Interessante
e reale analisi della situazione economica italiana, letta da un
punto di vista oggettivo e da una prospettiva internazionale, spoglia
da qualsiasi inquisizione governativa italica e priva di elementi
propagandistici provinciali oramai usuali della stampa nostrana
succube del regime finanziario di stato inquinato da interessi
lobbystici e campanilistici.
Finalmente un osservatore compente e
schietto che dall’alto della grande autorità internazionale che ha
maturato in tutto il mondo che conta veramente nell’economia
globale, delinea un profilo economico-finanziario oggi assolutamente
disastroso, che classifica l’Italia all’ultimo posto in Europa,
poco prima della Grecia.
È
vero quello che recentemente ha detto pubblicamente il Governatore
della B.C.E. Mario Draghi che siamo fuori dalla crisi economica e in
Europa la crescita sta lentamente riprendendo. Ma Draghi non ha detto
che questa ripresa non riguarda affatto l’Italia, impantanata da
anni in una situazione di stallo e di lento ma inesorabile declino
economico e finanziario. È vero che l’Europa in questo momento ha
una crescita trimestrale intorno allo 0,5%, che lascia prevedere una
crescita annuale di circa il 2%. Un ritmo assolutamente sostenibile e
incoraggiante. Dagli osservatori italiani e dalla stampa economica
italiana, non viene però detto che ci sono due eccezioni in questa
crescita europea: l’Italia e la Grecia. Sono analisi che i
cittadini e le imprese italiane non conoscono, e che di fatto
cristallizzano la posizione dell’Italia come il Pese europeo meno
affidabile e meno interessante economicamente per eventuali
finanziamenti esteri e per i più importanti investimenti sul
territorio italiano. Nello scacchiere europeo, l’Italia, insieme
alla Grecia, sono gli anelli più deboli, prossimi alla rottura; di
fatto rappresentano un reale rischio per l’intero sistema economico
europeo: anche questa grande verità, gli attuali governanti la
nascondo con maestria mediatica a tutti gli italiani.
Si
nasconde inoltre che il debito pubblico italiano negli ultimi anni,
ed in particolare negli ultimi 4-5 anni, è aumentato
spropositatamente, superando il 130% del PIL. A questo debito si
aggiunge poi un altro debito, quello dello Stato Italiano, con le sue
differenti istituzioni sparse sul territorio (Ministeri, Regioni,
Comuni, Provincie, Aziende Pubbliche, etc…), nei confronti delle
aziende private che hanno realizzato opere o fornito servizi a
seguito di bandi pubblici: un debito che gli analisti stimano intorno
ai 100 miliardi di Euro.
Infine,
altro dato oggettivo, è quello relativo al reddito medio italiano
che è il più basso dall’anno duemila, con un potere d’acquisto
di molto interiore a quello di vent’anni fa. Il più basso, insieme
alla Grecia, di tutti i Paesi dell’Unione Europea.
Dati
questi assolutamente oggettivi che sanciscono l’inevitabile
affossamento dell’Italia nella scena internazionale; Italia che a
questo punto avrà scarsissime possibilità di ripresa, anche perché
sembra chiaro a tutti i cittadini che la classe dirigente, sia
politica che istituzionale che imprenditoriale, non è prossima al
cambiamento in tempi brevi, e i danni economici e finanziari che
verranno fatti dall’attuale classe dirigente e di governo, saranno
impossibili da recuperare per i prossimi vent’anni da qualsiasi
nuovo governo.
Ci
sono dei fattori strutturali che impediscono al Paese Italia di
crescere e di competere a livello europeo e internazionale, di creare
veri posti di lavoro duraturi. La reale produttività non esiste, e
quando c’è, non è paragonabile a quella dei Paesi in forte
crescita economica e con una produttività tangibile e significativa.
Anche in questo caso, la produttività del nostro Paese è oggi più
bassa che vent’anni fa: un caso unico in tutto il mondo
occidentale. A questo si aggiunge che l’introduzione della più
moderna tecnologia nei sistemi produttivi italiani, è inadeguata e
scarsamente concorrenziale con i nostri competitor e con le
multinazionali straniere. Questa deficienza del sistema produttivo
italiano è quasi sempre responsabilità del management geriatrico
del nostro paese, anche se mai riconosciuto dagli analisti italiani o
dai nostri governi che non hanno la capacità e la perspicacia di
cogliere questi segnali così chiari e lapalissiani a tutti gli
osservatori extra-nazionali. Si parla sempre di “riforme” (che
non arrivano mai!), ma nessun politico o governante italiano parla
del “Fattore Umano”. È il patrimonio umano, il cosiddetto
“fattore umano” appunto, il “management” se vogliamo
utilizzare un termine anglosassone, che fa la reale differenza in
tutti i Paesi che oggi crescono e si sviluppano con poderosa energia.
Questa
situazione alimenta fortemente la tentazione di mollare tutto e
lasciare l’Italia per sempre, e andare nei Paesi esteri realmente
in crescita e realmente produttivi, per crearsi un futuro e per
realizzare i propri sogni professionali e imprenditoriali. In realtà
oggi l’Italia è un Paese per vecchi, un sistema di potere
geriatrico incontrastabile e sordo a tutto quello che accade nel
mondo economico internazionale; un sistema di potere gestito a tutti
i livelli da personaggi over 65, nell’età cronologica o nell’età
mentale, che alimenta solo sé stesso, incurante del destino del
nostro Paese che tutti i più importati osservatori al mondo vedono
oggi come segnato dai peggiori presagi. Le riforme
econimico-finaziarie, lo snellimento della burocrazia per favorire le
start-up e le piccole e medie imprese, l’accesso al credito in
linea con i paesi in grande crescita economica e imprenditoriale,
l’allentamento della pressione fiscale e dell’azione vessatoria
agita dalle agenzie di stato per le entrate, la riduzione del costo
del lavoro, sono tutte riforme promesse in campagna elettorale ma mai
realizzate dai governi che si sono succeduti negli ultimi
cinque-dieci anni.
A
questo si aggiunge che le nostre migliori intelligenze non hanno
alcuna possibilità di entrare nell’élite dirigenziale dei vari
organi dello stato italiano, ma spesso anche nelle nostre più
importanti multinazionali private o a partecipazione statale, perché
culturalmente si preferisce al giovane intelligente, competente e
capace, il giovane ossequioso, modesto e fedele. Nessuna grande
dirigente italiano, sia del pubblico che del privato, assume un
giovane più in gamba e più intelligente di lui, proprio perché il
timore è quello di perdere il proprio potere e i propri privilegi.
Alla classe dirigente italiana non interessa formare la migliore
squadra di collaboratori per competere con i più importanti e
potenti stakeholder internazionali; non interessa importare la
migliore tecnologia esistente al mondo per migliorare la produttività
e l’efficienza del sistema economico e imprenditoriale italiano,
anche quando i segnali che arrivano dal mercato sono chiari e
inequivocabili; l’unico interesse è quello di mantenere la propria
posizione e il proprio potere personale anche a danno dell’impresa
o dell’istituzione per la quale si ricopre quell’importante
incarico.
Di
fatto il nostro Paese è governato da una classe dirigente obsoleta,
spesso con un forte analfabetismo idiomatico e informatico, con una
mentalità forse adeguata al XX o al XIX secolo, non più al passo
coi tempi moderni, spesso corrotta, e priva di qualsiasi scrupolo.
Brevi
note biografiche sull’autore:
Lorenzo
Bini Smaghi nasce a Firenze nel 1956. È uno dei più importanti e
influenti economisti del mondo. Dal mese di gennaio 2015 è
Amministratore Delegato della Societè
Générale,
la più prestigiosa e influente banca e società finanziaria
multinazionale francese; e Presidente della Italgas.
Visiting Professor presso la prestigiosa Scholar
at Harvard's Weatherhead Center for International Affairs e
Ricercatore Senior presso l’Istituto
Affari Internazionali
di Roma. Bini Smaghi, dal giugno 2005 a novembre 2011, è stato
componente dell’Executive
Board of the European Central Bank. Presso
la Banca
Centrale Europea (B.C.E.) Executive Board
è stato responsabile delle relazioni internazionali ed europee,
responsabile del dipartimento legale e dell’amministrazione della
B.C.E., e responsabile della creazione di un nuovo rapporto per la
B.C.E. con il Frankfurt
Grossmarkthalle
(mercato interno tedesco).
Lorenzo
Bini Smaghi è inoltre Presidente della Fondazione
Palazzo Strozzi
che promuove iniziative culturali a Firenze.
ANDREA
GIOSTRA.
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Alcune
delle interessanti pubblicazioni dell’autore:
“La
tentazione di andarsene. Fuori dall’Europa c’è un futuro per
l’Italia?”, Il
Mulino Ed., Bologna, 2017.
“33
false verità sull’Europa”,
Il Mulino Ed., Bologna, 2014.
“Austerity,
European Democracies against the wall”,
CEPS Ed.,
Brussels, 2013.
“Morire
di Austerità, Democrazie europee con le spalle al muro”,
Il Mulino Ed.,
Bologna, 2013.
“Il
paradosso dell'euro. Luci e ombre dieci anni dopo”,
Rizzoli Ed.,
Milano, 2008.
“L’Euro”,
Il Mulino Ed.,
Bologna, 1998 (Third Edition: 2001).
“Open
Issues in European Central Banking”,
Macmillan Ed.,
London, 2000 (with Daniel Gros).
“Chi
ci salva dalla prossima crisi finanziaria?”,
Il Mulino Ed., Bologna, 2000.