L’uomo
dal fiore in bocca
…e non
solo è il
nuovo spettacolo diretto e interpretato da Gabriele Lavia, con
Michele Demaria e Barbara Alesse.
Una
produzione Fondazione Teatro della Toscana e Teatro Stabile di
Genova.
Dopo
Sei
personaggi in cerca d’autore,
passando per Vita
di Galileo
di Brecht, Lavia torna al drammaturgo agrigentino che più di ogni
altro ha segnato la cultura, e di conseguenza il teatro, del nostro
tempo, arricchendo il monologo originale con altre novelle che
affrontano il tema della donna e della morte.
Il
denominatore comune sono le paure e il bisogno di esorcizzarle dietro
una qualche forma di maschera, imposta dagli altri e infine
accettata, per quieto sopravvivere. Tra l’essere e l’apparire.
Per
questa produzione sono stati riaperti gli storici laboratori del
Teatro della Pergola di Firenze che hanno realizzato interamente
l’imponente scenografia.
L’uomo
dal fiore in bocca
di Pirandello è la scena maestra dell’incomunicabilità,
della solitudine che si aggrappa alla banalità
dei
particolari più piccoli e insignificanti del quotidiano per cercare
di rintracciare una superiorità
della
vita sulla morte. Gabriele Lavia, con Michele Demaria e Barbara
Alesse, prova a trattenerla un altro po’, prima della fine.
L’atto
unico, rappresentato per la prima volta il 24 febbraio 1922 al Teatro
Manzoni di Milano, è un colloquio fra un uomo che si sa condannato a
morire fra breve, e per questo medita sulla vita con urgenza
appassionata (l’Uomo
dal fiore in bocca,
interpretato da Gabriele Lavia), e uno come tanti, che vive
un’esistenza convenzionale, senza porsi il problema della morte (il
Pacifico Avventore, interpretato da Michele Demaria). L’autore,
come in altri casi, trasse il testo teatrale da una novella scritta
anni prima e intitolata La
morte addosso.
“La
morte addosso
potrebbe essere il sottotitolo di tutta l’Opera Letteraria di
Pirandello – scrive Gabriele Lavia nelle note di regia – si sa
che fin dalla sua fanciullezza il piccolo Luigi fu come “risucchiato”
dall’orrore e dal mistero della Morte. L’episodio, famosissimo,
del cadavere e dei due amanti, accaduto al giovanissimo Luigi, in
quello strano “fondaco” buio, segnò per sempre lo Scrittore e la
sua Opera”.
L’originale
pirandelliano, che non subisce alcuna modifica nella trasposizione
teatrale che ne fece l’autore, è stato arricchito da Gabriele
Lavia con altre novelle che affrontano il tema della donna e della
morte (“per Pirandello sono “figure” inscindibili, vorrei dire
“sovrapposte” ” scrive Lavia).
La
scena si apre in una simbolica Sala d’Attesa di una qualche
stazione ferroviaria del Sud Italia. Si tratta di una scenografia
imponente, disegnata da Alessandro Camera, e realizzata interamente
nei laboratori del Teatro della Pergola, riaperti appositamente per
questa produzione. La struttura portante, alta almeno 9 metri, tutta
in legno di pioppo, regge le vetrate annerite della vecchia stazione.
Ai lati vi sono lunghe panchine con scanalature e braccioli a motivi
semicircolari, mentre il pavimento è composto di 92 tasselli d’abete
e ricoperto da uno strato di decorazione a motivi geometrici; al
centro, incombente, un grande orologio che ha smesso di girare.
“Piove
a dirotto, ma è estate (tempo assurdo!) per soddisfare il
“sentimento del contrario” – annota Gabriele Lavia – così
amato dalla poetica del nostro Autore. C’è un uomo nella stazione
e arriva anche un ometto pacifico, pieno di pacchi colorati, che
perde sempre il treno e che lo perderà
sempre”.
L’Uomo
dal fiore in bocca
comincia a parlare con un’insistenza crescente, ironica e
disperata, dimostrando una straordinaria capacità
di
cogliere i più minuti e all’apparenza insignificanti aspetti della
vita. Le sue considerazioni amare rivelano terribili verità:
l’uomo
infatti è in attesa di morire. Mentre
è in
preda a queste dolorose confessioni vede dietro l’angolo l’ombra
della moglie, interpretata da Barbara Alesse. È una donna
preoccupata, lo vorrebbe curare col proprio affetto, ma all’Uomo
dal fiore in bocca
non è di consolazione, anzi, è un ostacolo alla sua stringente
necessità
di vita
da vivere che lo porta a osservare i commessi che impacchettano la
merce venduta.
“C’è
una donna, che guarda dentro la Sala
d’Attesa,
da fuori della
grande vetrata
- conclude Lavia – e poi ci sono tante “donne...donne...donne”
che non si vedono ma che sono l’assillo o l’incubo del nostro
piccolo “uomo pacifico”. Chi è quella donna che passa? La
moglie? La morte?”
La
morte non è qualcosa che ci salta addosso e, quindi, possiamo
scacciare. No, la morte, quando entra in noi, è invisibile.
Foto di Filippo Manzini
ORARI
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