Il 6 settembre ai Giardini della Filarmonica
Romana nell’ambito della Rassegna I solisti del Teatro “Lettere di oppio” di Antonio Pisu. Regia di Federico
Tolardo con Tiziana Foschi e Antonio Pisu.
Fortemente voluto da Tiziana Foschi che ne ha
seguito la scrittura passo dopo passo chiedendo degli “ingredienti”.
L’autore aveva molta paura perché per il grande pubblico la Foschi è un’attrice
comica anche se in realtà è solo in Italia che esiste questa distinzione. È un
attrice a tutto campo, ha vissuto tanto di comicità con La premiata ditta e
quelle corde dell’ironia, del non abbandonarsi troppo al patetismo di una scena
le sono rimaste dentro. È stata proprio la Premiata ditta a darle la forza ed
un certo sguardo sulle cose che è sempre un po’ ironico, senza mai prendersi
troppo sul serio. Voleva però quel leggero amaro, quel leggero dolore che la fa
impazzire, essendo una grande fan di Gabriella Ferri che nella sua infanzia è
stato l’esempio di quell’amaro romano e le rimane anche da spettatrice, quando
va a vedere delle Commedie ha una gran voglia del senso dell’impalpabile che
c’è anche in Lettere di oppio, oltre ad esserci il sogno, le voci pensiero che
portano ad un montaggio molto particolare che non voleva fosse ambientato
nell’oggi ma l’Autore li ha traghettati in tempi lontanissimi ma anche molto
vicini. Fattitaliani.it ha intervistato Tiziana Foschi.
Chi è Dorothy?
Se
possiamo dirlo è una “nerd” dell’epoca che vive di questa corrispondenza con il
marito in guerra. Una guerra nata per l’egemonia del mercato dell’oppio con la
Cina. Adesso si parla di liberalizzazione, ci sono quindi dei punti di contatto
con i tempi che viviamo. Mi piaceva il contrasto tra la claustrofobia di questa
casa dove tutto rimane fermo, dove lei non accetta nessun invito ad uscire
fuori. Thomas non riesce a scavalcare quella porta che poi l’imprigiona in una
meravigliosa simbiosi. Fuori c’è una Londra che scalpita, c’è la rivoluzione
industriale, c’è il femminismo. Abbiamo voluto mettere degli input nozionistici
dell’epoca perché ci piace fare anche un lavoro di questo tipo. La scrittura è
molto curata pur lasciando sempre in sospeso, le note dell’ironia. La Regia
stupenda di Federico Tolardo che è un grande attore e che si è cimentato nella
sua prima Regia. Ci ha orchestrati tra la scelta delle musiche, tra le
coreografie dei movimenti che ha costruito. È tutto molto armonico. È
difficile parlarne quando si è dentro ma sento anche molti commenti
sull’armonia dei movimenti sulla scena e le parole che si alternano in maniera
gradevole.
Che rapporto c’è tra Dorothy e Thomas il
suo servitore?
Lei mal sopporta la
presenza di questo ragazzo (Antonio Pisu) un ingombro per lei, voluto
fortemente dal marito e nel finale scopriremo il perché della sua presenza. Ad
un certo punto i ruoli s’invertono e le prese di posizione si sfaldano. Per
quanto riguarda Dorothy, la sua durezza diventa seduzione e diventa
piccolissima, alla fine lo abbraccia. Lui che è così metodico, cerca sempre la
lotta con lei ma alla fine si scioglierà, disarmato anche dalla sua erudizione.
Comincerà la conoscenza in cui ci si perde sempre un po’ e si diventa anche un
po’ fragili perché si provano delle cose, ci si fanno più domande.
“Un po’ di cultura nella vita non nuoce”,
argomento cruciale nei nostri giorni. Che fine ha fatto la Cultura in Italia?
Non so cosa dire. A detta di molti
questo è uno spettacolo di nicchia, curato, dove si ride, si riflette, si
provano delle piccole emozioni. Ho voluto fortemente la presenza di artigiani
della scena che ogni sera rimontiamo totalmente, visto che viene devastata. Le
luci che danno una certa atmosfera, l’uso di una parola rispetto ad un’altra.
C’è il lavoro di uno scrittore che nessuno considera, tanto ormai siamo
abituati alle battute da bar e lo dico io che sono figlia di baristi. Un giorno
Maurizio Battista mi diceva “a noi che ci avemo avuto un Bar, le battute non ci
mancano” ed invece credo che in scena vada rispettato il lavoro dello
scrittore, ricercate le parole giuste. Ritornando alla domanda, veramente non
lo so, perché questo spettacolo facciamo fatica a proporlo. Mi chiedono subito
“È molto comico? La gente ride?”. È un argomento molto difficile ed anche
molto doloroso, alla mia età francamente me ne infischio perché ad un certo
punto sono stanca di lottare contro i mulini a vento. Mi dispiace molto quando
i ragazzi mi chiedono cosa fare per imparare il mio mestiere. Oggi, non ho
proprio la risposta perché mi sembra il caso che si debba sudare per lavorare.
Questa è una cosa bella. Se si cerca di evitare quel passaggio della fatica,
dell’attesa, dell’entusiasmo, non so cosa possa rimanere.
È anche vero che questa generazione vuole tutto e
subito…
Noi stiamo affrontando adesso trent’anni di
mancata erudizione, mancato sentimento, mancata passione ed attesa delle cose.
Non possiamo scaricare su di loro tutta la nostra negligenza. Abbiamo accettato
un modo di vivere, forse più facile, più comodo ma adesso sono molto duri.
“Credo che le persone debbano seguire
necessariamente il loro destino”. Pensi di averlo fatto?
Assolutamente sì.
Bevevo l’aceto, mi mettevo le gambe dietro la testa, forse volevo fare la
contorsionista o la ballerina, piuttosto che l’attrice. Poi la parola mi ha rapita e mi ha
intrappolata in un ambiente in cui tutti i cervelli in fuga possono andar via e
di miei musicisti ne ho visti tanti andar via. Io invece sono legata a questa
parola che m’intrappola in Italia. Al contempo sono molto felice perché è una
parola meravigliosa.
Cosa consiglieresti ad un giovane che
vorrebbe fare il tuo mestiere?
Come non si può consigliare un’esperienza
come il Teatro che dovrebbe essere messo nelle scuole come materia di ricerca
personale, di espressività sia del corpo che della mente, dei sentimenti, del
cuore, perché mette in ballo tutto. Poi puoi diventare o non diventare attore
però è un percorso interiore meraviglioso, è veramente un lusso, non avere la
macchina bella ma avere una bella esperienza con se stessi.
Elisabetta Ruffolo