Pubblicato dalla norvegese Losen Records, Some Place Called Where non è un disco solista con un "featuring", lo straordinario pianista di Detroit non fa da "special guest": si tratta infatti di un'opera nata da un duo, forte di un repertorio condiviso, di una comune sensibilità, della stessa visione magica e "olistica" del fare musica. Un senso di scoperta e di luminosità pervade l'intero album, con lo stesso stupore di quando Marilena vide per la prima volta Kirk dal vivo.
Il titolo dell'album proviene dall'omonimo pezzo di Wayne Shorter, scelto da Marilena insieme agli altri che compongono una scaletta profondamente sentita e condivisa con Kirk. Come dichiara David Fishel nelle note di copertina, «Portrait (Charles Mingus), Little Waltz (Ron Carter) e Like A Lover (Dori Caymmi) sono un buon esempio di questa musica scelta per profondità e sincerità, Fresh Air è un brano di Kirk che rappresenta bene il dialogo tra i due, Kirk ci regala anche un solo di flauto incantevole e lirico. Il suono complessivo è molto più pieno di quanto si possa aspettare da un duo, con la progressiva gamma armonica di Kirk e la qualità del tocco, quasi da accompagnamento orchestrale. Ma è l'intimità dell'interazione tra i due che più colpisce».
Some Place Called Where contiene otto brani meno noti, un "repertorio di nicchia" utile però all'espressività diretta, immediata e toccante di Marilena e Kirk, che in soli quaranta minuti trasportano il loro mondo: quello dell'improvvisazione, degli studi in India, della voce come strumento per la Paradisi, quello degli anni passati con Chet Baker, Dexter Gordon, Pharoah Sanders e Lester Bowie, ma anche dell'amore per la musica classica, per Lightsey.
Una conversazione con MARILENA PARADISI
Ricerche,
scoperte, luoghi, sensazioni: i tuoi dischi ci hanno sempre abituato
a delle sorprese. Dopo una parte significativa della tua storia
dedicata alla musica contemporanea e all’improvvisazione totale, si
materializza il jazz con un progetto affascinante, in duo con il
grande Kirk Lightsey. È un ritorno alla prima fase della tua
attività o qualcosa di nuovo?
Spero
vivamente che sia qualcosa di nuovo, spero sempre in un
miglioramento, in un divenire. Dopo una lunga fase dedicata
all’improvvisazione totale, alla ricerca e al rapporto col “suono”
sviscerato in ben quattro album, ognuno con una particolarità come
improvvisazione sulle immagini, la dialettica col silenzio,
l’improvvisazione del testo, la dialettica con la risonanza, è
come se sentissi di aver concluso un grande capitolo della mia
storia, e ho sentito l’esigenza di tornare ad ”interpretare”, a
cercare di raccontare storie attraverso l’uso della parola, e in
questo senso sì, forse è un ritorno ai miei primi tre album. Ma
sono passati anni, sono accadute così tante cose che sicuramente ora
sento una differente maturità, un differente approccio alla musica e
ai testi, inoltre sento che la mia voce è molto cambiata.
Sarebbe
facile rispondere “Perché è un gigante”, ma noi vogliamo altro
da te: perché hai scelto Kirk Lightsey?
Kirk
è un musicista che ho avuto la fortuna di ascoltare live, varie
volte e con differenti formazioni, e sono sempre rimasta colpita e
affascinata dal suo pianismo, dal suo stile, oltre che dalla sua
energia e vitalità vulcaniche. È un polistrumentista. Suona oltre
al pianoforte, il flauto e il violoncello. Ha uno stile
inconfondibile e anche una scelta armonica che si rifà molto più
alla musica classica che al jazz vero e proprio, “jazz” è una
parola che lui stesso non riconosce. Per lui esiste una musica
“magica” oppure non è musica!
Ecco
lui cerca costantemente la magia quando suona, e ti invita a
cercarla anche in te. Poche note e crea subito un’atmosfera, fa
delle scelte armoniche davvero inusuali che ti portano sempre a
nuova ispirazione.
Credo
sia importante sottolineare che la sua presenza non è un semplice
“featuring”: Some
Place Called Where
è il lavoro di una coppia.
Più
che un lavoro di coppia è una formazione “duo”, un mio progetto
che poi nello sviluppo e nella riuscita è stato naturalmente
riconosciuto da entrambi, peraltro senza troppe formalità. Se la
musica funziona, questo è veramente importante.
A
proposito dell’ultimo brano Fresh
Air,
quello scritto da Kirk, ci racconti com’è nato?
Fresh
Air
è un brano che Lightsey aveva già scritto, un brano in 6/8 la cui
melodia è stata da lui scritta e pensata per flauto, e che lui mi ha
proposto chiedendomi di provare a metterci le parole! “Sarebbe
bello se riesci a cantarla!”, mi ha detto… E così ho accettato
la sfida ed è nata questa nuova versione, che io canto in tonalità
originale, dove alla fine Lightsey sovraincide, regalandoci un
bellissimo assolo di flauto.
Prima
di Fresh
Air,
il pezzo di chiusura, ci sette brani importanti, una sorta di
carrellata sul mondo del jazz classico e contemporaneo, da Mingus a
Shorter passando per Mal Waldron e Ron Carter. In base a quale
criterio li avete scelti?
Tutto
il repertorio è stato scelto da me, nel senso che sono stata io a
proporre a Lightsey una dozzina di brani tra quelli che più amavo
cantare, scelta che lui ha apprezzato moltissimo. Ovviamente poi
abbiamo scelto quelli che ci sembravano perfetti per la formazione
duo piano-voce. In particolare sottolineo che Lightsey non
conosceva il brano di Shorter che da il titolo al cd, ne è rimasto
folgorato. È lui che ha voluto che fosse il titolo dell’album!
Poteva
essere più agevole scegliere brani dai dischi di Kirk con Chet
Baker, Clifford Jordan, Dexter Gordon, i Leaders e i tanti altri
giganti con cui ha suonato, invece è un repertorio meno noto…
Indubbiamente,
sono brani forse poco sentiti, un repertorio di nicchia che io avevo
già ascoltato in cd che amo, per esempio Little
Waltz
nel cd Duets
di Helen Merrill e Ron Carter, oppure Soul
Eyes,
interpretato da Jeanne Lee e Mal Waldron, il Some
other time
suonato da Bill Evans o il brano di Shorter da un suo cd del 1988
Joy
Rider.
Un altro tipo di scelta poteva essere più agevole ma invece, in
realtà, la cosa che Kirk ha apprezzato di più è stata la scelta
del repertorio abbastanza inusuale anche per lui.
Avete
registrato a Roma lo scorso maggio: toccata e fuga in studio o c’è
stato un lavoro preparatorio?
Intanto
già riuscire ad incontrare un musicista del genere, impegnato sempre
in tour in giro per il mondo, è abbastanza una “coincidenza
astrale”… Le decisioni ruotano sempre intorno alle
disponibilità, ai giorni liberi, per cui da questo punto di vista è
sempre una toccata e fuga! Non hai modo di avere tanti giorni di
prove insieme, ci devi lavorare da sola e arrivare con le idee ben
chiare ma con una mente aperta a tutto. Ecco, questo è il giusto
approccio. Quindi il progetto è stato deciso a metà aprile e
preparato, da me, in un mese. Poi chiaramente tutto quello che avevi
in mente, tutte le certezze, saranno puntualmente azzerate, e il
bello è questo, che il brano viene ricreato da capo, nel momento in
cui sei in rapporto e tutto diventa nuovo. Esperienza musicalmente
ineguagliabile.
Cosa
hai trovato di diverso e di unico nel pianismo di Kirk? Cosa pensi
abbia trovato lui di speciale nella tua voce?
Sicuramente
la ricerca delle atmosfere, della magia, della poesia, ma volendo
approfondire nel concreto del lavoro svolto insieme, posso dire che
non è certamente un pianista “facile”, ti propone una sfida
continua ad innalzare i tuoi limiti, sia nelle scelte armoniche che
più propriamente nella narrazione. Pretende tantissimo, vuole che
vai a fondo, devi stare sempre nella musica. E quello che più mi ha
colpito è l’umiltà nel cercare sempre qualcosa di vero e di
onestamente estemporaneo, mai qualcosa di precostituito ma direi
semplice nella sua bellezza.
Cosa
credo abbia trovato lui in me? Non saprei, non è un musicista che
ti fa i complimenti! Ma so per certo, dal risultato, che il mio modo
di esprimermi su questo repertorio lo ha convinto molto.
Hai
avuto modo di studiare Scelsi con Michiko Hirayama, hai praticato
improvvisazione totale e musica contemporanea: quanto c’è di
questo percorso in Some
Place Called Where?
Domanda
difficilissima… Quello che ho preso dalla Hirayama e dalla mia
esperienza diciamo contemporanea è incommensurabile, so che è nelle
mie corde più profonde e che ha cambiato tantissimo il mio modo di
cantare ma soprattutto il mio modo di pensare la musica e il mio
rapporto ancora più viscerale col mio strumento voce. Sicuramente in
Some
Place Called Where
c’è tutta la mia esperienza precedente anche se trasformata, una
essenzialità che cerco da sempre, poi ridurre al minimo, togliere i
fronzoli, andare all’essenziale di quello che voglio esprimere.
Questo
nuovo disco avrà uno sviluppo live? Potremo vedere te e Kirk dal
vivo?
Assolutamente
sì, ci stiamo lavorando, molto presto tutte le novità.
Alcune
domande a Kirk Lightsey:
Mister
Lightsey, cosa pensa di questo progetto in duo con Marilena Paradisi
e della scelta del repertorio?
È
un progetto davvero speciale per me perché suonare in duo e con
questa scelta di repertorio mi fa trovare un suono orchestrale dal
pianoforte che è molto importante per me. La scelta dei brani mi ha
molto colpito, un repertorio magico e futuristico, come in Some
Place Called Where,
la canzone di Shorter che non conoscevo e che mi è davvero piaciuto
suonare. Trovare in quella musica il suono di suspense, mistero,
senso di spazio infinito, affetti e sentimenti è importante per il
mio feeling nella musica. Mi piace suonare in formazione duo perché
è una sfida per cercare cose profonde, e mi piace farlo con una
cantante come Marilena. Questo repertorio mi dà molta gioia.
Cosa
ha trovato di peculiare nella voce di Marilena Paradisi e nel suo
modo di cantare?
Marilena
ha una voce molto speciale e con molto talento, potrei dire
tecnicamente per il suo particolare timbro, per intonazione,
musicalità, flessibilità, espressività e il suo stare sul tempo,
ma in una sola parola è "molto artistica", e con questo
intendo dire che è in grado di cantare profondamente i suoi
sentimenti e per questo è espressiva e perfetta per questo
repertorio. E quando riascolto il cd, penso che se avessimo avuto più
tempo per lavorare insieme il progetto sarebbe stato ancora più
grande di quello che è.
Ci
racconta la composizione di Fresh
Air
che conclude l'album?
Scrissi
Fresh
Air
nei primi anni '70, forse 71-72, per il duo pianoforte e flauto. È
stata registrata diverse volte, forse la mia versione preferita è
stata la prima volta che ho registrato suonando sia il flauto che
il pianoforte. La mia seconda registrazione preferita è l'album trio
con Steve Watts e David Wickins intitolato If
You Are Not Having Fun by Now.
Questa con le parole scritte da Marilena è una nuova e molto
speciale versione della mia vecchia canzone, perfetta con il testo
che ha scritto. Sono molto felice di questo progetto con Marilena
Paradisi.