uomo è rimasto un po’ “Coglione” in mezzo, non ha un’identità ed ha
difficoltà ad affrontare i problemi.
Cosa ti raccontano le donne che vengono a
trovarti in camerino? Di tutto di più, a volte rimango esterrefatto. Una
coppia che aveva un’edicola è venuta a chiedermi come superare la difficoltà di
stare insieme tutto il giorno. Mi hanno detto che avevano deciso di lasciarsi
per un mese ma era impossibile visto che dividevano lo stesso ambiente di
lavoro. Subito dopo hanno incominciato ad abbracciarsi, a baciarsi e a
piangere. Mi sentivo un cretino senza
competenze per risolvere i loro problemi.
Sei anche regista di Peter Pan e Rapunzel
e tanti altri spettacoli. Qual è quello che ti ha dato maggiori soddisfazioni?
Sicuramente Peter Pan è quello con cui ho vinto più premi, Il Premio Gassman,
due Biglietti d’oro, il Riccio d’Argento. Penso che Rapunzel sia stato
confezionato molto bene e mi sono auto censito perché la precisione non è il
mio forte, sono molto più bravo nel lato organizzativo. Ma devo dire che è una
macchina da guerra. Elisabetta
Ruffolo (nella foto con l'artista).