Fattitaliani e la Disabilità. Intervista al Commendatore Giuseppe Trieste, Presidente Nazionale di “FIABA”

La disabilità è la condizione di chi, in seguito a una o più menomazioni, ha una ridotta capacità d'interazione con l'ambiente sociale rispetto a ciò che è considerata la norma. Precisiamo che il campo è molto ampio, non entriamo nei vari settori e nelle legiferazioni che li regolamentano, ma l’intervista mira ad informare e, possibilmente a spiegare dei concetti di massima che talvolta sono poco chiari.

A partire dagli anni settanta del XX secolo, ha preso corpo un'azione di rinnovamento dei servizi e degli interventi a favore del disabile[1]. Il cosiddetto ”processo d'inserimento dei portatori di handicap”.
Oggi siamo dinanzi al Presidente di FIABA, IL Commendatore Giuseppe Trieste di Reggio Calabria. È Presidente in carica di FIABA Onlus. Ha un brillante trascorso nello sport con la partecipazione a tre Paralimpicii 1972-76-80 in cui conquista tre medaglie d’oro e tre di bronzo. Cofondatore dello Sport per disabili, nel 1983 costituisce ANTHAI che presiede per i successivi 20 anni. Nel 2000 costituisce FIABA Onlus, organizzazione non lucrativa di utilità sociale che si dedica alla missione di promuovere la fruibilità universale e la progettazione di ambienti ad accessibilità totale, secondo i principi dell’Universal Design, per una piena integrazione sociale e per le pari opportunità. Membro dell’Osservatorio Nazione sulla condizione delle persone con disabilità, è stato nominato componente della Consulta delle Associazioni dell’Osservatorio permanente per l’integrazione degli alunni con disabilità del MIUR e del Comitato per la promozione e il turismo accessibile del Ministero dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo. Nel 2013 ha ricevuto il conferimento dell’Onorificenza  di Grande Ufficiale al Merito della Repubblica. Oltre al Presidente noi vogliamo che emerga anche l’uomo.
Ci racconta perché lo vediamo in carrozzina?
-Ad 11 anni ero un bambino giocherellone. Prima di cadere da quell’albero l’ho scalato in tutti i modi possibili. E ora eccomi a “scalare” la vita.
Cosa l’ha spinto a creare FIABA?
-FIABA nasce da una esigenza che avevamo sentito fin dagli anni ’80. Dopo che il mondo aveva “scoperto” le persone con disabilità, le aveva relegate in una società a parte che era divisa in persona con disabilità/normodotati. FIABA è nata per invertire questa tendenza e integrare tutte le persone.
Quanto ha faticato a trovare il suo equilibrio interiore? Glielo chiedo perché si tende sempre più spesso a parlare di disabilità soltanto dal punto di vista della sofferenza e della “diversità”, il che riempie le menti di pregiudizi, a volte stupidi, a volte restrittivi.
-Credo che le persone in generale più prove dure sono costrette a superare, di più devono tirar fuori la propria forza interiore. Alcuni si crogiolano nel dolore, ma la maggior parte è costretta a vincere le difficoltà. Lo sport è uno dei mezzi che allenano l’essere umano a sviluppare energie suppletive: sacrificio, sfide e allenamento sono la gavetta per la felicità.
Ci spiega in poche parole perché la maggior parte delle persone disabili, oltre ad essere diverse per la società sono i primi a sentirsi “disabili” nella concezione omologatrice del termine?
  • Le persone con disabilità che per prime evidenziano il loro status solo le stesse che nella vita a prescindere dalla loro condizione di disabilità si sarebbero nascoste dietro mille altre scusanti per sottolineare la propria “sfortuna”.
Il campo dell’handicap è molto vasto, ci può sintetizzare le macrocategorie in cui si può suddividere?
-La classificazione delle disabilità del modello del 1980 (menomazione – disabilità – handicap) è stata completamente rivista dall’organizzazione mondiale della sanità nel 2001. La stessa terminologia usata è indice di questo cambiamento di prospettiva, in quanto ai termini di menomazione, disabilità ed handicap (che attestavano un approccio essenzialmente medicalista) si sostituiscono i termini di Strutture Corporee, Attività e Partecipazione, per sottolineare quello che la persona può fare nella società.
Le parole, menomazione, handicap e disabilità indicano uno stato di disagio ma, nello stesso tempo, ne fanno la differenza . Ce ne parla?
-Rimando alla classificazione dell’Organizzazione Mondiale della Sanità di cui sopra. Nell'ICIDH (1980) il punto di partenza è sempre lo stato morboso, il rinnovamento culturale parte da questo cambio di prospettiva, che stiamo cercando di comunicare al mondo dell’informazione italiano attraverso la nostra proposta di revisione della deontologia professionale giornalistica sulle disabilità, attualmente in fase istruttoria al CNoG.
Le normative vigenti tutelano sufficientemente oggi un portatore di Handicap?
-Le leggi esistenti attualmente a livello nazionale, europeo e internazionale possono sempre essere migliorate, ma come in tutti i campi dell’essere umano se non sono rispettate e messe in pratica non valgono nulla.
Le barriere architettoniche sono ancora un impedimento per un disabile a raggiungere la sua”normalità”?
-Per una persona con disabilità le barriere architettoniche sono sicuramente un dramma, ma sono quelle culturali la vera tragedia. D’altronde tutte le barriere sono figlie delle barriere culturali.
L’integrazione del portatore di handicap nelle varie realtà sociali è possibile? C’è ancora discriminazione?
-Le persone con disabilità saranno sempre soggette a discriminazione, come tutti gli altri. Purtroppo la paura della diversità è una condizione intrinseca dell’essere umano.
Il portatore di handicap viene definito oggi “diversamente abile”. E’ una definizione corretta e, se lo è, si può applicare ad ogni tipo di handicap?
-No, non lo è. Ed è una anomalia tutta italiana: nella Convenzione Internazionale dei diritti delle Persone con Disabilità non viene citato una sola volta la parola handicap e il corrispettivo inglese differently-abled è stato sostanzialmente soppresso. Sono termini nati in un periodo storico dove si utilizzava comunemente storpio, invalido, matto: chiaramente sono stati presi come liberatori. Handicap inoltre ha avuto la fortuna di essere un forestierismo che per descrivere sfere socialmente delicate sono deus ex machina che ci sollevano dal giudizio su quello che stiamo dicendo (es. gay).
Tutti abbiamo dei limiti ma non tutti siamo limitati. La sua interpretazione di questa frase.
-Per l’essere umano non esistono limiti. I limiti sono quelli che noi ci poniamo con la nostra mente perché inconsciamente non vogliamo fare delle cose.
Un’ultima domanda: se domani mattina una ragazza di 15 anni dovesse passare in motorino in una strada qualunque nella sua andatura di cinquanta all’ora, dovesse essere investita da un’automobile e rimanesse in sedia a rotelle che cosa le direbbe?
-Per qualunque persona subisce un trauma o un incidente o una malattia è estremamente importante l’affiancamento psicologico per riuscire a metabolizzare il danno ricevuto. In ogni caso la ragazza avrà comunque mille modi per affermare la propria personalità: nel lavoro, nelle relazioni e nella vita sociale quotidiana. Ci sono un’infinità di esempi di giovani che si trovano ad affrontare una vita con la disabilità: sono da prendere a modello per coloro che sono annoiati dalla vita facile o sono psicologicamente deboli.

Possiamo concludere che camminare è spostarsi da un posto ad un altro. Non importa se si usano due gambe o quattro ruote, l’importante è muoversi. Ci sono tante persone, dette normali, che non riescono ad andare lontano, pur avendone i presupposti biologici. Grazie Commendatore Trieste, per tutto il suo incessante impegno, finalizzato alla conquista di consensi, norme che tutelino le persone per poter vivere una vita normale e i loro diritti. Noi tutti ricordiamoci che invece di commuoverci dinanzi alla disabilità, possiamo essere più utili se facciamo qualcosa di concreto che rispetti “la loro normalità”. 
Caterina Guttadauro La Brasca
Fattitaliani

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