La
disabilità
è la condizione di chi, in seguito a una o più menomazioni, ha una
ridotta capacità d'interazione con l'ambiente sociale rispetto a ciò
che è considerata la norma. Precisiamo che il campo è molto ampio,
non entriamo nei vari settori e nelle legiferazioni che li
regolamentano, ma l’intervista mira ad informare e, possibilmente a
spiegare dei concetti di massima che talvolta sono poco chiari.
A
partire dagli anni
settanta
del XX
secolo,
ha preso corpo un'azione di rinnovamento dei servizi e degli
interventi a favore del disabile[1].
Il cosiddetto ”processo
d'inserimento dei portatori di handicap”.
Oggi
siamo dinanzi al Presidente di FIABA, IL Commendatore Giuseppe
Trieste di Reggio Calabria. È Presidente in carica di FIABA Onlus.
Ha un brillante trascorso nello sport con la partecipazione a tre
Paralimpicii 1972-76-80 in cui conquista tre medaglie d’oro e tre
di bronzo. Cofondatore dello Sport per disabili, nel 1983 costituisce
ANTHAI che presiede per i successivi 20 anni. Nel 2000 costituisce
FIABA Onlus, organizzazione non lucrativa di utilità sociale che si
dedica alla missione di promuovere la fruibilità universale e la
progettazione di ambienti ad accessibilità totale, secondo i
principi dell’Universal Design, per una piena integrazione sociale
e per le pari opportunità. Membro dell’Osservatorio Nazione sulla
condizione delle persone con disabilità, è stato nominato
componente della Consulta delle Associazioni dell’Osservatorio
permanente per l’integrazione degli alunni con disabilità del MIUR
e del Comitato per la promozione e il turismo accessibile del
Ministero dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo. Nel
2013 ha ricevuto il conferimento dell’Onorificenza di Grande
Ufficiale al Merito della Repubblica. Oltre al Presidente noi
vogliamo che emerga anche l’uomo.
Ci
racconta perché lo vediamo in carrozzina?
-Ad
11 anni ero un bambino giocherellone. Prima di cadere da quell’albero
l’ho scalato in tutti i modi possibili. E ora eccomi a “scalare”
la vita.
Cosa
l’ha spinto a creare FIABA?
-FIABA
nasce da una esigenza che avevamo sentito fin dagli anni ’80. Dopo
che il mondo aveva “scoperto” le persone con disabilità, le
aveva relegate in una società a parte che era divisa in persona con
disabilità/normodotati. FIABA è nata per invertire questa tendenza
e integrare tutte le persone.
Quanto
ha faticato a trovare il suo equilibrio interiore?
Glielo chiedo perché si tende sempre più spesso a parlare di
disabilità soltanto dal punto di vista della sofferenza e della
“diversità”, il che riempie le menti di pregiudizi, a volte
stupidi, a volte restrittivi.
-Credo
che le persone in generale più prove dure sono costrette a superare,
di più devono tirar fuori la propria forza interiore. Alcuni si
crogiolano nel dolore, ma la maggior parte è costretta a vincere le
difficoltà. Lo sport è uno dei mezzi che allenano l’essere umano
a sviluppare energie suppletive: sacrificio, sfide e allenamento sono
la gavetta per la felicità.
Ci
spiega in poche parole perché la maggior parte delle persone
disabili, oltre ad essere diverse per la società sono i primi a
sentirsi “disabili” nella concezione omologatrice del termine?
- Le persone con disabilità che per prime evidenziano il loro status solo le stesse che nella vita a prescindere dalla loro condizione di disabilità si sarebbero nascoste dietro mille altre scusanti per sottolineare la propria “sfortuna”.
Il
campo dell’handicap è molto vasto, ci può sintetizzare le
macrocategorie in cui si può suddividere?
-La
classificazione delle disabilità del modello del 1980 (menomazione –
disabilità – handicap) è stata completamente rivista
dall’organizzazione mondiale della sanità nel 2001. La stessa
terminologia usata è indice di questo cambiamento di prospettiva, in
quanto ai termini di menomazione, disabilità ed handicap (che
attestavano un approccio essenzialmente medicalista) si sostituiscono
i termini di Strutture Corporee, Attività e Partecipazione, per
sottolineare quello che la persona può fare nella società.
Le
parole, menomazione, handicap e disabilità indicano uno stato di
disagio ma, nello stesso tempo, ne fanno la differenza . Ce ne parla?
-Rimando
alla classificazione dell’Organizzazione Mondiale della Sanità di
cui sopra. Nell'ICIDH (1980) il punto di partenza è sempre lo stato
morboso, il rinnovamento culturale parte da questo cambio di
prospettiva, che stiamo cercando di comunicare al mondo
dell’informazione italiano attraverso la nostra proposta di
revisione della deontologia professionale giornalistica sulle
disabilità, attualmente in fase istruttoria al CNoG.
Le
normative vigenti tutelano sufficientemente oggi un portatore di
Handicap?
-Le
leggi esistenti attualmente a livello nazionale, europeo e
internazionale possono sempre essere migliorate, ma come in tutti i
campi dell’essere umano se non sono rispettate e messe in pratica
non valgono nulla.
Le
barriere architettoniche sono ancora un impedimento per un disabile a
raggiungere la sua”normalità”?
-Per
una persona con disabilità le barriere architettoniche sono
sicuramente un dramma, ma sono quelle culturali la vera tragedia.
D’altronde tutte le barriere sono figlie delle barriere culturali.
L’integrazione
del portatore di handicap nelle varie realtà sociali è possibile?
C’è ancora discriminazione?
-Le
persone con disabilità saranno sempre soggette a discriminazione,
come tutti gli altri. Purtroppo la paura della diversità è una
condizione intrinseca dell’essere umano.
Il
portatore di handicap viene definito oggi “diversamente abile”.
E’ una definizione corretta e, se lo è, si può applicare ad ogni
tipo di handicap?
-No,
non lo è. Ed è una anomalia tutta italiana: nella Convenzione
Internazionale dei diritti delle Persone con Disabilità non viene
citato una sola volta la parola handicap e il corrispettivo inglese
differently-abled è stato sostanzialmente soppresso. Sono termini
nati in un periodo storico dove si utilizzava comunemente storpio,
invalido, matto: chiaramente sono stati presi come liberatori.
Handicap inoltre ha avuto la fortuna di essere un forestierismo che
per descrivere sfere socialmente delicate sono deus ex machina che ci
sollevano dal giudizio su quello che stiamo dicendo (es. gay).
Tutti
abbiamo dei limiti ma non tutti siamo limitati. La sua
interpretazione di questa frase.
-Per
l’essere umano non esistono limiti. I limiti sono quelli che noi ci
poniamo con la nostra mente perché inconsciamente non vogliamo fare
delle cose.
Un’ultima
domanda: se domani mattina una ragazza di 15 anni dovesse passare in
motorino in una strada qualunque nella sua andatura di cinquanta
all’ora, dovesse essere investita da un’automobile e rimanesse in
sedia a rotelle che cosa le direbbe?
-Per
qualunque persona subisce un trauma o un incidente o una malattia è
estremamente importante l’affiancamento psicologico per riuscire a
metabolizzare il danno ricevuto. In ogni caso la ragazza avrà
comunque mille modi per affermare la propria personalità: nel
lavoro, nelle relazioni e nella vita sociale quotidiana. Ci sono
un’infinità di esempi di giovani che si trovano ad affrontare una
vita con la disabilità: sono da prendere a modello per coloro che
sono annoiati dalla vita facile o sono psicologicamente deboli.
Possiamo
concludere che camminare è spostarsi da un posto ad un altro. Non
importa se si usano due gambe o quattro ruote, l’importante è
muoversi. Ci sono tante persone, dette normali, che non riescono ad
andare lontano, pur avendone i presupposti biologici. Grazie
Commendatore Trieste, per tutto il suo incessante impegno,
finalizzato alla conquista di consensi, norme che tutelino le persone
per poter vivere una vita normale e i loro diritti. Noi tutti
ricordiamoci che invece di commuoverci dinanzi alla disabilità,
possiamo essere più utili se facciamo qualcosa di concreto che
rispetti “la loro normalità”.
Caterina Guttadauro La Brasca