Al
Piccolo Eliseo fino al 5 novembre “Ferdinando” di Annibale Ruccello. Con Gea Martire, Chiara Baffi, Fulvio Cauteruccio, Francesco Roccasecca. Regia Nadia Baldi. Costumi Carlo Poggioli. Scenografia Luigi Ferrigno. Produzione Teatro Segreto srl.
L’obiettivo della Regista Nadia Baldi era quello di togliere l’aspetto molto
naturalistico del Teatro Ruccelliano efare una versione evocativa per
consentire ai personaggi di appartenere ad ognuno di noi e renderli moderni. La
scenografia è parte dell’obiettivo, un letto enorme troneggia al centro della
stanza ed è la stessa Donna Clotilde che sprofonda dentro, quasi risucchiata da
un abito lenzuolo che è la metafora della prigione in cui si è rinchiusa
volontariamente. Ciò al fine di esaltare il cambiamento all’arrivo del presunto
nipote che sconvolge tutto ed il letto sparisce. È un testo che mette in
risalto gli istinti umani e le sue numerose contraddizioni. L'intervista di fattitaliani.
Chi sono Clotilde e Gesualda?
Clotilde (Gea
Martire) è una baronessa borbonica che si è rifugiata in una villa, scegliendo
l’isolamento come segno di disprezzo per la nuova cultura piccolo borghese che
si va affermando dopo l’unità d’Italia. Per lei, l’italiano non serve a niente
e fondamentalmente è da non usare. Gesualda (Chiara Baffi) è una sua cugina
povera che diventa una sua cameriera. Questi due personaggi, sono un po’ il
motore di tutto il meccanismo ruccelliano perché sono portatrici di tutta una
serie di aspetti umani che all’interno di tutta l’opera sveleranno una serie di
contrapposizioni e di aspetti che ruotano un po’ su se stessi. Il. Due donne
interpretate da due attrici strepitose che sono Gea Martire e Chiara Baffi con
le quali ho fatto anche un grande lavoro, quello di togliere l’aspetto molto
naturalistico del Teatro Ruccelliano per portare tutto in una versione molto
evocativa affinché in qualche modo questi due personaggi potessero essere
appartenenti in qualche modo ad ognuno di noi ed anche molto moderni.
In
molte cose è riuscita a dare linfa vitale al testo. Una scenografia maestosa
che quasi sottolinea il dislivello tra l’aristocrazia a cui appartiene Clotilde
e la povertà di quelli che la circondano…
Anche la scenografia rientra
in questo mio criterio legato più all’evocazione che al realismo, infatti
abbiamo un letto enorme dentro al quale Clotilde sprofonda e viene inghiottita
da questo abito lenzuolo che sostanzialmente è metafora del suo ingabbiamento.
Intorno abbiamo una serie di carrucole ed oggetti che salgono e scendono
proprio per sottolineare che quella stanza è vissuta solo così e che è un po’
la prigione in cui lei si è rinchiusa. Questo per esaltare il cambiamento che
avviene quando arriva il nipote presunto che sconvolge talmente tutto, al punto
che questo letto sparisce. Ho amato il color rame che viene esaltato con le
luci e la stanza diventa ancora più maestosa rispetto a quello che in qualche
modo potrebbe sembrare. Il letto che ingabbiava Clotilde sparisce perché lei
rinasce dalle ceneri e tutta la scenografia perde di consistenza per lasciare
pienezza a questa nuova versione di Donna Clotilde.
Un
dialetto napoletano che però cela verità scomode e le rende leggiadre…
Non lo chiamerei dialetto ma lingua perché la lingua napoletana è proprio
questa, riesce a coniugare l’alto e il basso portando lo spettatore in una
dimensione emotiva più che razionale e viene incantato da questo suono che la
lingua napoletana ha insieme a tanti altri dialetti e riesce in qualche modo a
far sì che lo spettatore venga avvolto ma non portato a dover comprendere
razionalmente ma semplicemente abbandonarsi a quello che è più istintivo ed
emotivo e questo accade ogni sera.
Ipocrisia,
ambiguità e segreti in che modo sono al centro della storia?
In qualche
modo questo testo percorre tutti gli istinti umani dentro i quali poi possiamo
ritrovarci tutti perché credo che accada ad ognuno di noi percorrere delle
strade, ribaltarle a seconda degli avvenimenti e di essere anche in grande
contraddizione. Per fortuna esiste anche la contraddizione nell’essere umano ed
è chiaro che in questo testo sono molto estremizzati i concetti pur essendo
molto interessanti. Sono molto affascinata da tutto ciò che in qualche modo
riesce a parlarci anche degli aspetti più neri che ci appartengono e di cui
spesso ci vergogniamo o comunque in qualche modo teniamo da parte e che nella
maggior parte dei casi possono diventare delle frustrazioni. In questo testo
questi effetti si capovolgono nei vari personaggi e questa è stata la cosa più
interessante su cui lavorare ed è in qualche modo anche la chiave del successo
di questo testo che da tanti anni riesce a vivere. È un testo che sicuramente
si attesta come universale.
Ha
parlato di contraddizioni e possiamo fare l’esempio di Don Catellino che è un
sacerdote ma nello stesso tempo è bigotto e con le superstizioni tiene sotto
scacco l’intera popolazione.
Sicuramente lui incarna ciò che stavo
dicendo prima. È un prete ma poi al di là di quello che fa nella sua vita
pubblica, ha una vita privata completamente altra che in qualche modo diventa
la contraddizione per eccellenza.
Nadia Baldi |
Che
successo di pubblico sta avendo?
Enorme! Sono molto felice perché
quando decisi di mettere in scena Ferdinando, l’ho fatto per la prima volta
venti anni fa e me ne sono innamorata talmente tanto anche se ero molto
giovane. Oggi l’ho affrontato con grandissima serenità e con grande desiderio
di attivare una novità a questo testo
che era fermo all’edizione di Isa Danieli che è strepitosa ma credo che
qualsiasi autore sarebbe felice di essere rappresentato in maniera nuova e non
fermarsi a delle edizioni che poi i giovani non possono più vedere.
Elisabetta
Ruffolo