Il personaggio del
musicista mascherato, storicamente, deve qualcosa ad artisti del
calibro di Buckethead,
o, nel caso specifico dell’elettronica, a
Deadmau5 o
ai Daft Punk.
In Italia senza dubbio mi vengono in mente
i Cani delle origini
con i loro sacchetti del pane in testa.
La maschera quindi
nasconde e allo stesso tempo pone sotto i riflettori l’artista,
sottolineando un’aura di mistero o pseudo tale che può solo
giovare all’immagine del musicista stesso.
Il caso di Be
a Bear, tuttavia, è differente. Sappiamo
benissimo chi si cela dietro la maschera da Orso. Il suo nome è
Filippo Zironi: ex
chitarrista del gruppo ska-punk bolognese “Le
braghe corte”. Un nome e un volto ben precisi che si sono -almeno
temporaneamente - allontanati da un determinato ambiente musicale per
abbracciare un’altra causa, fatta di innovazione e progresso.
Infatti il disco, uscito
il 3 maggio 2016, dal titolo Push-e-bah,
è il primo in Italia registrato tramite l’ausilio esclusivo di un
IPhone.
Un disco che era già
apparso-in pillole- sui social network, anche se il rapporto fra il
musicista e questo mezzo di comunicazione non è sempre stato dei
migliori. Lo ha raccontato lui stesso :- "Fa un po’ strano ma non ho mai amato
i social network, sono arrivato su Facebook "dopo gli altri"
e prima di Be a Bear avevo a malapena 80 amici!!! Però ho sempre
riconosciuto la loro efficacia, la loro potenza e la loro forza
comunicativa. Con Be a Bear ho puntato molto sui social, li ho
"sfruttati" e devo dire che senza sarebbe stato molto
difficile.”
Quello che ci viene
proposto è un mix di dieci brani, dove il cantato è rarissimo e
lascia molto spazio ad un ritmo e a delle melodie piacevoli e
coinvolgenti. Su un tappeto musicale elettronico si inseriscono suoni
comuni e provenienti dalla vita di tutti i giorni: quella che
sembrerebbe la voce di un neonato in My
Lullaby e un
chiarissimo rimando alla musichetta di un cellulare in Accellerate
7.0 sono solo due
esempi di come tutto il disco profumi di quotidianità.
Quest’atmosfera familiare insieme alle più che immediate modalità
di produzione fanno pensare che Push-e-bah sia un prodotto istintivo,
in cui il ragionamento e lo studio lasciano il tempo che trovano; la
fanno da padrone, invece, la voglia di fare, di creare e la grande
originalità che l’orso dimostra in ogni brano. Un’ipotesi che
viene in parte smentita, in parte confermata dall’artista stesso
che a Fattitaliani spiega come da situazioni più che quotidiane partano le sue
grandi riflessioni: - “Può sembrare strano
ma le canzoni nascono semplicemente lasciandomi trasportare da quel
che mi passa per la testa, è spontaneità allo stato puro, mi piace
improvvisare e lasciarmi guidare dall'istinto, dalle emozioni. Quindi
le canzoni nascono da esperienze fatte recentemente, da momenti
importanti della mia vita, riflessioni dell'ultimo periodo. Ma anche
cose semplici e apparentemente stupide. Per esempio STRIPLIFE è nata
sulla tazza del cesso. Stavo guardando un video che mi era capitato
sotto gli occhi di alcune registrazioni della "musica dello
spazio" fatte dalla Nasa. Nell'universo c'è musica ed è
impressionante capire come anche attraverso questi suoni sia grande
l'universo e ...in un attimo però rendersi conto di quanto siamo
piccoli piccoli noi esseri umani. Il problema è che spesso l'uomo si
sente troppo grande e fa un sacco di cazzate...”
La traccia più
rappresentativa si può trovare già all’inizio del disco: Don’t
say no, il mantra che viene ripetuto e dà il
titolo al brano, suona più come un ordine che come un consiglio. Ciò
che ne esce fuori è comunque un pezzo piacevole che, come il resto
del disco, si può sia ballare, sia tenere come sottofondo, sia
ascoltare in cuffia. Insomma un prodotto duttile, semplice e diretto
che fa onore all’artista che lo ha prodotto e alle sue
potenzialità.
Un musicista ha sempre
delle influenze, Be a Bear non fa eccezione e ha elencato le sue:
- “Nell'ultimo periodo sicuramente sono rimasto colpito e quindi
anche influenzato dai Moderat, da Apparat, dagli Atoms for peace e
dai Gorillaz. Però ascolto e ho ascoltato tantissima musica, dal
punk "marcio" fino ad arrivare al misticismo dei Sigur Ròs.
E poi vabbè, c'è Calcutta...”.
Inoltre Filippo ha
spiegato perché la scelta dell’orso come animale simbolo: -
“Il nome Be a Bear (e quindi la figura dell'orso) prende spunto da
un viaggio fatto in Canada dove ho avuto la fortuna di conoscere da
vicino la cultura dei nativi americani. Ero infatti ospite di una
signora che apparteneva alla tribù dei Mohawk. L'orso è un animale
sacro e simbolo di tutte le tribù e quindi ho scelto di usarlo come
nome per il mio progetto. Da questa avventura in Canada sono tornato
a casa cambiato e arricchito a livello personale dunque l'idea era
creare qualcosa che mi potesse "spiazzare" anche a livello
musicale.
Per me vivere da orso
vuol dire tirare fuori la parte più selvaggia, quella che di solito
nascondiamo meglio; dovremmo essere tutti più animali e meno uomini,
più legati alla nostra terra, più in contatto con la natura. Più
selvaggi.
L’orso quindi è
famelico: il suo miele è un suono fresco ma toccante di cui né lui
né noi siamo ancora sazi.
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