Il
collettivo “Niente Da Vedere” composto da Daniele Cametti Aspri,
Paolo Fusco, Vincenzo Labellarte e Sergio Figliola esporrà i propri
lavori a Reggio Emilia dal 6 al 15 Maggio 2016 durante il Circuito
OFF di Via Roma,
sezione
libera e indipendente di Fotografia Europea che trae energie
dalla creatività e dallo spirito di collaborazione di artisti e
abitanti della storica via,
cuore del centro cittadino.
“Niente
Da Vedere” illustra una Roma documentaria ma non didascalica,
quotidiana eppure sconosciuta. Le aspettative di chi visita una
mostra fotografica sono generalmente quelle di trovare il bello o
l’inconsueto. Lo scopo di questa operazione è invece opposto: gli
autori qui rappresentati rivolgono la propria attenzione al consueto.
Così, attraverso i dettagli, l’ordinario è evidenziato al punto
da diventare manifesto anche all’occhio assuefatto che,
probabilmente, non lo ha mai visto.
“Niente
da Vedere” ricompone così la forma scomposta di Roma. Cantieri
inattivi, spazi verdi a compensazione di standard urbanistici,
cartelloni pubblicitari, muri/barriere di recinzione. Citazioni del
quotidiano che restituiscono l’immagine di una metropoli in balia
degli interessi privati, che ha perso la sua dimensione sociale: la
Roma della Metro C, della Nuvola e della speculazione; degli scontri
di Tor Sapienza e delle gated communities sul Raccordo.
Il
progetto fotografico collettivo “Niente da vedere” propone i
lavori “Verde Contemporaneo” di Daniele Cametti Aspri , “Assedio”
di Vincenzo Labellarte, “Insulae” di Paolo Fusco e “Blank” di
Sergio Figliolia.
VERDE
CONTEMPORANEO di Daniele Cametti Aspri
"Verde
Contemporaneo" è una nuova tonalità di verde comunemente
abbinata con il "Grigio Cemento" o il "Grigio Asfalto"
nella giustificazione paesaggistica ed ambientalista dello sviluppo
della nuova urbanizzazione ad alta densità e dei mega centri
commerciali ecofriendly. Solitamente è usato con parsimonia
attraverso spennellate di alberelli di piccolo fusto di giovane età
confinati in aiuole asfittiche che sicuramente ne fungeranno anche da
tomba in breve tempo. Parimenti, il verde contemporaneo è
presente anche nei rendering dei progetti urbanistici di studi di
architettura blasonati e spesso viene usato con successo come alibi
ad opere di cementificazione massiccia. La realtà è spesso diversa
dalla fantasia degli architetti.
Nel percorrere le strade delle nuove periferie la nostra percezione visiva è stimolata da immagini inconsuete. Contrasti evidenti di spazi verdi costretti dal cemento in zone al limite della città ma circondate dalla campagna. Un contrasto che appare ancora più evidente vista l’ampiezza dell’orizzonte. Un connubio di colori inatteso per una società che dovrebbe tendere alla vivibilità ed a sistemi urbani eco-compatibili.
Nel percorrere le strade delle nuove periferie la nostra percezione visiva è stimolata da immagini inconsuete. Contrasti evidenti di spazi verdi costretti dal cemento in zone al limite della città ma circondate dalla campagna. Un contrasto che appare ancora più evidente vista l’ampiezza dell’orizzonte. Un connubio di colori inatteso per una società che dovrebbe tendere alla vivibilità ed a sistemi urbani eco-compatibili.
Ma
a tutto esiste una spiegazione. Il “Verde contemporaneo” è
infatti il frutto di un paradosso nell’attuale regolamentazione per
l’affidamento di appalti di urbanizzazione ed il loro rapporto con
la realizzazione di servizi pubblici affidatigli dalle
amministrazioni comunali. A fronte delle concessioni edilizie di
grandi insediamenti urbani, spesso collegati con centri commerciali,
le amministrazione affidano ai costruttori la realizzazione delle
strutture di servizio pubblico: rete idrica, strade, parcheggi e aree
di verde pubblico. Queste opere vengono realizzate dal costruttore al
posto del pagamento di oneri edilizi all’amministrazione e
rappresentano un’ulteriore occasione per incrementare il margine di
profitto a discapito della qualità di vita.
Da qui la definizione “Opere di urbanizzazione a scomputo” e la nascita del “Verde contemporaneo” che si erge a simbolo dell’ennesima attività lucrativa a scapito del benessere della comunità.
Da qui la definizione “Opere di urbanizzazione a scomputo” e la nascita del “Verde contemporaneo” che si erge a simbolo dell’ennesima attività lucrativa a scapito del benessere della comunità.
ASSEDIO
di Vincenzo Labellarte (testo
di Federica Colonna)
Sotto
assedio. Ecco come appare Roma agli occhi di un osservatore: una
città occupata, dove le gru, in una caotica epidemia di cantieri,
sembrano grandi macchine d'assedio medievali. Alte, immobili, sono
diventate elementi tangibili di una trasformazione incompiuta, nella
quale acciaio e cemento si fondono insieme per dare vita a un nuovo
surreale paesaggio urbano.
E
se tra le lamiere dei lavori in corso e i palazzi emergono, a tratti,
orgogliosi e inattesi sprazzi di bellezza, le strade capitoline sono
diventate luoghi di un disagio quotidiano. Qui la vita dei romani si
ferma, si interrompe in un tempo sospeso, come se restasse bloccata
dalle barriere sorte ovunque, per dividere la città in quadranti
diversi, piccoli e isolati. Tanti campi di battaglia dove
l'esperienza di ogni giorno si frantuma e sprofonda negli scavi e nei
tempi dei lavori in corso. Eterna non è più Roma, ma la sua
incompiuta mutazione.
Eppure
dall'assedio non derivano solo stanchezza, sconforto e paura – per
il futuro della città, le sue prospettive, per la dichiarata
difficoltà a cambiare e a diventare davvero una metropoli. Per
strada, infatti, si incontra anche la sorpresa: i contrasti di luce,
di notte, disegnano paesaggi surreali, tra gli edifici e i lavori in
corso – due antichità a confronto, il lascito del passato, da una
parte, e quello dei contemporanei insieme. E là dove di giorno
prevalgono il caos, la vita e il rumore, restano invece solo un
sorprendente silenzio e un sentimento bizzarro di irrealtà. Come se
qui non ci fosse più scampo, come se la città e i suoi abitanti
fossero destinati ad attendere, ad arrendersi, condannati a guardarsi
intorno. Per trovare bellezza, certo, e un chiassoso senso di
inquietudine.
- INSULAE di Paolo Fusco
Insulae
è un progetto che vuole raccontare la ricerca di isolamento
rappresentata dai muri che circondano i nuovi edifici che vengono
costruiti nelle estreme periferie di Roma, nei quartieri nati dopo la
seconda metà degli anni 2000. Laddove in diverse parti d’Europa si
sperimentano nuove idee di condivisione degli spazi abitativi, a Roma
l’obiettivo sembra quello di chiudersi dietro muri che separino e
tengano lontano l’altro. Stiamo sviluppando quartieri che, oltre ad
essere esteticamente discutibili, insegnano a chi li vive a non
fidarsi degli altri e a rimanere chiusi ed isolati. Le periferie
romane, specialmente quelle più ricche, sono diventate luoghi che
respingono gli estranei e che rinchiudono i propri tesori dietro muri
che bloccano ogni sguardo. Mi sembra un chiaro sintomo di come la
società italiana sia cambiata negli ultimi anni.
BLANK
di Sergio Figliolia
“Intentionally
left blank” si legge di solito sulle pagine dei libri lasciate
vuote.
Non
si intende qui indagare i motivi dell’assenza.
Siamo su un piano diverso da quello giornalistico infatti e di
intenzionale c’è la volontà
di
cogliere cartelloni e altre strutture mentre vengono lasciati "in
bianco".
E’
così
che su quei tabelloni, che dovrebbero rappresentare il punto in cui
guardare per trarre informazione, troviamo il vuoto. Apparentemente
un grande controsenso.
Cartelloni strategicamente collocati per catturare la nostra attenzione ma svuotati della loro informazione. Forse dovremmo liberarci dei nostri canoni consueti e riconsiderare: l’assenza di informazione non é essa stessa messaggio?
Cartelloni strategicamente collocati per catturare la nostra attenzione ma svuotati della loro informazione. Forse dovremmo liberarci dei nostri canoni consueti e riconsiderare: l’assenza di informazione non é essa stessa messaggio?
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